Il robot più umano di tutti i tempi è specializzato in un'attività forse non molto creativa: fabbricare cubi. Di spazzatura. In un futuro lontano ma non remoto, difatti, la Terra è ricoperta di immondizia e ogni traccia di vita è scomparsa. Ultimo Robinson a guardia del pianeta, il robottino Wall-E, cingoli elastici, braccia semoventi, due malinconici occhioni all'ingiù, si ficca i rifiuti in pancia e li risputa sotto forma di cubo pressato. Non sappiamo da quanto tempo vada avanti la faccenda, ma sappiamo che i rifiuti sono una miniera di informazioni. E così, pressa e stocca, stocca e impila l'incipit del film, con quelle metropoli deserte che sembrano uscite da una tela di Max Ernst, è folgorante il fido Wall-E ha accumulato conoscenza. E da tutto quel sapere (e da quella solitudine) è sbocciata la coscienza. Questo in verità il film non lo spiega apertamente, ma dev'essere andata così. Enciclopedista involontario, Wall-E è programmato per fare la raccolta differenziata. E a forza di riconoscere, separare, classificare scarti, ha acquistato doti umane. Compresa la capacità la necessità di amare ed essere amato. Da bravo robot, difatti, Wall-E non sa di sapere, ma sente di dover fare ciò che fa. Ed è sempre un sentimento senza nome che lo afferra quando da un polveroso videoregistratore esce per caso il balletto di un vecchio musical (Hello Dolly, per la cronaca). Cosa fanno quei due esseri bizzarri, perché si agitano tanto e perché si tengono la mano? Wall-E lo scoprirà più tardi, quando un'enorme astronave atterra e depone come un uovo un misterioso robottino candido e curvilineo che esplora quelle lande desolate in cerca di chissà che... Il resto, gli agguati, i primi approcci, i tremori non solo amorosi del trepidante Wall-E (la robottina Eve spara a vista su tutto ciò che si muove) segue la linea poetica e chapliniana di questo ennesimo capolavoro targato Pixar. Che dopo una prima metà priva di dialoghi ma traboccante di sorprese imbocca una strada appena meno originale decollando nel cosmo verso l'astronave-metropoli su cui vivono, in un mondo tutto tedio e tecnologia, i superstiti di ciò che una volta era il genere umano...Non era facile conciliare una fiaba apocalittica il pianeta discarica, i nostri discendenti obesi e svuotati, il consumismo trionfante su scala galattica con la levità dell'animazione. Ma Wall-E, come Nemo, Toy Story o Monsters & C., crea un mondo di rara perfezione formale e insieme di solida tenuta metaforica grazie a un'inventiva continua e a un'intelligenza vibrante. Non si contano le astronavi e i robot che hanno fatto la storia del cinema. Ma nessuno aveva mai espresso tanta consapevolezza (tanta memoria) e insieme tanta malinconia. Il 3 D non è più solo uno dei tanti linguaggi del cinema. È la sua sintesi, forse il suo destino.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 17 ottobre 2008
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