venerdì 25 settembre 2009

FINO ALL'ULTIMO RESPIRO

Un film di Jean-Luc Godard
Soggetto: François Truffaut
Sceneggiatura: Jean-Luc Godard
Fotografia: Raoul Coutard
Musica: Concerto Per Clarinetto Orchestra K 622, Sinfonia N. 40 K 550 di W.A. Mozart, Martial Solal
Montaggio: Cecile Decugis, Lila Herman
Interpreti: Jean Paul Belmondo (Michel Poiccard), Jean Seberg (Patricia Franchini) Daniel Boulanger (Ispettore di polizia), Van Doude (Il Giornalista), Michel Fabre (Poliziotto), Jean-Luc Godard (Un informatore), Roger Hanin (Carl Zombach), Jean Pierre Melville (Parvulesco), Liliane Robinn (Minouche), Richard Balducci (Tolmatchoff).
Produzione: Georges De Beauregard
Origine: Francia
Anno: Anno di edizione1959
Durata: 90’

Sinossi
Michel ruba un'automobile e fugge col proposito di recarsi in Italia. Inseguito da due agenti, ne uccide uno, e poi continua la sua fuga fino a Parigi. Dopo essersi rivolto ad alcuni amici per ottenere del denaro, va in cerca di Patricia, giovane americana, per la quale sente un sincero affetto. La ragazza, che lavora per un giornale, non ricambia il suo sentimento, e continua a farsi corteggiare da un collega. La polizia intanto fa indagini per scoprire l'assassino dell'agente e avendo accertato che si tratta di Michel, cerca di catturarlo. Nel corso delle ricerche viene interrogata anche Patricia, la quale afferma di non saper nulla, e riesce poi a nascondersi con Michel in casa di amici. Il giorno seguente la ragazza non esita a denunciarlo alla polizia. Intercettato per la strada dagli agenti, Michel viene ucciso a colpi di pistola.

ANALISI DEL FILM

La prima sequenza

Un giovane uomo, con la complicità di una coetanea, ruba un auto
Fin dall’inizio il film di Godard presenta delle complesse strategie nella messa in scena che variano, o talvolta sono in contraddizione, da una sequenza all’altra. Andiamo a scoprire come e perché il regista francese compie le sue scelte. La prima inquadratura del film mostra in piano ravvicinato l’ultima pagina di un giornale Paris Flirt, composto da un grande disegno centrale (una pin-up poco vestita e attorno un insieme di disegni umoristici), il quotidiano nasconde il viso di un uomo di cui ascoltiamo la voce.
Michel (voce off): “Dopo tutto sono un fesso. Comunque devo farlo. Devo farlo”. Il giornale si abbassa e scopre il personaggio che nascondeva dietro. E’ un giovane di circa venticinque anni, con il cappello inclinato sugli occhi, la sigaretta a destra tra le labbra, la giacca e la cravatta. Alza lentamente la testa, spia a destra, a sinistra, poi guarda in una direzione precisa con attenzione, mentre toglie la sigaretta dalla bocca. La prima immagine che propone Godard non è quella di una presenza umana o di un paesaggio, ma quella di un giornale, per cui il regista introduce subito un elemento che nel corso della narrazione giocherà un ruolo importante: la protagonista lavora in un giornale; Michel scoprirà attraverso le notizie pubblicate sulla stampa di essere ricercato; il delatore lo denuncia davanti alla sede del New York Herald Tribune. Poi il giornale viene abbassato e appare il volto del personaggio interpretato da Jean Paul Belmondo che nel 1960 è un attore giovane e non è ancora una star internazionale. Michel comunica a gesti e a sguardi con un’amica, per organizzare il furto di un auto. Questa dinamica degli sguardi e questa prima gestualità del protagonista, “nascondono” una prima operazione che possiamo definire metafilmica. Poiccard che si passa il dito pollice sopra le labbra, rinvia ad un gesto abitualmente effettuato da Humphrey Bogart e introduce un importante elemento che investe al tempo stesso il personaggio e il film. Il protagonista si atteggia (e si atteggierà) come un gangster o un duro e più in generale il film avrà continui rimandi ad uno dei generi classici della cinematografia americana: il noir. Questa prima sequenza non esprime ancora quella frattura forte con la tradizione che sarà presente succesivamente nel film; anche se le riprese effettuate senza la camera fissa, la mancanza di luce artificale sottolineano già una forte differenza nei confronti del cinema classico.

La seconda sequenza
Michel fugge con l’auto rubata. Commette un infrazione al codice della strada e viene inseguito dalla polizia. Rintracciato da un gendarme, lo uccide. Poi fugge attraverso i campi
La seconda sequenza, dedicata al viaggio da Marsiglia all’Italia, rivela tutto il gusto del regista francese nel rovesciare la messa in scena classica. Narrativamente è un momento molto importante: l’uccisione del gendarme e la fuga di Michel imprimono alla vicenda quella drammaticità che porterà il protagonista verso il tragico finale. Godard sviluppa questa sequenza con procedure di messa in scena del tutto particolari. Durante il viaggio in macchina Poiccard, tranne una volta, viene sempre ripreso di spalle e spesso accentua la sua gestualità laterale destra per non offrire all’obbiettivo soltanto la nuca. La ripresa, dal sedile posteriore dell’auto, è effettuata (presumibilmente) con la macchina a mano, sfruttando la straordinaria capacità dell’operatore e direttore della fotografia Raoul Coutard, di riprendere con la macchina a spalla senza respirare e quindi riducendo al minimo le oscillazioni della camera stessa. Le inquadrature sono realizzate con la luce naturale, prevalente in tutto il film, che da un lato assicura all’immagine un forte accento di verità e dall’altra propone un’immagine meno precisa sul piano della definizione. E’ una luce neutra, una “luce da acquario”, come è stata definita quella utilizzata dai registi della Nouvelle Vague, e che sembra garantire ai loro film un coefficiente di autenticità in più. Coutard usa una macchina da presa molto leggera e una pellicola molto sensibile che permette un ricorso limitato alla illuminazione artificiale degli interni. Godard seleziona vari momenti del viaggio, con un’attenzione insieme allo sviluppo della narrazione e alla graduale messa a fuoco del personaggio. Ma nel fare questo costruisce il percorso visivo operando sulla continuità e sulla discontinuità delle immagini in modo assolutamente particolare. Fino ad allora una scena di questo tipo (un uomo al volante di un auto) veniva realizzata con una tecnica di editing che nascondeva l’unione delle diverse inquadrature in quello che viene definito, appunto, il montaggio invisibile: lo spettatore non si rende conto del passaggio da un’inquadratura all’altra. Godard invece non unisce le inquadrature con i raccordi messi in atto abitualmente dal cinema classico, ma attraverso veri e propri salti, o jumps cuts, che costituiscono una violazione palese delle regole non scritte della messa in scena. Il regista francese taglia impietosamente le inquadrature e non si preoccupa di effettuare alcuno dei raccordi classici, ma spesso unisce un’inquadratura all’altra, determinando dei veri e propri salti nell’immagine proiettata. Il primo evidente aspetto della tecnica del jump cut è quello della rottura provocatoria della tradizione registica. Per cui Godard si propone come un provocatore, come un regista capace di rovesciare le regole codificate della narrazione, in favore di un modo fortemente innovativo di fare cinema. Tra i jumps cuts utilizzati i più singolari e anomali sono inseriti nella scena dell’uccisione del gendarme. Dal primo piano del volto di Michel di profilo, comincia una rapida panoramica a scendere lungo la spalla, il braccio, la mano e la pistola fino alla canna. Ma questa panoramica è interrotta in due punti, tra la testa e il braccio e da questo al polso, una scelta di questo tipo, all’apparenza irragionevole e bizzarra, sottolinea però la scelta fatta dal protagonista, a sua volta irragionevole e bizzarra. D’altronde tutto l’episodio drammatico dell’uccisione del gendarme è realizzato da Godard in modo assolutamente anomalo. Il regista invece di sfruttare sul piano rappresentativo ed emozionale l’evento narrato, ne comprime estremamente i tempi, ne riduce al massimo le componenti drammatiche e costruisce l’evento come una casualità assoluta. L’uccisione del gendarme per esempio è molto più breve della scena con le autostoppiste, come se Godard non volesse dare troppo spazio ad una situazione che nel cinema classico sarebbe stata fortemente sottolineata. Con questa scelta opera quindi uno “clamoroso rinnovamento” nella struttura tradizionale della narrazione cinematografica. La sequenza presenta altre procedure di messa in scena particolari. Innanzitutto Godard durante il viaggio in auto propone un monologo ad alta voce, dispersivo e apparentemente casuale del protagonista. E’ questo un modo per sottolineare alcuni aspetti del carattere del personaggio: la modestia dell’orizzonte intellettuale, una certa misoginia, la vivacità, l’energia, un’indubbia arroganza. Poi Michel in Primo Piano volta la testa e con lo sguardo in macchina si rivolge direttamente agli spettatori: “Se non vi piace il mare … Se non vi piace la montagna, se non vi piace la città … Andate a quel paese”. Questo sguardo diretto verso gli spettatori segna un altro momento importante nella rottura dello schema classico di narrazione. Viene così infranta la regola della verosomiglianza che non consente (o non consentiva) il contatto diretto tra spettatore e personaggio. E’ come se Godard volesse ricordare agli spettatori che sono al cinema, che Belmondo è un attore e Michel un personaggio, ma di questo aspetto torneremo a parlarne più avanti. Dopo il delitto Poiccard fugge attraverso i campi.

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La terza sequenza
Michel arriva a Parigi al Quartiere Latino
Tutte le inquadrature relative all’arrivo di Poiccard nella capitale francese sono montate in modo da realizzare una frantumazione dell’orizzonte spaziale attraverso due diverse procedure di montaggio: da un lato accostare inquadrature dedicate generalmente a spazi diversi, senza predisporre un minimo coordinamento tra le immagini; dall’altro delineare i frequenti cambiamenti di direzione negli spostamenti di Michel. E’ questa un’altra infrazione al cinema classico, quando con il montaggio si cerca di ottenere un’unica dimensione spaziale raccordando insieme ambienti diversi, per cui si fa entrare, per esempio, un personaggio in una strada di Milano e lo si fa uscire in una piazza di Roma, senza che lo spettatore avverta il passaggio da una città all’altra. Al contrario Godard mostra la lettura del giornale, il marciapiede davanti all’hotel, il furto della chiave e l’uscita dal bagno della stanza di Patricia senza momenti di correlazione, ma tende a rafforzare l’idea di segmentazione dello spazio. Nuovamente agli spettatori viene sottolineata la finzione della narrazione cinematografica.

La quarta sequenza
Michel va a trovare Liliane e le ruba dei soldi

La sequenza si apre con con un Primo Piano di Liliane mentre socchiude la porta di casa. Subito dopo con un salto di campo, per cui con un’altra infrazione al montaggio classico, la macchina da presa va ad inquadrare Michel. Per il resto della sequenza Michel e Liliane vengono inquadrati in modi diversi, così da raccontare un ambiente insieme omogeneo e frammentato, in cui i personaggi si scambiano le posizioni, si mescolano, producendo un effetto di confusione e di parziale instabilità dello spazio. I due parlano anche di cinema: lei ha tentato di fare l’attrice, ora lavora in televisione, lui una volta è stato aiuto-regista. Continua pertanto anche la “riflessione” sul cinema che percorre tutto il film.
Le prime quattro sequenze di Fino all’ultimo respiro sono caratterizzate da un uso differenziato della ripresa e del montaggio, che violano sistematicamente le regole compositive del cinema classico. Sembra che Godard effettui una serie di riprese in esterni con una grande attenzione alla registrazione della realtà e poi in montaggio le unisca in modo assolutamente anomalo. E’ un po’ come se il montaggio smontasse e rovesciasse metodicamente quello che le riprese hanno registrato. Così la regia di Godard nelle prime quattro sequenze appare palesemente irregolare, provocatoria e apertamente in contrasto con le regole della tradizione cinematografica.

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La quinta sequenza
Michel sugli Champs-Elysées ritrova la sua amica Patricia, che sta vendendo copie del giornale New York Heral Tribune
In questa sequenza i due personaggi vengono inquadrati, quasi esclusivamente, attraverso il piano sequenza. E’ questa lunga inquadratura che si snoda senza interruzioni, nella scena non vediamo, quindi stacchi, dissolvenze o qualsiasi altro elemento di raccordo. Di conseguenza il tempo del racconto cinematografico coincide con quello della realtà. Il piano sequenza rappresenta spesso una scelta di linguaggio di grande raffinatezza, in grado, talvolta di consentire una notevole economia narrativa. Secondo il critico francese André Bazin, uno dei maestri di Godard, il piano sequenza permette allo spettatore un percorso di lettura più libero ed autonomo. E' questa una considerazione che non trova d'accordo molti storici del cinema, ma è certo che il piano sequenza segna una svolta nell'evoluzione del linguaggio cinematografico. E’ un procedimento di affermazione della soggettività degli autori e segna l'adeguamento del cinema alle tendenze dell'estetica moderna che affida al destinatario del messaggio estetico un ruolo più attivo. Infatti per tutto il film Godard sollecita continuamente gli spettatori con una messa in scena che travalica le forme classiche della narrazione cinematografica. In questa scena del dialogo tra Patricia e Michel la macchina da presa – nascosta, pare, in un furgoncino – dapprima avanza dietro i protagonisti inquadrandoli ad una distanza costante, poi torna indietro precedendoli. Il taglio dell’inquadratura restituisce i personaggi prevalentemente in figura intera, e gioca su immagini diverse: nella prima parte i due di spalle appaiono piuttosto di profilo, impegnati a dialogare, mentre nella seconda parte sono inquadrati frontalmente. Due passanti attraversano il campo visivo tra i protagonisti e la macchina da presa, sviluppando ulteriormente quella tecnica di “sporcare” l’immagine che Godard usa per rafforzare l’impressione di autenticità e di casualità che sono caratteristiche del suo modo di fare cinema. La passeggiata non è solo funzionale allo sviluppo narrativo del film, è in queste scene che vengono definiti i personaggi di Michel e Patricia, con la loro visione del mondo e della vita, ma è anche un modo per far entrare la città nel film. Parigi viene presentata come una città moderna, dinamica, magari americanizzata e si contappone a quella dei quartieri popolari che tanta importanza hanno avuto nel cinema francese del passato. La Parigi raccontata da Godard diventa il simbolo di una nuova “generazione” che intende costuirsi un proprio personale modello di vita al di là dei valori tradizionali. Questa scena dell’incontro tra Michel e Patricia, una delle più famose del cinema moderno, è stata recentemente citata anche da Bernardo Bertolucci nel suo ultimo film: I sognatori (2003).

La sesta sequenza
Una ragazza con in mano una copia dei Cahiers du cinema ferma Michel a cui chiede “Lei ha niente in contrario contro la gioventuù?”, “Si preferisco i vecchi” risponde Poiccard. Subito dopo un auto investe un passante e lo uccide
Ancora un episodio, quello dell’incidente, che, come nel caso del gendarme, viene solo mostrato dal regista senza eccessive drammatizzazioni. Mentre il breve scambio di battute con la ragazza propone una delle tante situazioni ironiche, che contrappuntano il film. Continuano anche le citazioni cinematografiche, la sequenza si apre con il primissimo piano di un manifesto in cui si legge: Vivere pericolosamente fino in fondo. E’ questa la frase del lancio pubblicitario di un film di Robert Aldrich, Dieci secondi con il diavolo (Ten Second to Hells, 1959), prodotto dalla Hammer Films, la casa americana specializzata in produzioni di serie B, a cui Godard ha dedicato il film. Nella versione originale il film si apre con la dedica alla Hammer, dedica “scomparsa” nella edizione italiana.

La settima sequenza

Michel si reca all’Agenzia Interamericana e ritira dal suo amico Tolmatchoff un assegno che però non può incassare. L’unico che può farlo è Berruti, comincia così per Michel la ricerca dell’unica persona in grado di aiutarlo. Mentre esce Poiccard arrivano i poliziotti che chiedono sue notizie. Tolmatchoff nega di conoscerlo ma viene contraddetto da una segretaria. I poliziotti escono a cercalo.  
Anche nell’Agenzia Ineteramericana Godard riprende tutta la scena in piano sequenza: il primo con Michel e Tolmatchoff e il secondo, più breve, per l’arrivo dei poliziotti. Queste riprese vengono effettuate grazie ad una sedia a rotelle che permette all’operatore e direttore della fotografia Raoul Coutard di riprendere tutta l’azione con la macchina a spalla.Michel legge il giornale, poi guarda e dialoga con un manifesto cinematografico di Humprey Bogart. Davanti ad un manifesto di Bogart (ricordato in questo caso nel suo ultimo film, Il colosso d’argilla di Mark Robson 1956) (1), Michel ammette: “Questo si che era un duro”. Tornano le citazioni cinematografiche che non sono solo sterili riferimenti al passato ma servono a Godard per definire “l’universo” entro cui si muove il protagonista. La personalità e il progetto di vita di Michel sono costruiti in relazione al “duro” Bogart; poi Godard va oltre l’enorme patrimonio del cinema classico americano e “imbeve” il suo protagonista di quella negatività tipica dell’esistenzialismo europeo. Anche la scelta di Jean Seberg non è casuale: ha interpretato Bonjour tristesse (1958), diretto da Otto Preminger, uno di quei registi americani molto amati da Godard. Preminger ha anche “ispirato” Fino all’ultimo respiro, lo stesso Godard ammette di aver realizzato il suo primo film pensando a Un angelo è caduto (Fallen Angel) diretto dal regista americano nel 1945.

Iris di chiusura

Iris di apertura

L’ottava sequenza
Michel invita Patricia a pranzo. Non avendo i soldi entra in un bar e alla toilette rapina uno sconosciuto. Poi passeggia con la ragazza lungo i boulevard. Patricia deve andare ad un appuntamento, Michel si offre di accompagnarla in macchina.

Anche in questa occasione la scena è ripresa con due piani sequenza. Nella toilette la macchina è fissa e sono gli attori a definire con i loro movimenti la situazione da raccontare; nella passeggiata il carrello precede gli attori e li inquadra in Piano Americano in mezzo alla folla. Mentre durante il viaggio in macchina le inquadrature su Michel sono soltanto la prima e l’ultima, le restanti sono dedicate a Patricia e sono effettuate con un’angolazione posteriore della nuca della donna, che appare prevalentemente di tre quarti; inoltre nella sequenza vengoni di nuovo utilizzati i jumps cuts.
Per cui in queste ultime quattro sequenze Godard propone una gamma di quattro tipologie diverse di piano sequenza: un movimento rettilineo avanti e indietro (Champs-Elysées); un movimento in interni, complesso e variato (Agenzia Interamericana); una ripresa fissa in interni (la toilette); un movimento rettileno all’indietro (secondo boulevard).
Il regista francese pare quindi voler affermare l’idea di un cinema fortemente innovativo, ma complesso, concentrato nella negazione della struttura classica, ma anche impegnato a definire nuove strutture nella messa in scena. L’uso prolungato del piano sequenza, dei jumps cuts, delle inquadrature anomale, accostate a procedimenti usati in passato (come l’iris) o alle citazioni cinematografiche cercano di definire un nuovo modello di modernità cinematografica e si presentano al tempo stesso come una rivisitazione della storia del cinema.

La nona sequenza
Patricia scende dalla macchina di Michel e in un bar incontra un amico giornalista. I due parlano, poi escono dal bar. Poiccard li spia e li vede baciarsi.


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La decima sequenza
Patricia torna in albergo e trova Michel nella sua camera.
 
Dopo l’incontro tra i due protagonisti sugli Champs-Elysées è questa una delle sequenze più citate del film. Girata tutta all’interno di una camera d’albergo con Michel e Patricia che dialogano, si baciano, e dove non succede nulla di veramente rilevante. Ripresa attraverso campi lunghi e piani sequenza questo lungo brano di film (dura quasi 23’) ribadisce la volontà di Godard di superare le strutture narrative tradizionali. A differenza di quando accade nella stanza di Liliane, in questa sequenza non ci sono scavalcamenti di campo, troviamo invece un’estrema mobilità nei personaggi che escono ed entrano continuamente dai campi di ripresa. Il dinamismo della macchina da presa e dei personaggi riflette la volontà di Godard di sviluppare dialoghi incisivi tra i personaggi senza ricorrere al campo controcampo del cinema classico (2).
La sequenza è organizzata intorno al dialogo dei due personaggi e anche questo comporta delle novità. Questo dialogo incrina la tradizione fatta attraverso lo scambio lineare di battute, a favore di un flusso verbale più libero, che aderisce alle impressioni, alle divagazioni e alle emozioni dei protagonisti, con un’autenticità indubbiamente nuova. Il dialogo è anche uno strumento per definire ulteriormente i caratteri dei personaggi. Mentre Michel privilegia una sperimentazione di comportamenti, azioni, pratiche esistenziali, puntando su una aperta violazione non solo delle regole, ma delle stesse leggi, Patricia sviluppa una sperimentazione mentale, si interroga sulle prospettive esistenziali, cerca di costruire nuovi percorsi di libertà, provando soluzioni diverse. L’affermazione della libertà è essenziale per entrambi i protagonisti e costituisce la filosodia esistenziale fondamentale del film. Ma la libertà di Michel è nelle cose, nella scelta per l’illegalità, nella realizzazione immediata dei desideri, nella pratica delle aggressioni e delle trasgressioni sociali. Mentre la libertà di Patricia è certo nei comportamenti, ma è anche nelle interrogazioni ripetute sul senso della libertà, nella sperimentazione esistenziale, nella ricerca di percorsi di vita nuovi, autentici e liberi. Michel e Patricia sono in fondo i prototipi dei nuovi soggetti esistenziali delle Nouvelles Vagues del cinema degli anni sessanta. Sono personaggi che scelgono resposabilmente il proprio destino.
Ricerca di libertà nei personaggi, ricerca di un nuovo modo di raccontare una storia, si fondono così coerentemente e rendono Fino all’ultimo respiro il film per eccellenza del nuovo immaginario moderno.
All’interno della scena sono presenti anche riferimenti alla pittura: alle pareti sono appese riproduzioni di quadri di Degas, Picasso, Modigliani, Klee e Renoir, padre di quel Jean, regista molto amato da Godard.

L’undicesima sequenza
Parigi inquadrata dall’alto. 
Patricia deve andare al giornale e Michel si offre di accompagnarla. Non avendo più la macchina ne ruba un’altra. Arrivati davanti alla sede dell’Herald Tribune, la ragazza scende. Sul giornale campeggia la foto di Michel, che viene riconosciuto da un passante. Mentre i due se ne vanno in macchina, il passante segnala la presenza di Poiccard a due poliziotti. Con ironia Godard interpreta il ruolo del delatore, denuncia il suo personaggio e imprime una svolta fondamentale alla vicenda.

Iris di chiusura

Iris di apertura

La dodicesima sequenza
Michel accompagna Patricia all’aereoporto, poi se ne va. Patricia si reca alla conferenza stampa di un famoso scrittore.

Lo scrittore intervistato è Jean Pierre Melville, un regista di culto per tutti i redattori dei Cahiers du cinema. Fra le solite domande banali dei giornalisti ne viene fatta una che pare un presagio per gli sviluppi del film: “E’ più morale la donna che tradisce o l’uomo che abbandona? Lo scrittore risponde: “La donna che tradisce”.

La tredicesima sequenza
Michel porta l’auto da un ricettatore ma questo lo ha riconosciuto e ne approfitta per non pagarlo.

La quattordicesima sequenza
Michel e Patricia tornano a Parigi in taxi. L’uomo fa vedere alla ragazza la casa dove è nato, poi scende dalla macchina e solleva la gonna di una ragazza. Con un espediente i due non pagano il taxi.

La quindicesima sequenza
Patricia torna nella redazione dell’Herald Tribune; trova ad aspettarla l’ispettore di polizia che le mostra un giornale con la foto di Michel. Solo ora essa sa qualcosa di quest’uomo che ha fatto irruzione nella sua vita, finge di non conoscerlo, ma il poliziotto la minaccia facendole difficoltà per il permesso di soggiorno.

La sedicesima sequenza
Patricia esce dal giornale si accorge di essere pedinata. Michel che, è venuto a prenderla, a sua volta pedina il pedinatore. Lei, che ora si diverte alla trasgressione, si libera del poliziotto entrando ed uscendo dal cinema; ritrova Poiccard e insieme vanno a vedere un film in un'altra sala cinematografica.

Tornano le citazioni cinematografiche: nel primo cinema dove entra Patricia si proietta il noir Il segreto di una donna di Otto Preminger (Whirlpool, 1949); il film western che i due guardano insieme è L’oro della California di Bud Boetticher (Westbound, 1959). Lo stesso Michel utilizza oltre al suo nome quello di Laszlo Kovàcs, lo stesso che Belmondo ha nel film di Claude Chabrol A doppia mandata (À double tour, 1959).

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La diciassettesima sequenza
Nuovamente rubano una macchina e continuano a cercare Antonio Berruti, l’unico che può cambiare l’assegno di Michel. Finalmente a Montparnasse lo trovano. Berruti è un paparazzo italiano che vive ricattando la gente e indica a Poiccard una casa dove potrà trascorrere la notte.

La diciottesima sequenza
L’amica di Berruti, una modella, ospita nel suo appartamento Michel e Patricia. La ragazza dopo aver finito un servizio fotografico li lascia soli e se ne va. I due passano la notte a parlare, ascoltare Mozart, girovagare per la stanza seguiti dai movimenti circolari della macchina da presa. Su un libro si legge una citazione di Lenin: “Siamo tutti dei morti in licenza”.

Parlando con Patricia (nella camera d’albergo della decima sequenza), Michel posto di fronte all’alternativa di scegliere tra il dolore e il nulla, risponde: “Il dolore è idiota. Io scelgo il nulla. Non è meglio … Ma il dolore è un compromesso. O tutto o niente”. La scelta per il nulla è la scelta per la morte, contro il compromesso e la sopportazione del dolore. Una scelta radicale che segna l’evoluzione di Michel verso il tragico finale. E’ questo un personaggio costruito da Godard pensando anche all’esistenzialismo francese, Poiccard in fondo ricorda i protagonisti dei romanzi di Sarte, della De Beauvoir e di Camus. Con una differenza importante: mentre i personaggi descritti nei libri vivono ad un livello alto e in una situazione eccezionale la crisi dell’esistere, al contrario i personaggi godardiani sono personaggi non eccezionali, nuovi soggetti di una generazione che ha assorbito e metabolizzato la lezione dell’esistenzialismo e la sperimenta nella varietà del quotidiano metropolitano, incorporando il senso della libertà e della disponibilità esistenziale con l’esperienza della negatività. Per questo alla fine Michel sceglie di non fuggire e conclude in mdodo quasi circolare il suo percorso di vita.

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La diciannovesima sequenza
Al mattino Patricia esce per comperare la colazione, ma in un bar telefona alla polizia e denuncia Michel. Tornata a casa lo racconta all’uomo.

La ventesima sequenza
Arriva l’amico con i soldi e Michel potrebbe fuggire, ma non lo fa. Giunge la polizia: Poiccard corre nella strada, i gendarmi gli sparano alle spalle e l’uomo cade a terra morente. Patricia lo raggiunge e lui le ripete le smorfie scherzose con cui aveva creduto di conquistarla, si ripassa il pollice sul labbro e poi pronuncia le sue ultime parole: “Sei una schifosa”.
 
Michel sceglie intenzionalmente la morte preferendo vivere tragicamente la fine della sua storia d’amore. Godard realizza questa sequenza con una messa in scena che ripete lo scelte compiute durante tutto il film: il continuo svelare allo spettatore la presenza della macchina da presa e di conseguenza del cinema. La corsa finale di Michel ferito alla schiena è troppo lunga, troppo complicata, più assurda che disperata, più esibita che drammatica per non rappresentare un’attestazione continua del carattere fittizio dell’evento. Il film poi si chiude come era iniziato: con Poiccard che ripete il gesto di Bogart.

Note
1) Nella versione francese il film si intitola Plus dure sera la chute, in quella americana The Harder they Fall.
2) Nel Campo/Controcampo vengono combinate due inquadrature che hanno angolazioni opposte creando un effetto di simmetria. Questo raccordo si usa per rappresentare una situazione generalmente di dialogo tra due personaggi che si fronteggiano. La scena viene girata due volte prima dalla parte di un personaggio poi, cambiando in maniera simmetrica la posizione della macchina da presa, viene inquadrata la situazione a favore dell’altro personaggio. E’ solo in fase di montaggio che vengono alternati i due punti di vista dei protagonisti.

Jean-Luc Godard, cenni biografici
Nato a Parigi il 3 dicembre 1930 in una ricca famiglia di origine elvetica, Jean-Luc Godard sfugge agli orrori della guerra passando l'adolescenza in Svizzera. Torna nella capitale francese soltanto nel 1948, per frequentare il liceo e per studiare alla Sorbonne. Proprio durante gli anni dell'università, inizia a frequentare i cineclub del Quartiere Latino e lì conosce François Truffaut, Jacques Rivette, Claude Chabrol ed Erich Rohmer. Nel 1950, fonda insieme a Rivette e Rohmer la Gazette du cinéma, cinque edizioni tra il maggio e il novembre dove Godard scrive recensioni firmandosi con lo pseudonimo di Hans Lucas. Nel 1952, inizia a collaborare come critico e saggista con i Cahiers du cinéma e nel frattempo realizza alcuni cortometraggi. Il suo primo film risale al 1960 ed è il capolavoro che come già detto segna l'inizio della Nouvelle Vague. Fino all'ultimo respiro, da alcuni detrattori accusato di formalismo, ma apprezzato dai più per la sua originalità, cambia profondamente le regole cinematografiche e influenza buona parte del cinema francese (e non solo) degli anni a venire. I suoi film successivi continuano a far discutere: Le petit soldat (1960), sulla guerra d’Algeria subisce le ire dei censori ed esce nelle sale due anni dopo la realizzazione; La donna è donna (1961) è un bizzarro documentario a episodi che divide pubblico e critica. Nel 1962, Godard realizza Questa è la mia vita e vince il Premio speciale delle Giuria alla Mostra di Venezia. I suoi film continuano a proporre, quasi ossessivamente, lo stesso tema. Tutti si interrogano sul significato ultimo dell'opera cinematografica e tutti mettono costantemente in discussione la funzione stessa del mezzo cinema. Ma la poetica di Godard continua ad evolversi, a cercare nuovi spunti di narrazione attraverso un continuo percorso di crescita, teso verso la conquista della 'verità'. Nascono così Il disprezzo (1963) ispirato a un romanzo di Moravia, e nello stesso anno Ro.Go.Pa.G., film a episodi frutto della collaborazione di Jean-Luc Godard con Roberto Rossellini, Ugo Gregoretti e Pier Paolo Pasolini. Il 1965 è l'anno di un altro capolavoro assoluto, Il bandito delle undici, vero e proprio poema cinematografico sulla disperazione e il disorientamento in cui il protagonista incarna e deforma i pensieri, i sogni, i desideri dello stesso Godard. Dopo l'aspro Due o tre cose che so di lei (1966), ricchissimo di nuove proposte linguistiche, Godard realizza nel 1967 La cinese, Premio Speciale della Giuria alla Mostra di Venezia, provocatorio esempio di cinema nel cinema con il ciak spesso in primo piano e le sequenze che inquadrano l'operatore. Nel 1968, con La gaia scienza, violenta e amara critica alle istituzioni della società borghese, il regista esamina le possibilità rivoluzionarie del cinema e inaugura la sua fase 'militante', che prosegue con Amore e rabbia (1969) e si conclude con Crepa padrone, tutto va bene del 1972, analisi della classe intellettuale dopo i cambiamenti e le inevitabili delusioni del Sessantotto. Nel 1982 Jean-Luc Godard riceve a Venezia il Leone d'Oro alla carriera e l'anno successivo, sempre al Lido, ottiene il Leone d'Oro per il miglior film grazie a Prénom Carmen, che gli regala anche il primo grande successo di pubblico. Con il mistico Je vous salue, Marie (1984), Godard è di nuovo al centro del mirino delle polemiche con l'accusa di aver portato sullo schermo un film blasfemo e irriverente. Nel 1990, realizza Nouvelle Vague, lo infarcisce di citazioni e tenta ancora una volta di riportare l'immagine ai suoi significati più profondi. Nove anni più tardi torna dietro la macchina da presa per raccontare i momenti che scandiscano un amore in Eloge de l'amour, ambientato negli anni della guerra e della resistenza. I sui ultimi film sono: The Old Place e Notre musique, presentati rispettivamente al Festival di Cannes del 2002 e del 2004.

Bibliografia
AAVV, L’interpretazione dei film, a cura di Paolo Bertetto, Venezia, Marsilio, 2003
Alberto Farassino, Jean-Luc Godard, Milano, Il Castoro Cinema, 1996

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