Un film di Luchino Visconti
Soggetto: dal romanzo omonimo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Sceneggiatura: Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli, L. Visconti
Fotografia: Giuseppe Rotunno
Scenografia: Mario Garbuglia
Costumi: Piero Tosi
Musiche: Nino Rota, un valzer inedito di Giuseppe Verdi
Montaggio: Mario Serandrei
Interpreti: Burt Lancaster (Principe Fabrizio Salina), Claudia Cardinale (Angelica Sedàra), Alain Delon (Tancredi Falconeri), Paolo Stoppa (don Calogero Sedàra), Rina Morelli (Stella Salina), Lucilla Morlacchi (Concetta), Romolo Valli (Padre Pirrone), Serge Reggiani (Ciccio Tumeo), Leslie French (Cavaliere Aymone Chevalier di Monterzuolo), Mario Girotti (Conte Cavriaghi), Ivo Garrani (Comandante Pallavicino).
Produzione: Goffredo Lombardo per la Titanus
Origine: Italia
Anno di edizione: 963
Durata:180'
Sinossi
Nel 1860 Garibaldi sbarca in Sicilia e il Principe Fabrizio Salina assiste ai cambiamenti che ne conseguono. Nonostante la minaccia della guerra, il Principe e la sua famiglia si trasferiscono nella residenza di campagna, a Donnafugata, dove il nipote prediletto, Tancredi, si innamora di Angelica, la figlia del sindaco esponente della nuova borghesia. Tancredi partecipa anche all'impresa dei garibaldini e si distingue nella battaglia di Palermo. L'unione di Angelica e Tancredi, simbolo vivente del passaggio di potere tra la nobiltà latifondista e la borghesia mercantile, viene ufficializzata durante un grande ballo che si tiene in una sontuosa residenza principesca. Al termine don Fabrizio si allontana meditando sul proprio bilancio esistenziale.
Il romanzo e il film
La pubblicazione, nel 1958, de Il Gattopardo Di Giuseppe Tomasi di Lampedusa suscita un notevole interesse nel pubblico e nella critica; in anni vicini al boom economico, gli italiani cominciamo a scoprire il gusto della lettura e l'opera dello scrittore siciliano diventa in poco tempo un best-seller.
La materia narrativa del libro, nonchè i diversi giudizi critici, sono ampiamente conosciuti, ricorderemo pertanto solo quelle vicende pertinenti al successivo confronto con il film.
Il testo di Lampedusa, incentrato sulla figura del Principe Salina, racconta l'avventura umana di un uomo orgoglioso, destinato a vivere un presente di cui non condivide gli ideali politici. In un arco di tempo che va dal maggio 1860 al maggio 1910, la parabola del Principe Salina e dei suoi familiari, diventa il simbolo della decadenza di un mondo ormai superato dalla storia.
Dai palazzi cadenti ai mobili in rovina, dal patrimonio esangue, alle stoviglie ormai prive di stemma, gli otto capitoli del libro, narrano sia nei gesti quotidiani (amori, sconfitte, litigi...) che nei grandi avvenimenti storici (L'Unità d'Italia) l'incalzante disgregazione di una classe sociale un tempo egemone.
Il monologo interiore del protagonista, infatti, alterna alla meditazione sulla delusione della vita, sulla solitudine e sulla morte, un giudizio pessimista e disincantato sul Risorgimento.
Questa visione della storia italiana - villipesa dai critici che rimproverano all'autore una lettura toppo negativa dei fatti ed esaltata invece da chi sottolinea la lucidità di Lampedusa nel definire lo spessore storico del Risorgimento come di una rivoluzione tradita - dà origine ad un dibattito tanto rovente quanto significativo.
E' in questo clima di acceso giudizio critico che Visconti decide di ridurre per lo schermo Il Gattopardo, dice in proposito il regista: "...col punto di vista di Lampedusa, e diciamo pure con quello del suo protagonista, il Principe Fabrizio, io concordo non soltanto fino al limite del momento analitico, ma oltre questo limite: vale a dire laddove è adombrata la loro considerazione pessimistica di quei fatti. Il pessimismo del Salina porta quest'ultimo a rimpiangere la caduta di un ordine che per quanto immobile era sempre un ordine, mentre il nostro pessimismo si carica di volontà, e in luogo di rimpiangere l'ordine feudale e borbonico mira a postularne uno nuovo. Ma in conclusione partecipo anch'io alla definizione del Risorgimento come 'rivoluzione tradita'. Motivo del resto accennato nel romanzo (...), basta ricordare le riflessioni del Principe durante lo sfogo di don Ciccio Tumeo sui risultati del plebiscito" (1).
Nell'elaborazione della sceneggiatura, Visconti ed i suoi collaboratori, operano sulla materia narrativa in due diverse direzioni: "da una parte, verso tempi e spazi stretti, dall'altra, inversamente, verso tempi e spazi larghi" (2).
Vengono pertanto soppressi alcuni capitoli e/o episodi del libro - in proposito ricordiamo i più significativi: la morte del Principe Fabrizio; la storia delle false reliquie di Concetta; la visita di Padre Pirrone a S. Cono, suo paese natale; gli incontri con il Re Ferdinando, il figlio fuggito a Londra - in favore di una narrazione che sviluppa solo le vicende ambientate dal 1860 al 1862.
Nei sei capitoli conservati resta comunque un'aderenza, tra immagini e testo scritto, ideale: la vita, l'atmosfera, l'evoluzione dei fatti e dei personaggi, tutto è reso con la perizia del grande affresco storico.
Però se nel libro è descritta la figura di un uomo e di una classe sociale ormai al tramonto - e Lampedusa impietoso descrive la decadenza sia negli ideali politici, sia nel quotidiano con i palazzi malandati e le dimore in sfacelo - Visconti evoca invece un mondo splendente, dove il gusto e la raffinatezza non hanno eguali.
Il regista sottolinea, per tutto il film, il contrasto tra due diverse classi sociali: i nobili cristallizzati nel loro passato, ma ricchi di fascino e i borghesi danarosi, ma meschini. Significative in tal senso sono le considerazioni di don Calogero al ballo: alla magnificenza del palazzo oppone riflessioni esclusivamente pecuniarie.
Il testo scritto subisce invece delle modificazioni, ed è dilatato su "spazi larghi" - vengono cioè aggiunte delle scene - negli episodi relativi alla battaglia dei borbonici contro i garibaldini e poi per la parte riguardante la fucilazione dei militari, passati nell'esercito dell'eroe dei due mondi, che non vediamo, ma di cui avvertiamo una forte allusione, nella scena finale quando Angelica, Tancredi e Sedàra tornano dalla festa.
Stessa sorte subisce il capitolo relativo al ballo: poche pagine nel libro, nel film quaranta minuti di grande cinema.
Dice in proposito lo stesso regista: "...io ho sentito che tutto ciò che nel romanzo si sviluppa oltre il nesso 1861-1862 potevo anticiparlo e bloccarlo grazie al linguaggio del cinema esattamente in quell'arco di tempo, ricorrendo, naturalmente, a una forzatura espressiva, a una dilatazione iperbolica dei tempi del ballo in casa Ponteleone; non tanto nel senso di una loro modificazione rispetto al testo scritto, quanto nel senso della sottolineatura di tutto ciò che quelle mirabili pagine contengono di simbolico e di riassuntivo dei diversi conflitti, dei diversi valori e delle diverse prospettive possibili della vicenda narrata" (3).
Il ballo pertanto è trasformato in suggello di quanto precedentemente annunciato e ad anticipazione degli avvenimenti successivi al 1860, quando ormai persone e cose hanno esaurito la loro funzione storica.
Una traduzione del libro che da una parte opera una rilettura originale e dall'altra rispetta il testo scritto; ancora una volta le parole del regista sono indicative in tal senso: "...il mio non è, nè potrebbe essere, una trascrizione in immagini del romanzo. Non sono tra coloro che fermi, a un'idea avanguardistico-antiquata dello 'specifico' filmico, credono tanto alle virtù taumaturgiche della macchina da presa, da considerare sufficiente il trasporto in pellicola di una cosa qualsiasi per aver fatto del vero cinema. Sia pure conservando una grande fedeltà al romanzo che lo ha ispirato, un film per essere valido deve avere una sua originalità espressiva. E non parlo soltanto del lato visivo" (4).
Le sequenze del film
Soggetto: dal romanzo omonimo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Sceneggiatura: Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli, L. Visconti
Fotografia: Giuseppe Rotunno
Scenografia: Mario Garbuglia
Costumi: Piero Tosi
Musiche: Nino Rota, un valzer inedito di Giuseppe Verdi
Montaggio: Mario Serandrei
Interpreti: Burt Lancaster (Principe Fabrizio Salina), Claudia Cardinale (Angelica Sedàra), Alain Delon (Tancredi Falconeri), Paolo Stoppa (don Calogero Sedàra), Rina Morelli (Stella Salina), Lucilla Morlacchi (Concetta), Romolo Valli (Padre Pirrone), Serge Reggiani (Ciccio Tumeo), Leslie French (Cavaliere Aymone Chevalier di Monterzuolo), Mario Girotti (Conte Cavriaghi), Ivo Garrani (Comandante Pallavicino).
Produzione: Goffredo Lombardo per la Titanus
Origine: Italia
Anno di edizione: 963
Durata:180'
Sinossi
Nel 1860 Garibaldi sbarca in Sicilia e il Principe Fabrizio Salina assiste ai cambiamenti che ne conseguono. Nonostante la minaccia della guerra, il Principe e la sua famiglia si trasferiscono nella residenza di campagna, a Donnafugata, dove il nipote prediletto, Tancredi, si innamora di Angelica, la figlia del sindaco esponente della nuova borghesia. Tancredi partecipa anche all'impresa dei garibaldini e si distingue nella battaglia di Palermo. L'unione di Angelica e Tancredi, simbolo vivente del passaggio di potere tra la nobiltà latifondista e la borghesia mercantile, viene ufficializzata durante un grande ballo che si tiene in una sontuosa residenza principesca. Al termine don Fabrizio si allontana meditando sul proprio bilancio esistenziale.
Il romanzo e il film
La pubblicazione, nel 1958, de Il Gattopardo Di Giuseppe Tomasi di Lampedusa suscita un notevole interesse nel pubblico e nella critica; in anni vicini al boom economico, gli italiani cominciamo a scoprire il gusto della lettura e l'opera dello scrittore siciliano diventa in poco tempo un best-seller.
La materia narrativa del libro, nonchè i diversi giudizi critici, sono ampiamente conosciuti, ricorderemo pertanto solo quelle vicende pertinenti al successivo confronto con il film.
Il testo di Lampedusa, incentrato sulla figura del Principe Salina, racconta l'avventura umana di un uomo orgoglioso, destinato a vivere un presente di cui non condivide gli ideali politici. In un arco di tempo che va dal maggio 1860 al maggio 1910, la parabola del Principe Salina e dei suoi familiari, diventa il simbolo della decadenza di un mondo ormai superato dalla storia.
Dai palazzi cadenti ai mobili in rovina, dal patrimonio esangue, alle stoviglie ormai prive di stemma, gli otto capitoli del libro, narrano sia nei gesti quotidiani (amori, sconfitte, litigi...) che nei grandi avvenimenti storici (L'Unità d'Italia) l'incalzante disgregazione di una classe sociale un tempo egemone.
Il monologo interiore del protagonista, infatti, alterna alla meditazione sulla delusione della vita, sulla solitudine e sulla morte, un giudizio pessimista e disincantato sul Risorgimento.
Questa visione della storia italiana - villipesa dai critici che rimproverano all'autore una lettura toppo negativa dei fatti ed esaltata invece da chi sottolinea la lucidità di Lampedusa nel definire lo spessore storico del Risorgimento come di una rivoluzione tradita - dà origine ad un dibattito tanto rovente quanto significativo.
E' in questo clima di acceso giudizio critico che Visconti decide di ridurre per lo schermo Il Gattopardo, dice in proposito il regista: "...col punto di vista di Lampedusa, e diciamo pure con quello del suo protagonista, il Principe Fabrizio, io concordo non soltanto fino al limite del momento analitico, ma oltre questo limite: vale a dire laddove è adombrata la loro considerazione pessimistica di quei fatti. Il pessimismo del Salina porta quest'ultimo a rimpiangere la caduta di un ordine che per quanto immobile era sempre un ordine, mentre il nostro pessimismo si carica di volontà, e in luogo di rimpiangere l'ordine feudale e borbonico mira a postularne uno nuovo. Ma in conclusione partecipo anch'io alla definizione del Risorgimento come 'rivoluzione tradita'. Motivo del resto accennato nel romanzo (...), basta ricordare le riflessioni del Principe durante lo sfogo di don Ciccio Tumeo sui risultati del plebiscito" (1).
Nell'elaborazione della sceneggiatura, Visconti ed i suoi collaboratori, operano sulla materia narrativa in due diverse direzioni: "da una parte, verso tempi e spazi stretti, dall'altra, inversamente, verso tempi e spazi larghi" (2).
Vengono pertanto soppressi alcuni capitoli e/o episodi del libro - in proposito ricordiamo i più significativi: la morte del Principe Fabrizio; la storia delle false reliquie di Concetta; la visita di Padre Pirrone a S. Cono, suo paese natale; gli incontri con il Re Ferdinando, il figlio fuggito a Londra - in favore di una narrazione che sviluppa solo le vicende ambientate dal 1860 al 1862.
Nei sei capitoli conservati resta comunque un'aderenza, tra immagini e testo scritto, ideale: la vita, l'atmosfera, l'evoluzione dei fatti e dei personaggi, tutto è reso con la perizia del grande affresco storico.
Però se nel libro è descritta la figura di un uomo e di una classe sociale ormai al tramonto - e Lampedusa impietoso descrive la decadenza sia negli ideali politici, sia nel quotidiano con i palazzi malandati e le dimore in sfacelo - Visconti evoca invece un mondo splendente, dove il gusto e la raffinatezza non hanno eguali.
Il regista sottolinea, per tutto il film, il contrasto tra due diverse classi sociali: i nobili cristallizzati nel loro passato, ma ricchi di fascino e i borghesi danarosi, ma meschini. Significative in tal senso sono le considerazioni di don Calogero al ballo: alla magnificenza del palazzo oppone riflessioni esclusivamente pecuniarie.
Il testo scritto subisce invece delle modificazioni, ed è dilatato su "spazi larghi" - vengono cioè aggiunte delle scene - negli episodi relativi alla battaglia dei borbonici contro i garibaldini e poi per la parte riguardante la fucilazione dei militari, passati nell'esercito dell'eroe dei due mondi, che non vediamo, ma di cui avvertiamo una forte allusione, nella scena finale quando Angelica, Tancredi e Sedàra tornano dalla festa.
Stessa sorte subisce il capitolo relativo al ballo: poche pagine nel libro, nel film quaranta minuti di grande cinema.
Dice in proposito lo stesso regista: "...io ho sentito che tutto ciò che nel romanzo si sviluppa oltre il nesso 1861-1862 potevo anticiparlo e bloccarlo grazie al linguaggio del cinema esattamente in quell'arco di tempo, ricorrendo, naturalmente, a una forzatura espressiva, a una dilatazione iperbolica dei tempi del ballo in casa Ponteleone; non tanto nel senso di una loro modificazione rispetto al testo scritto, quanto nel senso della sottolineatura di tutto ciò che quelle mirabili pagine contengono di simbolico e di riassuntivo dei diversi conflitti, dei diversi valori e delle diverse prospettive possibili della vicenda narrata" (3).
Il ballo pertanto è trasformato in suggello di quanto precedentemente annunciato e ad anticipazione degli avvenimenti successivi al 1860, quando ormai persone e cose hanno esaurito la loro funzione storica.
Una traduzione del libro che da una parte opera una rilettura originale e dall'altra rispetta il testo scritto; ancora una volta le parole del regista sono indicative in tal senso: "...il mio non è, nè potrebbe essere, una trascrizione in immagini del romanzo. Non sono tra coloro che fermi, a un'idea avanguardistico-antiquata dello 'specifico' filmico, credono tanto alle virtù taumaturgiche della macchina da presa, da considerare sufficiente il trasporto in pellicola di una cosa qualsiasi per aver fatto del vero cinema. Sia pure conservando una grande fedeltà al romanzo che lo ha ispirato, un film per essere valido deve avere una sua originalità espressiva. E non parlo soltanto del lato visivo" (4).
Le sequenze del film
1) Titoli di testa e presentazione di villa Salina
2) La recita del rosario. Voci concitate dal giardino
3) Il Principe riceve la notizia dello sbarco dei Garibaldini (11 maggio 1860). Decide di recarsi a Palermo. Crisi di pianto della principessa
4) In giardino: ritrovamento del soldato morto
5) Viaggio verso Palermo del Principe accompagnato da padre Pirrone, che lo invita a indurre a maggiore prudenza il nipote Tancredi; un posto di blocco; la casa di Marianina in un ambiente degradato
6) Il mattino dialogo tra il Principe e Tancredi; il nipote annuncia che partirà per la guerra contro Franceschiello: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi". La vestizione del Principe
7) La partenza di Tancredi. Il commiato. I familiari dalla balaustra del terrazzo seguono con lo sguardo l'allontanarsi del calesse.
8) Il Principe nell’osservatorio con padre Pirrone, considerazioni d'ordine morale e politico
9) I garibaldini in città, assalto di Porta Termini: esecuzioni di popolani da parte di truppe governative, la vendetta della popolazione inferocita; Tancredi tra i combattenti nelle file garibaldine
10) Il viaggio per Donnafugata in un paesaggio assolato e desertico; le carrozze ferme ad un posto di blocco garibaldino; l'intervento risoluto di Tancredi
11) Una sosta all'osteria; padre Pirrone definisce i "signori" e la loro atavica "differenza"
12) La nobile famiglia consuma il pranzo in campagna
13) Il Principe ricorda la visita a palazzo Salina di Tancredi, in compagnia di ufficiali garibaldini. I due ospiti ammirano gli affreschi del palazzo
14) Ancora nel corso della sosta, Tancredi e Concetta
15) Continua la rievocazione della visita dei compagni d'armi di Tancredi; in quella circostanza Concetta manifesta preoccupazione per la ferita di Tancredi
16) L’arrivo a Donnafugata: il benvenuto del sindaco Sedàra e di don Ciccio Tumeo. In chiesa: il Ringraziamento.
17) La conversazione nel bagno con padre Pirrone a proposito di Concetta
18) Il pranzo e le varie reazioni all'ingresso di Sedàra; prima apparizione di Angelica; conversazioni a tavola; il racconto di Tancredi sulle imprese belliche; imbarazzante risata di Angelica; risentimento di Concetta
19) Dall'alto del palazzo il Principe vede Tancredi andare a far visita ad Angelica
20) Il plebiscito il Principe va a votare accompagnato da padre Pirrone; il rinfresco offerto al Principe dal sindaco
21) Il sindaco annuncia tra interruzioni di varia natura l'esito del Plebiscito; dall'alto il Principe osserva la scena.
22) All’alba: la partenza per la caccia con don Ciccio Tumeo; conversazione sul Plebiscito e su Sedàra.
23) Camera da letto: il Principe ha tra le mani la lettera di Tancredi con la richiesta di matrimonio; la moglie piange ma il Principe acconsente alle nozze.
24) Ancora il Principe a caccia; annuncia il matrimonio tra Tancredi e Angelica a don Ciccio Tumeo.
25) Il Principe incontra Sedàra; richiesta di matrimonio e accordi. il Principe evoca l'immagine della bellissima moglie di don Calogero Sedàra, attribuendole le fattezze di Angelica. Il Principe libera don Ciccio Tumeo, provvisoriamente chiuso nella stanza dei fucili perché non trapelasse la notizia del matrimonio.
26) Ritorno di Tancredi e di Cavriaghi, che corteggia invano Concetta (le dona i canti dell'Aleardi); Tancredi annuncia di essere entrato nell'esercito sabaudo; il dono dell'anello ad Angelica.
27) Tancredi ed Angelica nelle soffitte del palazzo
28) Il cavaliere Chevalley arriva a Donnafugata
29) Chevalley gioca a carte nel salotto di Palazzo Salina; Tancredi si compiace nel riferire a Chevalley vicende di violenza e di sangue accadute in Sicilia
30) Dialogo tra il Principe e Chevalley: don Fabrizio rifiuta la carica di senatore. “Raccomanda” per l’incarico Sedàra.
31) Chevalley accompagnato da don Fabrizio parte all’alba, attraversando un paesaggio di miseria e degrado
32) La sala del ballo; ingresso di Pallavicino e dei Sedàra, pensosità del Principe, che osserva la propria immagine stanca allo specchio
33) Il Principe in biblioteca; il quadro del Greuze; il corteggiamento della morte. La seduzione di Angelica.
34) Don Fabrizio balla con Angelica; la cena; la conversazione di Pallavicino
35) Dialogo tra Angelica, Concetta, poi Tancredi; il ballo continua; il Principe allo specchio: sul suo viso una lacrima
36) Il ballo finisce, si ritorna a casa; i commiati
37) Il Principe rincasa a piedi, solo, in un paesaggio livido e desolato
38) Passa il Viatico: il Principe si inginocchia; pensieri di morte
39) In carrozza Sedàra, Angelica e Tancredi soddisfatti e stanchi Spari in lontananza, commento rassicurante di Sedàra
40) Il Principe a piedi si allontana immergendosi nell'oscurità di un vicolo
ANALISI DEL FILM
I titoli di testa scorrono sulle immagini di Villa Salina: con movimenti di macchina avvolgenti viene inquadrato il giardino con le statue, l'aranceto, il viale d'ingresso e la terrazza della dimora.
Il lento fluire di immagini viene sottolineato dalla musica ("l'allegro maestoso" del commento di Nino Rota), che progressivamente avvicina lo spettatore ad uno dei luoghi dove si svolgerà la vicenda.
C’è in questo inizio del film un intrecciarsi di carrellate e panoramiche (che da destra vanno verso sinistra) che ripropongono il modo tipico della scrittura e sembrano sottolinenare la musicalità e il ritmo narrativo presente nel romanzo di Lampedusa.
Terminati i credits la macchina si arresta sulle tende gonfiate dal vento: dall'interno della casa proviene un brusio di voci che recitano una preghiera.
Altra scelta allusiva del regista: le tende gonfiate dal vento, sembrano quasi indicare la storia che preme contro il mondo chiuso dell’aristocrazia.
Dopo un attimo di pausa, le immagini riprendono il loro lento fluire e introducono nel vasto salone rococò dal soffitto affrescato, dove il Principe Salina e i suoi familiari, Padre Pirrone e la servitù, recitano il rosario.
Viene così presentato uno dei luoghi fondamentali della vicenda, il palcoscenico ideale nel quale si muovono i protagonisti della storia: il salone, la terrazza, il giardino e naturalmente i Salina. Il gruppo familiare è ripreso nell'immobilità della preghiera, uno dei tanti riti quotidiani che scandiscono la vita di persone legate ad una ferrea disciplina. Nel corso del film troveremo spesso questo motivo dei cerimoniali (la caccia, la lettura, la vestizione) che non scadono mai a pura illustrazione, ma danno il senso della fine imminente di una classe sociale ormai cristallizzata nella ripetitività ossessiva di gesti quotidiani, di azioni immutate da secoli, e pertanto incapace di aderire ad un presente in continua evoluzione.
La preghiera è disturbata dalle grida (fuori campo) di voci concitate: tutti si distraggono solo il Principe rimane imperturbabile.
Finita la funzione entra un cameriere che annuncia la scoperta in giardino del cadavere di un soldato, poi consegna al padrone di casa una lettera del duca di Màlvica.
Gli avvenimenti storici sono entrati prepotentemente nella vita dei Salina, anche la loro antica dimora non è più un luogo sicuro: i resti del garibaldino sono il segno tangibile dell’inarrestabile cambiamento storico ormai in atto.
La missiva porta notizie che sconvolgono i presenti: Garibaldi è sbarcato a Marsala. Tra lacrime e grida di paura solo don Fabrizio rimane impassibile, anzi ordina al figlio Paolo un improvviso viaggio a Palermo per 'difendere' il palazzo Salina, rimasto provvisoriamente vuoto per le vacanze estive. L'agitazione aumenta, la moglie sviene e il Principe infastidito decide di passare la sera nel capoluogo siciliano, ordina così a Padre Pirrone di seguirlo e agli stallieri di preparare la carrozza.
La scena è chiusa dalla famiglia che si inginocchia e ricomincia a pregare, mentre don Fabrizio esce dalla stanza.
Fin da queste prime scene si staglia su tutti la figura del Principe Salina: alto, biondo, dai modi sicuri e imperturbabili di chi non perde mai la calma, ma anche imperioso, con l'atteggiamento tipico di chi è stato educato al comando.
I passi con i quali attraversa i saloni assomigliano a quelli di un generale che passa in rassegna i soldati, e così fa il nobile: impartisce ordini al figlio maggiore, si trascina dietro il sacerdote e non presta eccessive attenzioni allo sgomento dei familiari.
Anche la reazione agli avvenimenti storici (lo sbarco di Garibaldi) è quella di un uomo più infastidito che impaurito: "coniglio", infatti, risponderà alla lettera del duca di Màlvica. Come già sottolineato, nel film la figura del Principe Salina è quella del protagonista assoluto di tutta la vicenda e questa superiorità è rimarcata dal regista fin dalle scene iniziali. Viene poi ulteriormente sottolineata nel corso del film, quando il racconto in terza persona viene sospeso quattro volte, in favore dello sguardo soggettivo del protagonista: il primo è per il ritrovamento del cadavere in giardino. E’ questo un “espediente” cinematografico e narrativo utilizzato esclusivamente per il Principe.
In carrozza don Fabrizio mostra uno scettico distacco nei confronti della religione e risponde duramente a Padre Pirrone che allude alle scappatelle di Tancredi e ai fuochi dei ribelli sulla montagna.
Al posto di blocco la carrozza viene fermata, ma i soldati, riconosciuto il passeggero, fanno proseguire il viaggio. Padre Pirrone scende davanti al proprio convento.
Durante il breve viaggio, il colloquio tra i personaggi è filmato dal regista in mezzo PP e sempre all'interno della carrozza, mentre dei fatti esterni (i fuochi, i ribelli) si ha notizia solo attraverso il dialogo. Siamo in presenza di un procedimento tipico della regia viscontiana: alludere alle cose e non mostrarle; l'interesse è tutto sulle parole e sulle reazioni che comportano nell'evoluzione dei personaggi e non sulla semplice visione degli avvenimenti.
Il Principe cammina per un vicolo buio, bussa ad una porta e una ragazza dall'atteggiamento provocante lo fa entrare.
Il mattino seguente il Principe si sta radendo, nello specchio appare riflessa l'immagine del nipote Tancredi. Il giovane dallo sguardo penetrante e dai modi scherzosi ricorda allo zio l'avventura della sera precedente. Don Fabrizio ironizza sull'abbigliamento del ragazzo, che improvvisamente diventa serio e annuncia il proprio passaggio nelle file dei garibaldini. Il Principe colpito dalle parole del nipote si mostra scettico nei confronti della monarchia sabauda e sulle possibilità di un reale cambiamento. Salutato lo zio, Tancredi esce.
Entra così in scena un'altra delle figure fondamentali del film: Tancredi Falconeri.
Il Principe dimostra un evidente simpatia nei riguardi del nipote, in proposito è indicativo un confronto tra la scena iniziale, in cui Salina dispone imperioso sulla vita dei propri familiari, e questa dell'incontro dove prevale il tono colloquiale (l'allusione all'avventura della sera precedente), l'ironia e la discussione sui problemi politici.
Viene così delineato un rapporto paritetico tra zio e nipote dove il rispetto e la stima sono coniugati ad una visione opposta della realtà.
Il legame che unisce i due uomini è reso da Visconti con immediatezza e l'apparizione di Tancredi nello specchio dove si sta radendo lo zio, rappresenta un'implicita chiave di lettura dei personaggi: un uomo anziano e uno giovane, il passato e il presente, entrambi accomunati dall'appartenenza alla stessa classe sociale.
A Tancredi, l'uomo ideale per i nuovi tempi, che con opportunismo si adegua al cambiamento, fa riscontro però lo scetticismo aristocratico del Principe; alla frase del nipote, "se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", don Fabrizio oppone, infatti, la certezza di un passato sorretto da un'antica tradizione storica.
Tancredi saluta i parenti, in particolare la cugina Concetta sembra preoccupata per la sorte del giovane, ma egli la rassicura.
In questa scena è presentato il rapporto tra Concetta e Tancredi: la ragazza dolce, timida e remissiva mostra simpatia per il disinvolto cugino. Alla preoccupazione di lei fa riscontro la spavalda sicurezza di lui: già da questo primo momento sembrano troppo diversi per poter avere insieme un futuro.
Il Principe regala dei soldi a Tancredi, poi insieme ai familiari osserva dal balcone la partenza del nipote.
Nella scena c'è qualcosa di festoso: la partenza di Tancredi è piena di vita e di movimento con l'accorrere sulla terrazza dei bambini, con l'agitarsi dei parasole delle donne, sotto lo sguardo commosso del Principe; solo Concetta rimane sola, isolata nello spazio e con la testa reclinata, sinceramente preoccupata per la sorte del cugino.
In questa questa lunga sequenza si assiste ad un procedimento caratteristico della regia di Visconti: la vastità del racconto figurativo e al tempo stesso la capacità di valorizzare ogni singolo dettaglio o sfumatura sia psicologica che scenografica.
Presentati tutti i componenti della famiglia Salina, il regista torna poi, come nella scena d'apertura, a inquadrare il giardino, e idealmente chiude con un movimento circolare la prima parte del racconto in cui vengono presentati i fatti: lo sbarco dei garibaldini in Sicilia e le reazioni che comportano nei personaggi.
Don Fabrizio sale nell'osservatorio con Padre Pirrone che lo esorta a confessare "l'avventura notturna", ma il Principe scoppia in una risata ironica e gli comunica piuttosto le proprie scoperte politiche.
Osserva in proposito: "Niente succede, niente, solo un inavvertibile sostituzione di ceti. Il ceto medio non vuole distruggerci, ma vuole solo prendere il nostro posto ...con le maniere più dolci...mettendoci magari in tasca qualche migliaio di ducati, e poi tutto può restare com'è, capito Padre? Il nostro è il paese degli accomodamenti".
Pertanto una visione disincantata della storia, permeata di un pessimismo assente nel colloquio con Tancredi, ma che ora trova libero sfogo, nella consapevolezza di appartenere ad una classe sociale ormai al tramonto.
Siamo in presenza della prima meditazione del Principe sugli avvenimenti accaduti, una lettura personale e amara che getta una luce di inquietudine sopra un uomo che sembrava forte e sicuro di sè. Ha inizio così la descrizione della crisi di un individuo costretto a vivere in un mondo in piena trasformazione. Se Tancredi con opportunismo riesce ad adeguarsi al cambiamento, il Principe ribadisce la propria estraneità ai fatti politici: ancora una volta torna l'immagine dello specchio, e l'ambiguità della situazione storica trova nelle parole del Principe quel disincanto critico sconosciuto alla giovanile irruenza del nipote.
Questa scena introduce un altro dei temi presenti nel film: la simbologia che assume il paesaggio. Il racconto si articola attraverso una dicotomia spaziale: agli esterni siciliani bruciati dal sole fanno da contrappunto i sontuosi interni dei palazzi principeschi, dentro i quali se ne stanno rintanati i nobili, ormai raggelati nella loro secolare immobilità. Un paesaggio estremamente luminoso, in cui domina, spesso, una calda tonalità, che non delinea i particolari, ma li stempera in una sorta di deserto monocromo.
Sempre nell’osservatorio il Principe dice: “guardate che bellezza ce ne vorranno di Vittorio Emanuele per mutare questa pozione magica, che ci viene quotidianamente versata". Questa inquadratura del panorama diventa una chiave interpretativa di tutto il Gattopardo (successivamente infatti le "apparizioni" della natura sono sempre legate alla presenza del Principe, come viste idealmente dai suoi occhi), perchè si tratta di uno sguardo materiale, ma anche psichico e "politico". Questo sguardo sul panorama si espande sulla storia, che il Principe vorrebbe immutabile come il paesaggio siciliano. Allora il cannocchiale che accarezza Padre Pirrone, dopo aver invitato il Principe a confessare dei peccati, uno "della carne" e uno "dello spirito", è la metafora di quello sguardo, a cui si sovrappone, con anticipazione fonica, il suono delle trombe della scena successiva (la battaglia tra i garibaldini e le truppe borboniche a Palermo).
Si chiude così la prima unità narrativa del film, alla presentazione di fatti e personaggi fa seguito la meditazione del Principe sugli avvenimenti storici. Con un procedimento tipico della narrazione de Il Gattopardo e presente anche nelle successive unità narrative, il regista lascia trasparire dalle parole di don Fabrizio un'amara considerazione sul presente; ed è in questi momenti di forte impatto emotivo che il monologo interiore del romanzo trova la più aderente delle trascrizioni in immagini.
Solo al Principe è concesso il privilegio della meditazione, solo lui è il protagonista assoluto.
La narrazione viene così strutturata attraverso blocchi drammatici uniti da un montaggio che nega fortemente il legamento (rare sono le dissolvenze, assenti i fondu), ma entro i quali i personaggi si muovono coerentemente alla dinamica spettacolare e sentimentale della sequenza.
Un susseguirsi di scene raccontano l'arrivo dei garibaldini a Palermo: strade assolate, rovine, urla, impiccagioni dei borbonici, sparatorie, assalto ad una barricata. Nella moltitudine dei soldati si riconosce Tancredi che seppur ferito, ripara dentro una chiesa.
Gli avvenimenti annunciati in precedenza hanno ora la loro concreta realizzazione, l'arrivo dei garibaldini e la guerra che segue trova il Falconeri alleato degli antiborbonici.
La musica extradiegetica commenta e rafforza la tensione drammatica della scena.
Un paesaggio desolato di colline assolate e brulle; un paesaggio arcaico di una Sicilia fuori dal tempo, fa da cornice al percorso di quattro carrozze precedute da un cavaliere che sembra far da scorta al convoglio.
La mdp inquadra in mezzo PP Salina, la moglie e Padre Pirrone che stanno viaggiando stanchi e accaldati, nonostante la fatica don Fabrizio ironizza sui nuovi tempi.
Ad un posto di blocco una pattuglia di garibaldini blocca il passaggio, ma Tancredi, il cavaliere a cavallo, interviene e riesce a far passare il convoglio dei parenti.
Quanto precedentemente annunciato nella prima unità narrativa trova ora la completa applicazione: Tancredi arrogante grida le proprie nobili generalità e la recente presenza ai fatti di Palermo: l'ostacolo viene così superato con facilità, niente è cambiato.
La sera alla locanda Padre Pirrone spiega ai contadini la "mentalità" del Principe.
Questo colloquio definisce con maggior chiarezza l'universo entro il quale si muove la figura di don Fabrizio: impassibile nei confronti dell'evoluzione storica, ma profondamente legato alla tradizione, ai segni esteriori, per cui rinunciare alla vacanza a Donnafugata è un dramma ben più terribile della guerra.
In una fattoria i servitori preparano le ceste per la colazione mentre tutti i membri della famiglia si rinfrescano. Quindi, seduti sull'erba, consumano il pasto.
Il Principe ricorda la visita nella villa di Palermo di un generale garibaldino venuto a vedere gli affreschi, la sua conoscenza sarà utile per ottenere il lasciapassare per Donnafugata.
Seconda sospensione del racconto in terza persona, in favore dello sguardo soggettivo del protagonista su fatti avvenuti nel recente passato.
Ancora una volta viene sottolineato il tema della rivoluzione tradita: "niente è successo", nota Salina e così in effetti è accaduto, coloro che dovrebbero apportare dei cambiamenti contravvengono alle loro idee fraternizzando con gli esponenti della vecchia classe.
Il flash-back è chiuso dalle riflessioni di Concetta sulla salute del cugino.
Dei bambini corrono per il paese annunciando l'arrivo delle carrozze. Il sindaco, i notabili del luogo, i contadini e una piccola banda musicale affollano la piazza di Donnafugata, mentre i principi scendono dalle carrozze e salutano i presenti. Tancredi stringe cordialmente la mano a don Calogero Sedàra, il Principe invece riserva i saluti più calorosi ai cani e al guardiacaccia che li tiene in custodia. I Salina si avviano verso la chiesa per il canto del Te deum e seduti sugli scranni, a loro riservati, assistono alla funzione religiosa.
La nobile famiglia appare, in questa scena, come mummificata dalla coltre di polvere del viaggio, spettro e ombra di un passato che sta scomparendo, simbolo estremo di una classe ormai al tramonto.
Viene pertanto ripresa la scelta figurale, presente già nella prima unità narrativa, di sospendere il gruppo familiare nell'immobilità: i Salina come sontuose nature morte contrappuntano una materia narrativa che trova nella dialettica tra presente e passato la forza del proprio racconto.
Nella realizzazione della scena il regista sviluppa le citazioni musicali presenti nel romanzo: dall'aria verdiana "Noi siamo zingarelle" che saluta l'arrivo del corteo, "all'Amami Alfredo" che ne accoglie l'ingresso in scena.
Nel palazzo di Donnafugata don Fabrizio sta facendo il bagno quando Padre Pirrone chiede di essere ricevuto. Il sacerdote, tra l'imbarazzo per la nudità del Principe e l'urgenza della comunicazione, informa Salina dell'amore che Concetta prova per Tancredi. Il Principe ha parole di stima nei confronti della ragazza, ma concretamente non trova che la figlia rappresenti, per Tancredi, la moglie ideale.
Il dialogo tra il sacerdote e il Principe segna un altro momento importante nella definizione del personaggio di don Fabrizio: dalla meditazione sui fatti politici si passa ora ad avvenimenti personali, che egualmente lasciano una traccia indelebile nella vita dell'uomo. Il desiderio di amore della figlia è visto dal Principe come il primo passo verso il proprio personale declino, declino che investe non solo una classe ma anche le vicende personali di un individuo. Ancora una volta si ripete la struttura, già presente nella prima unità narrativa, che coglie nelle riflessioni più intime del Principe, nei "piccoli" colloqui, la forza di un racconto che disegna la parabola umana di un uomo.
La sera nel salotto di palazzo Salina una notizia porta scompiglio: l'arrivo di don Calogero vestito con il frac.
Ancora un segno dei tempi che cambiano e dell'effetto che producono sul Principe: impassibile di fronte alla notizia dello sbarco a Marsala, profondamente colpito invece dalla scelta dell'abito. Nell'universo fatto di raffinatezza e di rispetto delle convenzioni esteriori viene ora ad insinuarsi l'arrivismo dei nuovi ricchi.
L'antagonista, don Calogero, appare goffo e privo di fascino, ma il suo ingresso in scena consegna al Principe altri elementi su cui meditare.
Salutati i presenti e fatti i dovuti convenevoli Sedàra si scusa con i Salina per aver fatto venire, al posto della moglie che non sta bene, la figlia. Dopo qualche minuto di attesa, l'arrivo della bella Angelica crea stupore tra i presenti.
L'ingresso della ragazza è sottolineato dalla musica e dai movimenti della mdp che prima coglie in PP le diverse reazioni dei presenti: stupore in Concetta, ammirazione nel Principe e soprattutto in Tancredi, poi inquadra in FI Angelica che, dopo un attimo di esitazione, attraversa con sicurezza la sala.
Il breve carrello che inquadra Tancredi in PP, la musica - l'adagio del terzo tempo della sinfonia di Nino Rota, che commenterà per il resto del film il legame che unirà la ragazza a Falconeri - sottolinea un incontro tanto importante quanto significativo per la successiva evoluzione della storia. Come spesso accade nei film di Visconti, l'amore è un irruzione violenta, un'apparizione improvvisa che colpisce fulmineamente e sconvolge la vita dei personaggi; ricordiamo, tra i diversi esempi, la presentazione di Gino in Ossessione e quella di Tadzio in Morte a Venezia.
Angelica cortesemente saluta la principessa, don Fabrizio, Concetta e poi viene presentata a Tancredi che si mostra subito molto galante.
Durante il pranzo i commensali conversano, mentre Tancredi, seduto tra Concetta e Angelica, dedica maggiori attenzioni a quest'ultima. Infine racconta un episodio salace che mette fine al pranzo e provoca l'ilarità di Angelica e la forte indignazione di Concetta.
Angelica crea scompiglio nella famiglia: la bellezza, la sensualità, i modi schietti, sintetizzati dalla lunga e prolungata risata per la storiella di Tancredi, rappresentano una svolta nella vicenda. La timida e riservata Concetta, pronta ad arrossire per ogni complimento del cugino, risulta pertanto depotenziata nei confronti di Angelica, che unisce invece alla bellezza una disinvoltura che la rende immediatamente complice di Tancredi. Le attenzioni che quest’ultimo aveva nei riguardi di Concetta entrano così irrimediabilmente in crisi e l'interesse verso una donna di estrazione sociale diversa, diventa anch'essa emblema del cambiamento dei tempi. La risata di Angelica "travolge" per sempre le speranze di Concetta, le buone maniere della nobile famiglia e impone sulla scena una donna nuova: bella, ricca e affascinante.
Questa vicenda introduce un altro tema ricorrente nella filmografia viscontiana: quello della famiglia. Dai Valastro de La terra trema ai Parondi di Rocco e i suoi fratelli fino ai Von Essembeck de La caduta degli dei, il nucleo familiare è al centro del racconto e in queste famiglie c'è una tale commistione tra i vari componenti che la crisi di uno porta anche alla crisi dell'altro. In questo caso la crisi del padre assomiglia a quella della figlia: sia il Principe che Concetta sono entrambi incapaci di aderire al nuovo mondo che si prospetta davanti ai loro occhi. Lei non ha la sicurezza di Angelica, lui non ha l'opportunismo di Tancredi.
Don Fabrizio osserva, dalla finestra del suo studio, Tancredi che, accompagnato da un servitore, si avvia verso la casa dei Sedàra. E’ questo il terzo sguardo soggettivo del Principe.
Nella piazzetta, alcuni giovani con un vistoso SI sul cappello, cantano.
Ancora una volta vengono riprese le musiche indicate nel romanzo, scrive in proposito Lampedusa: "...i ragazzi cantavano alcune strofe della Bella Gigugin trasformate in nenie arabe, sorte cui deve assuefarsi qualsiasi melodietta vivace che voglia essere cantata in Sicilia" (5).
Dal portone del palazzo escono il Principe, Padre Pirrone e don Onofrio che si avviano verso il municipio per la votazione. Al seggio, dopo aver eseguito le operazioni di voto, sono invitati da don Calogero a bere: solo il Principe accetta, gli altri con scuse banali rifiutano.
Nuovamente siamo in presenza di una scena che illustra il deteriorarsi della situazione politica: la pretesa del sindaco di rispetto reciproco nell'ordine della votazione viene meno, quando compare il Principe e tutti i presenti sono invitati a farsi da parte. Apostrofato da don Fabrizio come il Cavour di Donnafugata, Sedàra dimostra la propria ambiguità riservando al nobile un'accoglienza fatta di ossequioso rispetto.
La sera tra attacchi musicali sbagliati e candele che si spengono, don Calogero legge i risultati del plebiscito: all'unanimità risulta vittoriosa l'annessione all'Italia.
Il Principe va a caccia con don Ciccio Tumeo e durante il pranzo chiede a quest'ultimo come ha espresso il proprio voto. Don Ciccio, contrario all'annessione, si è espresso in favore del no.
L'uomo ricorda con rabbia i tempi passati e la fedeltà a quei principi che gli hanno garantito un lavoro e una casa; alla semplicità delle considerazioni fa riscontro la lettura di avvenimenti politici: ai vecchi padroni se ne sostituiranno dei nuovi, ma in entrambi il rispetto della gente è solo una velleità esteriore.
La conversazione cade poi su don Calogero.
Il personaggio di Sedàra viene ora delineato dalle parole di Tumeo come un affarista intelligente, ma senza scrupoli morali. Così un altro tassello va a comporre la figura dell'antagonista del Principe, disegnato ulteriormente come un individuo danaroso, ma meschino.
Il Principe legge alla moglie una lettera nella quale Tancredi lo incarica di chiedere la mano di Angelica: alla disperazione della donna che accusa il nipote di aver ingannato Concetta, fa riscontro la determinazione del Principe che ordina a Stella di tacere.
A caccia, il Principe comunica a don Ciccio le intenzioni di Tancredi, l'uomo stupito dalla notizia rimane allibito e ha un momento di ribellione che fa infuriare don Fabrizio.
La risposta del Principe ("non è la fine di niente") ricorda quella riservata a Padre Pirrone nell'osservatorio: l'ascesa al potere dei nuovi ricchi non comporta quei cambiamenti tanto temuti. Ha inizio pertanto "quell'inavvertibile sostituzione di ceti" annunciata fin dalla prima unità narrativa e la teoria del Principe trova ora la prima e completa applicazione. Don Fabrizio coglie pertanto i segni dell'evoluzione storica e se non partecipa in prima persona al cambiamento, aiuta comunque l'arrivismo di Tancredi nell'ascesa al potere. Anche in queste scene della caccia con don Ciccio Tumeo torna il tema del paesaggio: ora la natura è un luogo immobile, assoluto indifferente alla storia.
Il Principe comunica a don Calogero la richiesta di Tancredi: l'uomo è visibilmente soddisfatto.
Don Fabrizio ricorda, con parole accorate, la nobile stirpe dei Falconeri, tanto illustre in passato quanto priva attualmente di denaro. La risposta di don Calogero è ovviamente positiva e la mancanza di soldi non costituisce un problema, Angelica avrà in dote un cospicuo patrimonio.
Il Principe (favorevolmente colpito dalle parole del sindaco) non presta però eccessiva attenzione a Sedàra e con il ricordo torna alle parole di don Ciccio Tumeo, quando quest'ultimo ha visto donna Bastiana nella chiesa di Donnafugata.
Per la quarta e ultima volta, il racconto in terza persona viene sospeso in favore dello sguardo soggettivo del Principe.
Il sindaco, terminato l'elenco dei beni dati in dote alla figlia, vanta un passato nobiliare che scatena l'ilarità del Principe.
In questa scena il confronto tra due mondi diversi e fino ad allora distanti, trova un momento di convergenza: un grande passato viene "venduto" in cambio di una dote. Siamo così in presenza del confronto diretto tra due personaggi tanto diversi: il nobile legato ad un passato dove la tradizione è coniugata allo sperpero e il borghese danaroso ma privo di un passato tanto illustre. Protagonista e antagonista risultano pertanto contrapposti nell'adesione al reale: all'accorata difesa di una stirpe tanto nobile, dove l'importanza del denaro viene meno quando il risultato determina la raffinatezza e la grazia di un personaggio come Tancredi, fa riscontro una visione della vita basata unicamente sull'accumulo della ricchezza.
L'insinuarsi del calcolo economico-politico nel modo d'essere dell'aristocrazia fondiaria porta così al tramonto quell'alone di estetico romanticismo e di distacco dal mondo reale, da sempre emblema della classe nobiliare.
Significativa in tal senso è la scelta di Visconti che inquadra don Calogero sullo sfondo di un quadro raffigurante i possedimenti di casa Salina: il recente patrimonio di Sedàra va così a sovrapporsi a quello degli antichi padroni.
La scena è chiusa comunque dall'ilarità del Principe che, disposto ad ascoltare Sedàra sulle transazioni economiche, riafferma la propria superiorità di casta, quando don Calogero vanta i propri - improbabili - titoli nobiliari.
Il Principe va a liberare don Ciccio, provvisoriamente rinchiuso nella stanza dei fucili, perchè la notizia non trapelasse prima del suo incontro con Sedàra.
Qualche giorno dopo don Fabrizio sta leggendo ai familiari un romanzo quando il maggiordomo annuncia l'arrivo di Tancredi. Il nipote giunge accompagnato dal conte Cavriaghi e in quest'ultimo riconosciamo uno dei giovani ufficiali che accompagnavano il generale garibaldino nella villa di Palermo. L'atmosfera è allegra e Tancredi mostra ai presenti l'anello acquistato per Angelica, con i soldi dello zio, mentre Cavriaghi regala un libro a Concetta.
La comparsa di Tancredi e Cavriaghi getta una luce nuova sugli avvenimenti: i due, con tempismo, sono passati nell'esercito sabaudo, abbandonando i garibaldini e le loro rosse divise. L'ordine è stato ristabilito e la rivoluzione è stata tradita con il ricorso al trasformismo politico e con la mancata realizzazione di quel mondo nuovo che ha suscitato, durante il Risorgimento, tante speranze.
L'arrivo, inaspettato, di Angelica rende felice Tancredi che mostra immediatamente il dono alla ragazza e poi si apparta con quest'ultima.
La passione che unisce Angelica e Tancredi conosce nelle soffitte del palazzo un momento di grande intensità. I due si aggirano in ambienti disabitati e i resti polverosi di un passato glorioso sembrano rianimarsi di fronte al loro passaggio. Questo amore, un tempo inconcepibile si trasforma ora nel simbolo più evidente del cambiamento dei tempi: la fusione di classi sociali diverse segna la fine di un mondo nobiliare sorretto per secoli dallo spreco e dal potere assoluto. Tancredi, l'uomo ideale per i tempi nuovi, sa approfittarne con astuzia: è certamente innamorato, ma è consapevole anche dell'importanza che verrà a ricoprire nella propria vita il patrimonio di Angelica. Tancredi ha tradito la propria classe, lasciando Concetta, ma ora è pronto ad affrontare le insidie presenti nella società e ad affermare la superiorità del proprio potere un tempo legato ai privilegi di casta e ora al denaro.
Con la corriera arriva il cavaliere Chevalley accolto da Francesco Paolo, uno dei figli del Principe, mentre Cavriaghi tenta inutilmente di corteggiare Concetta.
La sera Chevalley cerca di avere un colloquio con il Principe, ma questi lo rinvia al giorno dopo e lo invita a giocare a carte. Nel frattempo Tancredi e Francesco Paolo spaventano il piemontese con storie agghiaccianti.
Il giorno seguente Chevalley comunica al Principe il motivo della propria visita: la proposta della nomina a senatore del Regno. Il Principe rifiuta e cerca di spiegare al piemontese la mentalità siciliana, poi consiglia per il seggio senatoriale don Calogero.
Fondu.
Il dialogo tra don Fabrizio e Chevalley aggiunge nuove e definitive sfumature psicologiche alla figura del Principe. L'aristocratico distacco che Salina ha avuto nei confronti del reale trova la definitiva affermazione: così la mancanza di ideali e di speranze si tramuta in desiderio di oblio. Salina ammette esplicitamente di appartenere ad un mondo scomparso, al quale però lo uniscono legami sentimentali difficili da recidere, quando poi il presente non presenta alternative credibili.
Conclusa l'evoluzione politica del personaggio, il regista inserisce l'unico fondu presente in tutto il film e sottolinea il pessimismo del Principe anche nella scelta fotografica: nella scena dominano, infatti, i toni cupi e gli attori sono avvolti da una luce di taglio che rende le figure rassomiglianti a funeree silhouette.
Il Principe in abito da caccia accompagna Chevalley alla carrozza.
Il saluto dal piemontese è accompagnato dalle parole amare del Principe che non coglie nel presente i segni di un reale cambiamento, ma anzi comincia a pensare alla morte, argomento questo che verrà poi ampiamente sviluppato nella sequenza del ballo.
A palazzo Ponteleone don Fabrizio e la sua famiglia vengono accolti dai padroni di casa, che salutano tutti i presenti con estrema gentilezza, un'accoglienza particolare è riservata al comandante Pallavicino.
Tancredi corre incontro ad Angelica che si è presentata al ballo in compagnia del padre. La ragazza provoca l'ammirazione dei Ponteleone e degli amici di Tancredi.
Il Principe vaga da un salone all'altro riflettendo sulle persone e intrattenendosi più con se stesso che con gli altri.
Siamo così in presenza di una sequenza fondamentale che chiude l'intera vicenda e dove quasi tutti i personaggi principali sono riuniti intorno al Principe: familiari, amici, muovi ricchi e i militari pronti a ristabilire l'ordine.
I sedimenti luttuosi che hanno accompagnato, per tutto il film, le meditazioni del Principe sulla propria storia personale si trasformano ora, nel momento della fragorosa spettacolarità, in contemplazione interiore. Mentre gli altri aristocratici celebrano la loro sopravvivenza nei fastosi saloni di palazzo Ponteleone, don Fabrizio riconosce in quella illusoria vitalità i presagi della fine imminente. Il Principe pertanto prende le distanze, sia dalla vecchia aristocrazia in declino, sia dai volgari profittatori del nuovo corso.
La festa si trasforma così nel simbolo di una classe arrivata al tramonto e travolta da un doppio movimento: quello del ballo e quello della storia.
Don Fabrizio si ritira nella biblioteca e resta in contemplazione del quadro "La morte del giusto" di Greuze, raggiunto da Tancredi e Angelica si lascia andare a considerazioni sulla morte.
Il Principe prende coscienza non soltanto del tramonto di una classe sociale, ma anche della propria fine e dell'ineluttabile giungere della morte. In tal senso è indicativa la scelta figurale del regista che riprende il Principe nei gesti stanchi, nel caldo soffocante e nella scelta fotografica con le ombre lugubri disegnate sulle pareti, tutti elementi messi in scena per sottolineare il declino di un uomo tanto disincantato quanto ormai lontano dalla vita reale.
Angelica chiede di ballare con il Principe, che accetta.
Angelica e il Principe ballano e per entrambi è un trionfo.
Durante il celebre valzer, una delle scene più famose della storia del cinema, il Principe sostituisce il nipote, ma anche la bellezza di Angelica si rivela un effimero risveglio dei sensi: un corteggiare la morte in uno dei suoi ingannevoli travestimenti.
Durante il rinfresco il Principe ascolta seccato il colonnello Pallavicino che racconta ai presenti, con evidente soddisfazione, la cattura di Garibaldi. Don Fabrizio abbandona i commensali e si incammina verso l'interno della casa.
Angelica si ritira in un salottino con Concetta; arriva Tancredi e Concetta ha un piccolo screzio con il cugino.
Il regista ha voluto aggiungere nel finale uno spunto polemico, inserendo un'allusione alla fucilazione dei disertori dell'esercito regio, che nel 1862 hanno seguito Garibaldi in Aspromonte. Tancredi accenna, infatti, all'esecuzione imminente esibendosi nella sua vera veste politica e provocando la risentita delusione di Concetta. Ormai il trasformismo politico, a cui il giovane Falconeri fa riferimento fin dalla sua prima apparizione nel film, è giunto al culmine: nulla è cambiato e, per chi riesce ad adeguarsi, l'ordine è stato ristabilito.
Visconti inquadra poi Angelica e Tancredi che, rimasti soli, si abbracciano, finchè l'irrompere nel salone degli altri ballerini coinvolge i due fidanzati nella quadriglia: un vincolo simbolico li riporta all'interno della propria classe, a questo fa riscontro il comportamento del Principe che, dopo le parole del colonnello, preferisce l'isolamento ai nobili amici.
Don Fabrizio si guarda allo specchio e una lacrima scende dai suoi occhi.
La musica tace per un momento, "con un lungo PP, la mdp indugia sull'immagine del Principe; poi in controcampo, si sofferma sul volto stesso, in lacrime. Una breve panoramica scopre nel bagno (con una punta sarcastica che tempera l'accento patetico) le file di orinali stracolmi, quindi segue ancora il Principe che passa nel salone vicino. Qui egli appare isolato e come smarrito nella vastità dell'ambiente. Si allontana verso il terrazzo: un breve movimento di panoramica sembra prolungarne il cammino nell'incerta luce dell'alba." (6).
Come osserva Alessandro Bencivegni: "Visconti sottolinea con struggimento l'intuizione di morte del protagonista. Esalta la sua solitudine nell'affollata vanità mondana; il suo pessimismo contro la sicumera dei Pallavicino, dei Sedàra e dello stesso Tancredi. Con quel gioco di specchi, quel ricorso alle lacrime, quel gusto melodrammatico che gli sono propri, interrompe il romanzo al suo culmine lirico, prima che l'epicedio struggente si trasformi in grottesco inventario del passato" (7).
Tancredi comunica al Principe che la moglie e i figli vogliono tornare a casa, riceve però solo disposizioni per provvedere alla carrozza dei parenti: don Fabrizio tornerà da solo.
Il ballo è terminato e in proposito nota Gianni Rondolino: "il carattere ossessivo di questa sequenza, è d'altronde il carattere abituale delle migliori composizioni viscontiane: l'insistere su una situazione data sino alle estreme conseguenze drammatiche, oltre i limiti non già della verosomiglianza, ma della consuetudine spettacolare. Fin dai tempi di Ossessione (in cui l'ossessione che portava i protagonisti all'omicidio e alla morte nasceva e si sviluppava attraverso l'insistenza con cui i piccoli fatti erano osservati e descritti), la dilatazione dei tempi narrativi per consentire l'accumulazione degli elementi appunto 'ossessivi' costituì non soltanto una cifra stilistica del cinema di Visconti, ma anche e soprattutto un modo di vedere e rappresentare il reale nell'intensità delle sue varie manifestazioni; ed era questa intensità a fornire i dati per il giudizio critico, a individuare lo spettatore, progressivamente coinvolto nell'ineluttabilità degli accadimenti, tanto nell'analisi dei fatti quanto nella loro interpretazione." (8)
Il Principe cammina stancamente attraverso alcune vie solitarie. il suono di un campanello lo avverte del passaggio del viatico, si inginocchia e in quell'atteggiamento rivolge un invocazione alla stella Venere: "...quando ti deciderai a darmi un appuntamento meno effimero?".
L'arco narrativo de Il Gattopardo viene così racchiuso tra il "nunc et in hora mortis nostrae" della prima scena e il passaggio finale del viatico: presagio di morte in apertura, annuncio della medesima in chiusura.
Tancredi, Angelica e Sedàra viaggiano sulla loro carrozza quando si avvertono degli spari: la fucilazione dei soldati ribelli passati nelle file dei garibaldini è avvenuta, ma come commenta Tancredi niente è successo.
Il Principe riprende lentamente il proprio cammino.
Come ha notato il critico francese Jean Collet: "ogni film di viscontiano è la storia di un'illusione, la traversata delle apparenze, un viaggio nel profondo della notte. Un eroe di Visconti è sempre qualcuno che sente delle voci e si imbarca alla loro ricerca fino al naufragio. Qualcuno che si immerge nel sogno fino alla sconfitta" (9).
La musica e la pittura
In questo film, come in tutti i film di Visconti, è estremamente importante anche il commento musicale. Nei film del regista milanese la musica non è mai un elemento di rincalzo o di semplice "rifinitura", ma è parte integrante della storia; anche quando vengono utilizzati brani musicali preesistenti, essi vengono piegati ai canoni stilistici del film e mai utilizzati come citazione colta.
Ne Il Gattopardo il commento musicale viene affidato a Nino Rota. In proposito ricorda lo stesso musicista: "Un giorno ci siamo messi in casa di Luchino a cercare tra le mie passate composizioni e tra i miei temi. Luchino mi diceva anche dei temi che si avvicinavano alla sua idea. Mi ricordo che ho suonato dei brani del Faust di Gounod, dei temi di Massenet, dei temi di Wagner. A un certo punto, distrattamente, per associazione di idee, ho cominciato a suonare - come fosse il brano di altri compositori - "L'Adagio", il Terzo Tempo di una Sinfonia che avevo scritto nel 1946-1947. Visconti ne fu entusiasta e disse che quella era la musica de Il Gattopardo. Non solo, dopo che gli feci ascoltare il Quarto Tempo, "Allegro molto agitato", vi individuò immediatamente le caratteristiche adeguate per la lunga sequenza del viaggio di Donnafugata". (9)
Questo è tipico del lavoro di Nino Rota, il tema fatto ascoltare a Visconti faceva parte della "Sinfonia sopra una canzone d'amore" il cui primo tempo era stato composto per la colonna sonora di un altro film La leggenda della montagna di cristallo di Cass e Anton nel 1954. Anche tutti i "ballabili" utilizzati per la sequenza finale della festa a Palazzo Ponteleone vennero ripresi da quelli scritti per Appasionatamente un film di Mario Gentilomo del 1954.
Rota cita se stesso e lo farà spesso nel corso della sua carriera: per esempio il tema d'amore de Il padrino (Francis Ford Coppola, 1972), è una rielaborazione di quello scritto per Fortunella, il film di Eduardo De Filippo del 1958.
Tornando ai ballabili occorre ricordare come questi brani vennero registrati frettolosamente a Palermo, perchè dovevano essere utilizzati come colonna guida durante le riprese. In realtà vennero inseriti anche nell'edizione finale del film: Visconti li trovò realistici e perfetti per ricostruire l'atmosfera di un ballo in cui suonava una piccola orchestra.
Mentre invece la musica del celebre valzer che accompagna la danza del Principe e di Angelica ha una storia singolare: lo spartito composto da Giuseppe Verdi venne ritrovato, casualmente, presso un antiquario romano dal montatore Mario Serandrei che lo regalò a Visconti. Si trattava di un valzer brillante scritto da Verdi nel 1880, nello stesso periodo in cui componeva il Ballo in maschera, e dedicato alla contessa Maffei. Successivamente questo brano venne poi orchestrato da Nino Rota e introdotto ne Il Gattopardo. Oltre a Verdi, Visconti compie nel film un omaggio ad un altro musicista, Vincenzo Bellini, nella scena in cui Concetta accompagna al pianoforte un garibaldino amico di Tancredi intona da La Sonnambula, con "Vi ravviso o luoghi ameni".
Per il resto, come abbiamo già accennato, Visconti sviluppa le citazioni musicali presenti nel romanzo: l'aria verdiana "noi siamo zingarelle" e "L'amami Alfredo" dell'ingresso in chiesa e la "Bella gigugin" cantata dai ragazzi nella scena delle votazioni per il plebiscito.
Un altro elemento fondamentale del film è rappresentato dalla ricerca delle fonti iconografiche. Pochi registi hanno fatto uso della pittura con eleganza e competenza assoluta come Luchino Visconti. Non c'è un solo film - a cominciare da La terra trema che riprende il naturalismo seicentesco, ma anche Pitloo e Recco - che non implichi un profondo sostrato pittorico, del tutto coerente con l'ambientazione del film e, più che mai, con la psicologia dei personaggi.
Per Il Gattopardo Visconti sceglie una materia figurale ricca di riferimenti pittorici e di citazioni tratte dalla pittura ottocentesca. In particolare la scelta cade sui Macchiaioli, ma, come già avvenuto per i riferimenti musicali, anche le fonti iconografiche sono "trattate" come materiali originali, come elementi che rafforzano il racconto e non sono ridotte a sterili citazioni.
In questo film "L'elemosina" di Silvestro Lega e "La dama del giardino" di Vito D'Ancona sono importanti punti di riferimento sia per i costumi che per gli atteggiamenti delle donne nella sequenza di Villa Salina e in parte anche a Donnafugata.
"Pescivendole di Lerici" di Telemaco Signorini e "La filatrice" di Vincenzo Cabianca costruiscono il clima figurativo per la sequenza dei "bassi" di Palermo. Mentre “Garibaldi a Palermo” di Giovanni Fattori ha suggerito l'impostazione centrale per la sequenza della presa di Palermo da parte dei Garibaldini. Infine per la scena finale in cui il Principe di Salina lascia il ballo a palazzo Ponteleone viene chiaramente citato il ritratto fatto da Giovanni Boldini a Verdi, il famoso "Giuseppe Verdi in cilindro" del 1886. Senza dimenticare gli omaggi a Claude Monet e al suo Le déjeuneur sur l’herbe, per il pranzo durante il trasferimento a Donnafugata, a Francesco Hayez per il ritratto di Camillo Benso conte di Cavour, utilizzato per tratteggiare la figura del cavaliere Chevalley di Monterzuolo e solo per citarne alcuni (9).
Luchino Visconti, cenni biografici
Luchino Visconti di Modrone nasce a Milano il 2 novembre 1906. Il padre, il duca Giuseppe, discende da un'antica famiglia aristocratica; baritono dilettante condivide con la moglie Carla Erba, figlia di un facoltoso industriale, la passione per la musica e il melodramma. Passione che viene ereditata anche dal figlio: il futuro regista legge con passione i classici della letteratura europea e studia il violoncello.
Questa cornice familiare fatta di amore per l'arte, raffinatezza e prestigio sociale avrà una grande influenza sull'autore di Senso che in proposito ricorda: "...forse tutti i miei film ne nascondono uno solo; il mio vero film, quello che non ho mai realizzato, è la storia dei Visconti di ieri e di oggi" (10)
Dopo un'adolescenza inquieta contrassegnata da continue fughe da casa e una giovinezza dedicata all'allevamento dei cavalli purosangue e ai viaggi all'estero, Visconti soggiorna stabilmente a Parig, dove conosce Jean Renoir.
L'incontro con il grande regista francese va oltre il dato biografico e segna una svolta nelle scelte professionali e ideologiche del giovane aristocratico, ancora una volta le parole di quest'ultimo sono esplicative in tal senso: "...furono proprio il mio soggiorno in Francia e la conoscenza di un uomo come Renoir che mi aprirono gli occhi su molte cose. Capii che il cinema poteva essere un mezzo per avvicinarsi a certe verità da cui eravamo lontanissimi, specialmente in Italia. Ricordo che La vie est à nous di Renoir, che vidi appena arrivato in Francia, mi fece una profonda impressione. Durante quel periodo ardente - era quella del Fronte Popolare - aderii a tutte le idee, a tutti i principi estetici e non soltanto estetici, ma anche politici. Il gruppo di Renoir era schierato nettamente a sinistra e Renoir stesso, anche se non era iscritto, era certamente molto vicino al partito comunista. In quel momento ho veramente aperto gli occhi: venivo da un paese fascista dove non era possibile sapere niente, nè avere esperienze personali. Subii uno choc. Quanto tornai in Italia, ero veramente molto cambiato..." (11).
L'incontro tra cinema e politica si ripete, infatti, anche in patria, quando Visconti - trasferitosi a Roma - entra in contatto con gli intellettuali antifascisti vicini alla rivista Cinema. Il gruppo è impegnato su due fronti: da un lato cerca di elaborare attraverso la pratica critica un progetto teorico-poetico per innovare profondamente il cinema italiano, dall’altro attraverso la lotta clandestina al regime, si batte per cambiare le sorti politiche dell’Italia.
E' in questo nuovo ambiente di militanti e uomini di cultura - tra i quali ricordiamo Giuseppe De Santis, Pietro Ingrao, Mario Alicata, Michelangelo Antonioni, Umberto Barbaro, Antonio Pietrangeli, Dario e Gianni Puccini - che la passione per il cinema si fa in Visconti urgenza espressiva: nasce Ossesione (1942) .
Già in questo primo film sono presenti alcuni temi ricorrenti di tutte le sue future produzioni: la predilizione per le situazioni estreme, le passioni assolute, la disgregazione del nucleo familiare. Tutti argomenti che per la bigotta e repressiva cultura fascista sono considerati tabù: nasce lo scandalo Ossessione.
L'opera prima del regista milanese segna invece una clamorosa rottura con la stagnante produzione di regime, ormai da anni ancorata ai film del genere "telefoni bianchi" o a quelli in "costume".
La storia d'amore e di morte tra una casalinga e un vagabondo, le lunghe carrellate che accompagnano l'intera vicenda, l'ambiente in esterni dal vero, sono elementi fondamentali di un racconto che ha innovato profondamente la cultura cinematografica italiana, cancellando così una ventennale tradizione narrativa fatta di fondali finti e di storie banali.
Il film sfugge ad ogni catalogazione e per definirlo è necessario creare un nuovo aggettivo: "neorealistico", si apre così la stagione più esaltante e innovativa della cinematografia italiana.
Ma la guerra incombe e Visconti, ormai vicino alle posizioni politiche del Partito Comunista, aderisce alla lotta partigiana subendo le sorti di tutti coloro che in quel periodo si battono per la libertà e la democrazia: arrestato da Koch e imprigionato dapprima nella famigerata pensione Jaccarino, sfugge fortunosamente la condanna a morte.
Dopo la Liberazione torna al lavoro con un documentario sulla Resistenza: Giorni di Gloria (1945), a cui fa seguito un'intensa attività teatrale che si contraddistingue per le innovazioni della messa in scena e per la scelta di un repertorio in cui vengono affrontate tematiche come l'incesto, l'omosessualità, la disoccupazione, la colpa di chi ha opposto il silenzio ai soprusi e la guerra di Spagna vista dalla parte dei soldati repubblicani: nuovamente è scandalo e provocazione.
Negli anni della ricostruzione per Visconti il teatro diventa infatti il luogo privilegiato dell'espiazione e della purificazione dalle colpe passate e la catarsi è legata a testi fino ad allora mai rappresentati in Italia come, I parenti terribili di Jean Cocteau, A porte chiuse di Jean Paul Sartre, La via del tabacco di Erskine Caldwell, Zoo di vetro di Tennessee Williams e La Quinta colonna di Ernst Hemingway.
Nel 1948 torna alla regia cinematografica con La terra trema, film tratto dal libro I Malavoglia di Giovanni Verga e interpretato da pescatori siciliani, a cui fa seguito Bellissima (1951).
Dopo queste due opere Visconti abbandona la poetica neorealista che considera scaduta ormai a bozzettismo qualunquista, in favore di una personale tematica dominata dai forti contrasti morali, dal tema della sconfitta e della disillusione. In proposito ricordiamo Senso (1954), un acuto ritratto della cattiva coscienza risorgimentale e Le notti bianche (1957) estrema critica al neorealismo.
Memorabili in questi anni anche la messinscena di opere liriche, che trovano in Maria Callas l'interprete ideale capace di esprimere una perfetta fusione di musica, dramma e canto: La Vestale (1954), La Sonnambula (1954), La Traviata (1955) sono alcune delle tappe che scandiscono una collaborazione tanto proficua quanto innovativa, dove l'interpretazione della cantante e la regia assumono un ruolo paritetico rispetto alla direzione musicale.
Il melodramma diventa pertanto la cifra stilistica di un autore che cerca la sintesi tra mito e storia, fra la grande tradizione letteraria dell'ottocento e la cultura nazional-popolare, come in Rocco e i suoi fratelli (1960).
Successivamente Visconti passa a descrivere l'ambiente sociale che gli è più familiare in Boccaccio 70 (episodio Il Lavoro, 1963), dove costruisce un caustico ritratto di una coppia di aristocratici in crisi sentimentale, e ne Il Gattopardo (Palma d'oro al Festival di Cannes, 1963), grandioso affresco incentrato sulla contraddizione tra coscienza storica e memoria nostalgica, fra ideologia marxista e sensibilità aristocratica.
Dopo la realizzazione di Vaghe stelle dell'orsa (1965), sul tema dell'incesto, e Lo straniero (1967), dall'omonimo libro di Albert Camus, passa a dirigere tre film ispirati alla letteratura e alla musica tedesca. Una trilogia accomunata dal tema della sconfitta: dal crollo del mondo patriarcale ne La caduta degli dei (1969), al decadimento del 'decoro' borghese in Morte a Venezia (1971), fino alla caduta del mito aristocratico in Ludwig (1973).
Durante le riprese di quest'ultimo film Visconti viene colto da una grave malattia; semiparalizzato torna comunque al lavoro con Gruppo di famiglia in un interno (1974), un'accorata testimonianza sulla propria difficoltà a capire il presente e una realtà che si mostra problematica e senza più la tensione morale del passato.
Il suo sguardo si rivolge allora al mondo della sua infanzia, alla atmosfera storico-culturale delle proprie origini, al mondo dannunziano, come ne L'innocente (1973). Durante il montaggio di quest'ultima opera Luchino Visconti muore a Roma il 17 marzo 1976.
Note
1) Suso Cecchi D'Amico, Il Gattopardo, Roma, Cappelli, 1963, p. 23
2) Pio Baldelli, Luchino Visconti, Milano, Mazzotta, 1982, p. 226
3) Gianni Rondolino, Luchino Visconti, Torino, Utet, 1981, p. 436
4) Cecchi D'Amico, cit., p. 24
5) Alessandro Bencivegni, Visconti, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p. 54
6) Bencivegni, cit. p. 55
7) Gianni Rondolino, Luchino Visconti, Torino, UTET, 1981, p. 436
8) Jean Collet, "Les abscences de Sandra", Cahiers du cinèma, n. 149, 1966, p. 123
9) Per quanto riguarda il complesso rapporto cinema e pittura ne Il Gattopardo, rimandiamo a: Stefania Severi, “L’arte figurativa e Il Gattopardo di Visconti: presenza, citazione, ispirazione” in AAVV, Visconti e Il Gattopardo, De Agostini/Rizzoli, 2001
10) Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario universale del cinema, Roma, Editori Riuniti, 1985, p. 1348
11) Laurence Schifano, I fuochi della passione, Milano, Longanesi, 1987, p.. 124. Luchino Visconti partecipa come aiuto-regista di Jean Renoir a Toni (1934), Une partie de campagne (La scampagnata, 1936)
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2) La recita del rosario. Voci concitate dal giardino
3) Il Principe riceve la notizia dello sbarco dei Garibaldini (11 maggio 1860). Decide di recarsi a Palermo. Crisi di pianto della principessa
4) In giardino: ritrovamento del soldato morto
5) Viaggio verso Palermo del Principe accompagnato da padre Pirrone, che lo invita a indurre a maggiore prudenza il nipote Tancredi; un posto di blocco; la casa di Marianina in un ambiente degradato
6) Il mattino dialogo tra il Principe e Tancredi; il nipote annuncia che partirà per la guerra contro Franceschiello: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi". La vestizione del Principe
7) La partenza di Tancredi. Il commiato. I familiari dalla balaustra del terrazzo seguono con lo sguardo l'allontanarsi del calesse.
8) Il Principe nell’osservatorio con padre Pirrone, considerazioni d'ordine morale e politico
9) I garibaldini in città, assalto di Porta Termini: esecuzioni di popolani da parte di truppe governative, la vendetta della popolazione inferocita; Tancredi tra i combattenti nelle file garibaldine
10) Il viaggio per Donnafugata in un paesaggio assolato e desertico; le carrozze ferme ad un posto di blocco garibaldino; l'intervento risoluto di Tancredi
11) Una sosta all'osteria; padre Pirrone definisce i "signori" e la loro atavica "differenza"
12) La nobile famiglia consuma il pranzo in campagna
13) Il Principe ricorda la visita a palazzo Salina di Tancredi, in compagnia di ufficiali garibaldini. I due ospiti ammirano gli affreschi del palazzo
14) Ancora nel corso della sosta, Tancredi e Concetta
15) Continua la rievocazione della visita dei compagni d'armi di Tancredi; in quella circostanza Concetta manifesta preoccupazione per la ferita di Tancredi
16) L’arrivo a Donnafugata: il benvenuto del sindaco Sedàra e di don Ciccio Tumeo. In chiesa: il Ringraziamento.
17) La conversazione nel bagno con padre Pirrone a proposito di Concetta
18) Il pranzo e le varie reazioni all'ingresso di Sedàra; prima apparizione di Angelica; conversazioni a tavola; il racconto di Tancredi sulle imprese belliche; imbarazzante risata di Angelica; risentimento di Concetta
19) Dall'alto del palazzo il Principe vede Tancredi andare a far visita ad Angelica
20) Il plebiscito il Principe va a votare accompagnato da padre Pirrone; il rinfresco offerto al Principe dal sindaco
21) Il sindaco annuncia tra interruzioni di varia natura l'esito del Plebiscito; dall'alto il Principe osserva la scena.
22) All’alba: la partenza per la caccia con don Ciccio Tumeo; conversazione sul Plebiscito e su Sedàra.
23) Camera da letto: il Principe ha tra le mani la lettera di Tancredi con la richiesta di matrimonio; la moglie piange ma il Principe acconsente alle nozze.
24) Ancora il Principe a caccia; annuncia il matrimonio tra Tancredi e Angelica a don Ciccio Tumeo.
25) Il Principe incontra Sedàra; richiesta di matrimonio e accordi. il Principe evoca l'immagine della bellissima moglie di don Calogero Sedàra, attribuendole le fattezze di Angelica. Il Principe libera don Ciccio Tumeo, provvisoriamente chiuso nella stanza dei fucili perché non trapelasse la notizia del matrimonio.
26) Ritorno di Tancredi e di Cavriaghi, che corteggia invano Concetta (le dona i canti dell'Aleardi); Tancredi annuncia di essere entrato nell'esercito sabaudo; il dono dell'anello ad Angelica.
27) Tancredi ed Angelica nelle soffitte del palazzo
28) Il cavaliere Chevalley arriva a Donnafugata
29) Chevalley gioca a carte nel salotto di Palazzo Salina; Tancredi si compiace nel riferire a Chevalley vicende di violenza e di sangue accadute in Sicilia
30) Dialogo tra il Principe e Chevalley: don Fabrizio rifiuta la carica di senatore. “Raccomanda” per l’incarico Sedàra.
31) Chevalley accompagnato da don Fabrizio parte all’alba, attraversando un paesaggio di miseria e degrado
32) La sala del ballo; ingresso di Pallavicino e dei Sedàra, pensosità del Principe, che osserva la propria immagine stanca allo specchio
33) Il Principe in biblioteca; il quadro del Greuze; il corteggiamento della morte. La seduzione di Angelica.
34) Don Fabrizio balla con Angelica; la cena; la conversazione di Pallavicino
35) Dialogo tra Angelica, Concetta, poi Tancredi; il ballo continua; il Principe allo specchio: sul suo viso una lacrima
36) Il ballo finisce, si ritorna a casa; i commiati
37) Il Principe rincasa a piedi, solo, in un paesaggio livido e desolato
38) Passa il Viatico: il Principe si inginocchia; pensieri di morte
39) In carrozza Sedàra, Angelica e Tancredi soddisfatti e stanchi Spari in lontananza, commento rassicurante di Sedàra
40) Il Principe a piedi si allontana immergendosi nell'oscurità di un vicolo
ANALISI DEL FILM
I titoli di testa scorrono sulle immagini di Villa Salina: con movimenti di macchina avvolgenti viene inquadrato il giardino con le statue, l'aranceto, il viale d'ingresso e la terrazza della dimora.
Il lento fluire di immagini viene sottolineato dalla musica ("l'allegro maestoso" del commento di Nino Rota), che progressivamente avvicina lo spettatore ad uno dei luoghi dove si svolgerà la vicenda.
C’è in questo inizio del film un intrecciarsi di carrellate e panoramiche (che da destra vanno verso sinistra) che ripropongono il modo tipico della scrittura e sembrano sottolinenare la musicalità e il ritmo narrativo presente nel romanzo di Lampedusa.
Terminati i credits la macchina si arresta sulle tende gonfiate dal vento: dall'interno della casa proviene un brusio di voci che recitano una preghiera.
Altra scelta allusiva del regista: le tende gonfiate dal vento, sembrano quasi indicare la storia che preme contro il mondo chiuso dell’aristocrazia.
Dopo un attimo di pausa, le immagini riprendono il loro lento fluire e introducono nel vasto salone rococò dal soffitto affrescato, dove il Principe Salina e i suoi familiari, Padre Pirrone e la servitù, recitano il rosario.
Viene così presentato uno dei luoghi fondamentali della vicenda, il palcoscenico ideale nel quale si muovono i protagonisti della storia: il salone, la terrazza, il giardino e naturalmente i Salina. Il gruppo familiare è ripreso nell'immobilità della preghiera, uno dei tanti riti quotidiani che scandiscono la vita di persone legate ad una ferrea disciplina. Nel corso del film troveremo spesso questo motivo dei cerimoniali (la caccia, la lettura, la vestizione) che non scadono mai a pura illustrazione, ma danno il senso della fine imminente di una classe sociale ormai cristallizzata nella ripetitività ossessiva di gesti quotidiani, di azioni immutate da secoli, e pertanto incapace di aderire ad un presente in continua evoluzione.
La preghiera è disturbata dalle grida (fuori campo) di voci concitate: tutti si distraggono solo il Principe rimane imperturbabile.
Finita la funzione entra un cameriere che annuncia la scoperta in giardino del cadavere di un soldato, poi consegna al padrone di casa una lettera del duca di Màlvica.
Gli avvenimenti storici sono entrati prepotentemente nella vita dei Salina, anche la loro antica dimora non è più un luogo sicuro: i resti del garibaldino sono il segno tangibile dell’inarrestabile cambiamento storico ormai in atto.
La missiva porta notizie che sconvolgono i presenti: Garibaldi è sbarcato a Marsala. Tra lacrime e grida di paura solo don Fabrizio rimane impassibile, anzi ordina al figlio Paolo un improvviso viaggio a Palermo per 'difendere' il palazzo Salina, rimasto provvisoriamente vuoto per le vacanze estive. L'agitazione aumenta, la moglie sviene e il Principe infastidito decide di passare la sera nel capoluogo siciliano, ordina così a Padre Pirrone di seguirlo e agli stallieri di preparare la carrozza.
La scena è chiusa dalla famiglia che si inginocchia e ricomincia a pregare, mentre don Fabrizio esce dalla stanza.
Fin da queste prime scene si staglia su tutti la figura del Principe Salina: alto, biondo, dai modi sicuri e imperturbabili di chi non perde mai la calma, ma anche imperioso, con l'atteggiamento tipico di chi è stato educato al comando.
I passi con i quali attraversa i saloni assomigliano a quelli di un generale che passa in rassegna i soldati, e così fa il nobile: impartisce ordini al figlio maggiore, si trascina dietro il sacerdote e non presta eccessive attenzioni allo sgomento dei familiari.
Anche la reazione agli avvenimenti storici (lo sbarco di Garibaldi) è quella di un uomo più infastidito che impaurito: "coniglio", infatti, risponderà alla lettera del duca di Màlvica. Come già sottolineato, nel film la figura del Principe Salina è quella del protagonista assoluto di tutta la vicenda e questa superiorità è rimarcata dal regista fin dalle scene iniziali. Viene poi ulteriormente sottolineata nel corso del film, quando il racconto in terza persona viene sospeso quattro volte, in favore dello sguardo soggettivo del protagonista: il primo è per il ritrovamento del cadavere in giardino. E’ questo un “espediente” cinematografico e narrativo utilizzato esclusivamente per il Principe.
In carrozza don Fabrizio mostra uno scettico distacco nei confronti della religione e risponde duramente a Padre Pirrone che allude alle scappatelle di Tancredi e ai fuochi dei ribelli sulla montagna.
Al posto di blocco la carrozza viene fermata, ma i soldati, riconosciuto il passeggero, fanno proseguire il viaggio. Padre Pirrone scende davanti al proprio convento.
Durante il breve viaggio, il colloquio tra i personaggi è filmato dal regista in mezzo PP e sempre all'interno della carrozza, mentre dei fatti esterni (i fuochi, i ribelli) si ha notizia solo attraverso il dialogo. Siamo in presenza di un procedimento tipico della regia viscontiana: alludere alle cose e non mostrarle; l'interesse è tutto sulle parole e sulle reazioni che comportano nell'evoluzione dei personaggi e non sulla semplice visione degli avvenimenti.
Il Principe cammina per un vicolo buio, bussa ad una porta e una ragazza dall'atteggiamento provocante lo fa entrare.
Il mattino seguente il Principe si sta radendo, nello specchio appare riflessa l'immagine del nipote Tancredi. Il giovane dallo sguardo penetrante e dai modi scherzosi ricorda allo zio l'avventura della sera precedente. Don Fabrizio ironizza sull'abbigliamento del ragazzo, che improvvisamente diventa serio e annuncia il proprio passaggio nelle file dei garibaldini. Il Principe colpito dalle parole del nipote si mostra scettico nei confronti della monarchia sabauda e sulle possibilità di un reale cambiamento. Salutato lo zio, Tancredi esce.
Entra così in scena un'altra delle figure fondamentali del film: Tancredi Falconeri.
Il Principe dimostra un evidente simpatia nei riguardi del nipote, in proposito è indicativo un confronto tra la scena iniziale, in cui Salina dispone imperioso sulla vita dei propri familiari, e questa dell'incontro dove prevale il tono colloquiale (l'allusione all'avventura della sera precedente), l'ironia e la discussione sui problemi politici.
Viene così delineato un rapporto paritetico tra zio e nipote dove il rispetto e la stima sono coniugati ad una visione opposta della realtà.
Il legame che unisce i due uomini è reso da Visconti con immediatezza e l'apparizione di Tancredi nello specchio dove si sta radendo lo zio, rappresenta un'implicita chiave di lettura dei personaggi: un uomo anziano e uno giovane, il passato e il presente, entrambi accomunati dall'appartenenza alla stessa classe sociale.
A Tancredi, l'uomo ideale per i nuovi tempi, che con opportunismo si adegua al cambiamento, fa riscontro però lo scetticismo aristocratico del Principe; alla frase del nipote, "se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", don Fabrizio oppone, infatti, la certezza di un passato sorretto da un'antica tradizione storica.
Tancredi saluta i parenti, in particolare la cugina Concetta sembra preoccupata per la sorte del giovane, ma egli la rassicura.
In questa scena è presentato il rapporto tra Concetta e Tancredi: la ragazza dolce, timida e remissiva mostra simpatia per il disinvolto cugino. Alla preoccupazione di lei fa riscontro la spavalda sicurezza di lui: già da questo primo momento sembrano troppo diversi per poter avere insieme un futuro.
Il Principe regala dei soldi a Tancredi, poi insieme ai familiari osserva dal balcone la partenza del nipote.
Nella scena c'è qualcosa di festoso: la partenza di Tancredi è piena di vita e di movimento con l'accorrere sulla terrazza dei bambini, con l'agitarsi dei parasole delle donne, sotto lo sguardo commosso del Principe; solo Concetta rimane sola, isolata nello spazio e con la testa reclinata, sinceramente preoccupata per la sorte del cugino.
In questa questa lunga sequenza si assiste ad un procedimento caratteristico della regia di Visconti: la vastità del racconto figurativo e al tempo stesso la capacità di valorizzare ogni singolo dettaglio o sfumatura sia psicologica che scenografica.
Presentati tutti i componenti della famiglia Salina, il regista torna poi, come nella scena d'apertura, a inquadrare il giardino, e idealmente chiude con un movimento circolare la prima parte del racconto in cui vengono presentati i fatti: lo sbarco dei garibaldini in Sicilia e le reazioni che comportano nei personaggi.
Don Fabrizio sale nell'osservatorio con Padre Pirrone che lo esorta a confessare "l'avventura notturna", ma il Principe scoppia in una risata ironica e gli comunica piuttosto le proprie scoperte politiche.
Osserva in proposito: "Niente succede, niente, solo un inavvertibile sostituzione di ceti. Il ceto medio non vuole distruggerci, ma vuole solo prendere il nostro posto ...con le maniere più dolci...mettendoci magari in tasca qualche migliaio di ducati, e poi tutto può restare com'è, capito Padre? Il nostro è il paese degli accomodamenti".
Pertanto una visione disincantata della storia, permeata di un pessimismo assente nel colloquio con Tancredi, ma che ora trova libero sfogo, nella consapevolezza di appartenere ad una classe sociale ormai al tramonto.
Siamo in presenza della prima meditazione del Principe sugli avvenimenti accaduti, una lettura personale e amara che getta una luce di inquietudine sopra un uomo che sembrava forte e sicuro di sè. Ha inizio così la descrizione della crisi di un individuo costretto a vivere in un mondo in piena trasformazione. Se Tancredi con opportunismo riesce ad adeguarsi al cambiamento, il Principe ribadisce la propria estraneità ai fatti politici: ancora una volta torna l'immagine dello specchio, e l'ambiguità della situazione storica trova nelle parole del Principe quel disincanto critico sconosciuto alla giovanile irruenza del nipote.
Questa scena introduce un altro dei temi presenti nel film: la simbologia che assume il paesaggio. Il racconto si articola attraverso una dicotomia spaziale: agli esterni siciliani bruciati dal sole fanno da contrappunto i sontuosi interni dei palazzi principeschi, dentro i quali se ne stanno rintanati i nobili, ormai raggelati nella loro secolare immobilità. Un paesaggio estremamente luminoso, in cui domina, spesso, una calda tonalità, che non delinea i particolari, ma li stempera in una sorta di deserto monocromo.
Sempre nell’osservatorio il Principe dice: “guardate che bellezza ce ne vorranno di Vittorio Emanuele per mutare questa pozione magica, che ci viene quotidianamente versata". Questa inquadratura del panorama diventa una chiave interpretativa di tutto il Gattopardo (successivamente infatti le "apparizioni" della natura sono sempre legate alla presenza del Principe, come viste idealmente dai suoi occhi), perchè si tratta di uno sguardo materiale, ma anche psichico e "politico". Questo sguardo sul panorama si espande sulla storia, che il Principe vorrebbe immutabile come il paesaggio siciliano. Allora il cannocchiale che accarezza Padre Pirrone, dopo aver invitato il Principe a confessare dei peccati, uno "della carne" e uno "dello spirito", è la metafora di quello sguardo, a cui si sovrappone, con anticipazione fonica, il suono delle trombe della scena successiva (la battaglia tra i garibaldini e le truppe borboniche a Palermo).
Si chiude così la prima unità narrativa del film, alla presentazione di fatti e personaggi fa seguito la meditazione del Principe sugli avvenimenti storici. Con un procedimento tipico della narrazione de Il Gattopardo e presente anche nelle successive unità narrative, il regista lascia trasparire dalle parole di don Fabrizio un'amara considerazione sul presente; ed è in questi momenti di forte impatto emotivo che il monologo interiore del romanzo trova la più aderente delle trascrizioni in immagini.
Solo al Principe è concesso il privilegio della meditazione, solo lui è il protagonista assoluto.
La narrazione viene così strutturata attraverso blocchi drammatici uniti da un montaggio che nega fortemente il legamento (rare sono le dissolvenze, assenti i fondu), ma entro i quali i personaggi si muovono coerentemente alla dinamica spettacolare e sentimentale della sequenza.
Un susseguirsi di scene raccontano l'arrivo dei garibaldini a Palermo: strade assolate, rovine, urla, impiccagioni dei borbonici, sparatorie, assalto ad una barricata. Nella moltitudine dei soldati si riconosce Tancredi che seppur ferito, ripara dentro una chiesa.
Gli avvenimenti annunciati in precedenza hanno ora la loro concreta realizzazione, l'arrivo dei garibaldini e la guerra che segue trova il Falconeri alleato degli antiborbonici.
La musica extradiegetica commenta e rafforza la tensione drammatica della scena.
Un paesaggio desolato di colline assolate e brulle; un paesaggio arcaico di una Sicilia fuori dal tempo, fa da cornice al percorso di quattro carrozze precedute da un cavaliere che sembra far da scorta al convoglio.
La mdp inquadra in mezzo PP Salina, la moglie e Padre Pirrone che stanno viaggiando stanchi e accaldati, nonostante la fatica don Fabrizio ironizza sui nuovi tempi.
Ad un posto di blocco una pattuglia di garibaldini blocca il passaggio, ma Tancredi, il cavaliere a cavallo, interviene e riesce a far passare il convoglio dei parenti.
Quanto precedentemente annunciato nella prima unità narrativa trova ora la completa applicazione: Tancredi arrogante grida le proprie nobili generalità e la recente presenza ai fatti di Palermo: l'ostacolo viene così superato con facilità, niente è cambiato.
La sera alla locanda Padre Pirrone spiega ai contadini la "mentalità" del Principe.
Questo colloquio definisce con maggior chiarezza l'universo entro il quale si muove la figura di don Fabrizio: impassibile nei confronti dell'evoluzione storica, ma profondamente legato alla tradizione, ai segni esteriori, per cui rinunciare alla vacanza a Donnafugata è un dramma ben più terribile della guerra.
In una fattoria i servitori preparano le ceste per la colazione mentre tutti i membri della famiglia si rinfrescano. Quindi, seduti sull'erba, consumano il pasto.
Il Principe ricorda la visita nella villa di Palermo di un generale garibaldino venuto a vedere gli affreschi, la sua conoscenza sarà utile per ottenere il lasciapassare per Donnafugata.
Seconda sospensione del racconto in terza persona, in favore dello sguardo soggettivo del protagonista su fatti avvenuti nel recente passato.
Ancora una volta viene sottolineato il tema della rivoluzione tradita: "niente è successo", nota Salina e così in effetti è accaduto, coloro che dovrebbero apportare dei cambiamenti contravvengono alle loro idee fraternizzando con gli esponenti della vecchia classe.
Il flash-back è chiuso dalle riflessioni di Concetta sulla salute del cugino.
Dei bambini corrono per il paese annunciando l'arrivo delle carrozze. Il sindaco, i notabili del luogo, i contadini e una piccola banda musicale affollano la piazza di Donnafugata, mentre i principi scendono dalle carrozze e salutano i presenti. Tancredi stringe cordialmente la mano a don Calogero Sedàra, il Principe invece riserva i saluti più calorosi ai cani e al guardiacaccia che li tiene in custodia. I Salina si avviano verso la chiesa per il canto del Te deum e seduti sugli scranni, a loro riservati, assistono alla funzione religiosa.
La nobile famiglia appare, in questa scena, come mummificata dalla coltre di polvere del viaggio, spettro e ombra di un passato che sta scomparendo, simbolo estremo di una classe ormai al tramonto.
Viene pertanto ripresa la scelta figurale, presente già nella prima unità narrativa, di sospendere il gruppo familiare nell'immobilità: i Salina come sontuose nature morte contrappuntano una materia narrativa che trova nella dialettica tra presente e passato la forza del proprio racconto.
Nella realizzazione della scena il regista sviluppa le citazioni musicali presenti nel romanzo: dall'aria verdiana "Noi siamo zingarelle" che saluta l'arrivo del corteo, "all'Amami Alfredo" che ne accoglie l'ingresso in scena.
Nel palazzo di Donnafugata don Fabrizio sta facendo il bagno quando Padre Pirrone chiede di essere ricevuto. Il sacerdote, tra l'imbarazzo per la nudità del Principe e l'urgenza della comunicazione, informa Salina dell'amore che Concetta prova per Tancredi. Il Principe ha parole di stima nei confronti della ragazza, ma concretamente non trova che la figlia rappresenti, per Tancredi, la moglie ideale.
Il dialogo tra il sacerdote e il Principe segna un altro momento importante nella definizione del personaggio di don Fabrizio: dalla meditazione sui fatti politici si passa ora ad avvenimenti personali, che egualmente lasciano una traccia indelebile nella vita dell'uomo. Il desiderio di amore della figlia è visto dal Principe come il primo passo verso il proprio personale declino, declino che investe non solo una classe ma anche le vicende personali di un individuo. Ancora una volta si ripete la struttura, già presente nella prima unità narrativa, che coglie nelle riflessioni più intime del Principe, nei "piccoli" colloqui, la forza di un racconto che disegna la parabola umana di un uomo.
La sera nel salotto di palazzo Salina una notizia porta scompiglio: l'arrivo di don Calogero vestito con il frac.
Ancora un segno dei tempi che cambiano e dell'effetto che producono sul Principe: impassibile di fronte alla notizia dello sbarco a Marsala, profondamente colpito invece dalla scelta dell'abito. Nell'universo fatto di raffinatezza e di rispetto delle convenzioni esteriori viene ora ad insinuarsi l'arrivismo dei nuovi ricchi.
L'antagonista, don Calogero, appare goffo e privo di fascino, ma il suo ingresso in scena consegna al Principe altri elementi su cui meditare.
Salutati i presenti e fatti i dovuti convenevoli Sedàra si scusa con i Salina per aver fatto venire, al posto della moglie che non sta bene, la figlia. Dopo qualche minuto di attesa, l'arrivo della bella Angelica crea stupore tra i presenti.
L'ingresso della ragazza è sottolineato dalla musica e dai movimenti della mdp che prima coglie in PP le diverse reazioni dei presenti: stupore in Concetta, ammirazione nel Principe e soprattutto in Tancredi, poi inquadra in FI Angelica che, dopo un attimo di esitazione, attraversa con sicurezza la sala.
Il breve carrello che inquadra Tancredi in PP, la musica - l'adagio del terzo tempo della sinfonia di Nino Rota, che commenterà per il resto del film il legame che unirà la ragazza a Falconeri - sottolinea un incontro tanto importante quanto significativo per la successiva evoluzione della storia. Come spesso accade nei film di Visconti, l'amore è un irruzione violenta, un'apparizione improvvisa che colpisce fulmineamente e sconvolge la vita dei personaggi; ricordiamo, tra i diversi esempi, la presentazione di Gino in Ossessione e quella di Tadzio in Morte a Venezia.
Angelica cortesemente saluta la principessa, don Fabrizio, Concetta e poi viene presentata a Tancredi che si mostra subito molto galante.
Durante il pranzo i commensali conversano, mentre Tancredi, seduto tra Concetta e Angelica, dedica maggiori attenzioni a quest'ultima. Infine racconta un episodio salace che mette fine al pranzo e provoca l'ilarità di Angelica e la forte indignazione di Concetta.
Angelica crea scompiglio nella famiglia: la bellezza, la sensualità, i modi schietti, sintetizzati dalla lunga e prolungata risata per la storiella di Tancredi, rappresentano una svolta nella vicenda. La timida e riservata Concetta, pronta ad arrossire per ogni complimento del cugino, risulta pertanto depotenziata nei confronti di Angelica, che unisce invece alla bellezza una disinvoltura che la rende immediatamente complice di Tancredi. Le attenzioni che quest’ultimo aveva nei riguardi di Concetta entrano così irrimediabilmente in crisi e l'interesse verso una donna di estrazione sociale diversa, diventa anch'essa emblema del cambiamento dei tempi. La risata di Angelica "travolge" per sempre le speranze di Concetta, le buone maniere della nobile famiglia e impone sulla scena una donna nuova: bella, ricca e affascinante.
Questa vicenda introduce un altro tema ricorrente nella filmografia viscontiana: quello della famiglia. Dai Valastro de La terra trema ai Parondi di Rocco e i suoi fratelli fino ai Von Essembeck de La caduta degli dei, il nucleo familiare è al centro del racconto e in queste famiglie c'è una tale commistione tra i vari componenti che la crisi di uno porta anche alla crisi dell'altro. In questo caso la crisi del padre assomiglia a quella della figlia: sia il Principe che Concetta sono entrambi incapaci di aderire al nuovo mondo che si prospetta davanti ai loro occhi. Lei non ha la sicurezza di Angelica, lui non ha l'opportunismo di Tancredi.
Don Fabrizio osserva, dalla finestra del suo studio, Tancredi che, accompagnato da un servitore, si avvia verso la casa dei Sedàra. E’ questo il terzo sguardo soggettivo del Principe.
Nella piazzetta, alcuni giovani con un vistoso SI sul cappello, cantano.
Ancora una volta vengono riprese le musiche indicate nel romanzo, scrive in proposito Lampedusa: "...i ragazzi cantavano alcune strofe della Bella Gigugin trasformate in nenie arabe, sorte cui deve assuefarsi qualsiasi melodietta vivace che voglia essere cantata in Sicilia" (5).
Dal portone del palazzo escono il Principe, Padre Pirrone e don Onofrio che si avviano verso il municipio per la votazione. Al seggio, dopo aver eseguito le operazioni di voto, sono invitati da don Calogero a bere: solo il Principe accetta, gli altri con scuse banali rifiutano.
Nuovamente siamo in presenza di una scena che illustra il deteriorarsi della situazione politica: la pretesa del sindaco di rispetto reciproco nell'ordine della votazione viene meno, quando compare il Principe e tutti i presenti sono invitati a farsi da parte. Apostrofato da don Fabrizio come il Cavour di Donnafugata, Sedàra dimostra la propria ambiguità riservando al nobile un'accoglienza fatta di ossequioso rispetto.
La sera tra attacchi musicali sbagliati e candele che si spengono, don Calogero legge i risultati del plebiscito: all'unanimità risulta vittoriosa l'annessione all'Italia.
Il Principe va a caccia con don Ciccio Tumeo e durante il pranzo chiede a quest'ultimo come ha espresso il proprio voto. Don Ciccio, contrario all'annessione, si è espresso in favore del no.
L'uomo ricorda con rabbia i tempi passati e la fedeltà a quei principi che gli hanno garantito un lavoro e una casa; alla semplicità delle considerazioni fa riscontro la lettura di avvenimenti politici: ai vecchi padroni se ne sostituiranno dei nuovi, ma in entrambi il rispetto della gente è solo una velleità esteriore.
La conversazione cade poi su don Calogero.
Il personaggio di Sedàra viene ora delineato dalle parole di Tumeo come un affarista intelligente, ma senza scrupoli morali. Così un altro tassello va a comporre la figura dell'antagonista del Principe, disegnato ulteriormente come un individuo danaroso, ma meschino.
Il Principe legge alla moglie una lettera nella quale Tancredi lo incarica di chiedere la mano di Angelica: alla disperazione della donna che accusa il nipote di aver ingannato Concetta, fa riscontro la determinazione del Principe che ordina a Stella di tacere.
A caccia, il Principe comunica a don Ciccio le intenzioni di Tancredi, l'uomo stupito dalla notizia rimane allibito e ha un momento di ribellione che fa infuriare don Fabrizio.
La risposta del Principe ("non è la fine di niente") ricorda quella riservata a Padre Pirrone nell'osservatorio: l'ascesa al potere dei nuovi ricchi non comporta quei cambiamenti tanto temuti. Ha inizio pertanto "quell'inavvertibile sostituzione di ceti" annunciata fin dalla prima unità narrativa e la teoria del Principe trova ora la prima e completa applicazione. Don Fabrizio coglie pertanto i segni dell'evoluzione storica e se non partecipa in prima persona al cambiamento, aiuta comunque l'arrivismo di Tancredi nell'ascesa al potere. Anche in queste scene della caccia con don Ciccio Tumeo torna il tema del paesaggio: ora la natura è un luogo immobile, assoluto indifferente alla storia.
Il Principe comunica a don Calogero la richiesta di Tancredi: l'uomo è visibilmente soddisfatto.
Don Fabrizio ricorda, con parole accorate, la nobile stirpe dei Falconeri, tanto illustre in passato quanto priva attualmente di denaro. La risposta di don Calogero è ovviamente positiva e la mancanza di soldi non costituisce un problema, Angelica avrà in dote un cospicuo patrimonio.
Il Principe (favorevolmente colpito dalle parole del sindaco) non presta però eccessiva attenzione a Sedàra e con il ricordo torna alle parole di don Ciccio Tumeo, quando quest'ultimo ha visto donna Bastiana nella chiesa di Donnafugata.
Per la quarta e ultima volta, il racconto in terza persona viene sospeso in favore dello sguardo soggettivo del Principe.
Il sindaco, terminato l'elenco dei beni dati in dote alla figlia, vanta un passato nobiliare che scatena l'ilarità del Principe.
In questa scena il confronto tra due mondi diversi e fino ad allora distanti, trova un momento di convergenza: un grande passato viene "venduto" in cambio di una dote. Siamo così in presenza del confronto diretto tra due personaggi tanto diversi: il nobile legato ad un passato dove la tradizione è coniugata allo sperpero e il borghese danaroso ma privo di un passato tanto illustre. Protagonista e antagonista risultano pertanto contrapposti nell'adesione al reale: all'accorata difesa di una stirpe tanto nobile, dove l'importanza del denaro viene meno quando il risultato determina la raffinatezza e la grazia di un personaggio come Tancredi, fa riscontro una visione della vita basata unicamente sull'accumulo della ricchezza.
L'insinuarsi del calcolo economico-politico nel modo d'essere dell'aristocrazia fondiaria porta così al tramonto quell'alone di estetico romanticismo e di distacco dal mondo reale, da sempre emblema della classe nobiliare.
Significativa in tal senso è la scelta di Visconti che inquadra don Calogero sullo sfondo di un quadro raffigurante i possedimenti di casa Salina: il recente patrimonio di Sedàra va così a sovrapporsi a quello degli antichi padroni.
La scena è chiusa comunque dall'ilarità del Principe che, disposto ad ascoltare Sedàra sulle transazioni economiche, riafferma la propria superiorità di casta, quando don Calogero vanta i propri - improbabili - titoli nobiliari.
Il Principe va a liberare don Ciccio, provvisoriamente rinchiuso nella stanza dei fucili, perchè la notizia non trapelasse prima del suo incontro con Sedàra.
Qualche giorno dopo don Fabrizio sta leggendo ai familiari un romanzo quando il maggiordomo annuncia l'arrivo di Tancredi. Il nipote giunge accompagnato dal conte Cavriaghi e in quest'ultimo riconosciamo uno dei giovani ufficiali che accompagnavano il generale garibaldino nella villa di Palermo. L'atmosfera è allegra e Tancredi mostra ai presenti l'anello acquistato per Angelica, con i soldi dello zio, mentre Cavriaghi regala un libro a Concetta.
La comparsa di Tancredi e Cavriaghi getta una luce nuova sugli avvenimenti: i due, con tempismo, sono passati nell'esercito sabaudo, abbandonando i garibaldini e le loro rosse divise. L'ordine è stato ristabilito e la rivoluzione è stata tradita con il ricorso al trasformismo politico e con la mancata realizzazione di quel mondo nuovo che ha suscitato, durante il Risorgimento, tante speranze.
L'arrivo, inaspettato, di Angelica rende felice Tancredi che mostra immediatamente il dono alla ragazza e poi si apparta con quest'ultima.
La passione che unisce Angelica e Tancredi conosce nelle soffitte del palazzo un momento di grande intensità. I due si aggirano in ambienti disabitati e i resti polverosi di un passato glorioso sembrano rianimarsi di fronte al loro passaggio. Questo amore, un tempo inconcepibile si trasforma ora nel simbolo più evidente del cambiamento dei tempi: la fusione di classi sociali diverse segna la fine di un mondo nobiliare sorretto per secoli dallo spreco e dal potere assoluto. Tancredi, l'uomo ideale per i tempi nuovi, sa approfittarne con astuzia: è certamente innamorato, ma è consapevole anche dell'importanza che verrà a ricoprire nella propria vita il patrimonio di Angelica. Tancredi ha tradito la propria classe, lasciando Concetta, ma ora è pronto ad affrontare le insidie presenti nella società e ad affermare la superiorità del proprio potere un tempo legato ai privilegi di casta e ora al denaro.
Con la corriera arriva il cavaliere Chevalley accolto da Francesco Paolo, uno dei figli del Principe, mentre Cavriaghi tenta inutilmente di corteggiare Concetta.
La sera Chevalley cerca di avere un colloquio con il Principe, ma questi lo rinvia al giorno dopo e lo invita a giocare a carte. Nel frattempo Tancredi e Francesco Paolo spaventano il piemontese con storie agghiaccianti.
Il giorno seguente Chevalley comunica al Principe il motivo della propria visita: la proposta della nomina a senatore del Regno. Il Principe rifiuta e cerca di spiegare al piemontese la mentalità siciliana, poi consiglia per il seggio senatoriale don Calogero.
Fondu.
Il dialogo tra don Fabrizio e Chevalley aggiunge nuove e definitive sfumature psicologiche alla figura del Principe. L'aristocratico distacco che Salina ha avuto nei confronti del reale trova la definitiva affermazione: così la mancanza di ideali e di speranze si tramuta in desiderio di oblio. Salina ammette esplicitamente di appartenere ad un mondo scomparso, al quale però lo uniscono legami sentimentali difficili da recidere, quando poi il presente non presenta alternative credibili.
Conclusa l'evoluzione politica del personaggio, il regista inserisce l'unico fondu presente in tutto il film e sottolinea il pessimismo del Principe anche nella scelta fotografica: nella scena dominano, infatti, i toni cupi e gli attori sono avvolti da una luce di taglio che rende le figure rassomiglianti a funeree silhouette.
Il Principe in abito da caccia accompagna Chevalley alla carrozza.
Il saluto dal piemontese è accompagnato dalle parole amare del Principe che non coglie nel presente i segni di un reale cambiamento, ma anzi comincia a pensare alla morte, argomento questo che verrà poi ampiamente sviluppato nella sequenza del ballo.
A palazzo Ponteleone don Fabrizio e la sua famiglia vengono accolti dai padroni di casa, che salutano tutti i presenti con estrema gentilezza, un'accoglienza particolare è riservata al comandante Pallavicino.
Tancredi corre incontro ad Angelica che si è presentata al ballo in compagnia del padre. La ragazza provoca l'ammirazione dei Ponteleone e degli amici di Tancredi.
Il Principe vaga da un salone all'altro riflettendo sulle persone e intrattenendosi più con se stesso che con gli altri.
Siamo così in presenza di una sequenza fondamentale che chiude l'intera vicenda e dove quasi tutti i personaggi principali sono riuniti intorno al Principe: familiari, amici, muovi ricchi e i militari pronti a ristabilire l'ordine.
I sedimenti luttuosi che hanno accompagnato, per tutto il film, le meditazioni del Principe sulla propria storia personale si trasformano ora, nel momento della fragorosa spettacolarità, in contemplazione interiore. Mentre gli altri aristocratici celebrano la loro sopravvivenza nei fastosi saloni di palazzo Ponteleone, don Fabrizio riconosce in quella illusoria vitalità i presagi della fine imminente. Il Principe pertanto prende le distanze, sia dalla vecchia aristocrazia in declino, sia dai volgari profittatori del nuovo corso.
La festa si trasforma così nel simbolo di una classe arrivata al tramonto e travolta da un doppio movimento: quello del ballo e quello della storia.
Don Fabrizio si ritira nella biblioteca e resta in contemplazione del quadro "La morte del giusto" di Greuze, raggiunto da Tancredi e Angelica si lascia andare a considerazioni sulla morte.
Il Principe prende coscienza non soltanto del tramonto di una classe sociale, ma anche della propria fine e dell'ineluttabile giungere della morte. In tal senso è indicativa la scelta figurale del regista che riprende il Principe nei gesti stanchi, nel caldo soffocante e nella scelta fotografica con le ombre lugubri disegnate sulle pareti, tutti elementi messi in scena per sottolineare il declino di un uomo tanto disincantato quanto ormai lontano dalla vita reale.
Angelica chiede di ballare con il Principe, che accetta.
Angelica e il Principe ballano e per entrambi è un trionfo.
Durante il celebre valzer, una delle scene più famose della storia del cinema, il Principe sostituisce il nipote, ma anche la bellezza di Angelica si rivela un effimero risveglio dei sensi: un corteggiare la morte in uno dei suoi ingannevoli travestimenti.
Durante il rinfresco il Principe ascolta seccato il colonnello Pallavicino che racconta ai presenti, con evidente soddisfazione, la cattura di Garibaldi. Don Fabrizio abbandona i commensali e si incammina verso l'interno della casa.
Angelica si ritira in un salottino con Concetta; arriva Tancredi e Concetta ha un piccolo screzio con il cugino.
Il regista ha voluto aggiungere nel finale uno spunto polemico, inserendo un'allusione alla fucilazione dei disertori dell'esercito regio, che nel 1862 hanno seguito Garibaldi in Aspromonte. Tancredi accenna, infatti, all'esecuzione imminente esibendosi nella sua vera veste politica e provocando la risentita delusione di Concetta. Ormai il trasformismo politico, a cui il giovane Falconeri fa riferimento fin dalla sua prima apparizione nel film, è giunto al culmine: nulla è cambiato e, per chi riesce ad adeguarsi, l'ordine è stato ristabilito.
Visconti inquadra poi Angelica e Tancredi che, rimasti soli, si abbracciano, finchè l'irrompere nel salone degli altri ballerini coinvolge i due fidanzati nella quadriglia: un vincolo simbolico li riporta all'interno della propria classe, a questo fa riscontro il comportamento del Principe che, dopo le parole del colonnello, preferisce l'isolamento ai nobili amici.
Don Fabrizio si guarda allo specchio e una lacrima scende dai suoi occhi.
La musica tace per un momento, "con un lungo PP, la mdp indugia sull'immagine del Principe; poi in controcampo, si sofferma sul volto stesso, in lacrime. Una breve panoramica scopre nel bagno (con una punta sarcastica che tempera l'accento patetico) le file di orinali stracolmi, quindi segue ancora il Principe che passa nel salone vicino. Qui egli appare isolato e come smarrito nella vastità dell'ambiente. Si allontana verso il terrazzo: un breve movimento di panoramica sembra prolungarne il cammino nell'incerta luce dell'alba." (6).
Come osserva Alessandro Bencivegni: "Visconti sottolinea con struggimento l'intuizione di morte del protagonista. Esalta la sua solitudine nell'affollata vanità mondana; il suo pessimismo contro la sicumera dei Pallavicino, dei Sedàra e dello stesso Tancredi. Con quel gioco di specchi, quel ricorso alle lacrime, quel gusto melodrammatico che gli sono propri, interrompe il romanzo al suo culmine lirico, prima che l'epicedio struggente si trasformi in grottesco inventario del passato" (7).
Tancredi comunica al Principe che la moglie e i figli vogliono tornare a casa, riceve però solo disposizioni per provvedere alla carrozza dei parenti: don Fabrizio tornerà da solo.
Il ballo è terminato e in proposito nota Gianni Rondolino: "il carattere ossessivo di questa sequenza, è d'altronde il carattere abituale delle migliori composizioni viscontiane: l'insistere su una situazione data sino alle estreme conseguenze drammatiche, oltre i limiti non già della verosomiglianza, ma della consuetudine spettacolare. Fin dai tempi di Ossessione (in cui l'ossessione che portava i protagonisti all'omicidio e alla morte nasceva e si sviluppava attraverso l'insistenza con cui i piccoli fatti erano osservati e descritti), la dilatazione dei tempi narrativi per consentire l'accumulazione degli elementi appunto 'ossessivi' costituì non soltanto una cifra stilistica del cinema di Visconti, ma anche e soprattutto un modo di vedere e rappresentare il reale nell'intensità delle sue varie manifestazioni; ed era questa intensità a fornire i dati per il giudizio critico, a individuare lo spettatore, progressivamente coinvolto nell'ineluttabilità degli accadimenti, tanto nell'analisi dei fatti quanto nella loro interpretazione." (8)
Il Principe cammina stancamente attraverso alcune vie solitarie. il suono di un campanello lo avverte del passaggio del viatico, si inginocchia e in quell'atteggiamento rivolge un invocazione alla stella Venere: "...quando ti deciderai a darmi un appuntamento meno effimero?".
L'arco narrativo de Il Gattopardo viene così racchiuso tra il "nunc et in hora mortis nostrae" della prima scena e il passaggio finale del viatico: presagio di morte in apertura, annuncio della medesima in chiusura.
Tancredi, Angelica e Sedàra viaggiano sulla loro carrozza quando si avvertono degli spari: la fucilazione dei soldati ribelli passati nelle file dei garibaldini è avvenuta, ma come commenta Tancredi niente è successo.
Il Principe riprende lentamente il proprio cammino.
Come ha notato il critico francese Jean Collet: "ogni film di viscontiano è la storia di un'illusione, la traversata delle apparenze, un viaggio nel profondo della notte. Un eroe di Visconti è sempre qualcuno che sente delle voci e si imbarca alla loro ricerca fino al naufragio. Qualcuno che si immerge nel sogno fino alla sconfitta" (9).
La musica e la pittura
In questo film, come in tutti i film di Visconti, è estremamente importante anche il commento musicale. Nei film del regista milanese la musica non è mai un elemento di rincalzo o di semplice "rifinitura", ma è parte integrante della storia; anche quando vengono utilizzati brani musicali preesistenti, essi vengono piegati ai canoni stilistici del film e mai utilizzati come citazione colta.
Ne Il Gattopardo il commento musicale viene affidato a Nino Rota. In proposito ricorda lo stesso musicista: "Un giorno ci siamo messi in casa di Luchino a cercare tra le mie passate composizioni e tra i miei temi. Luchino mi diceva anche dei temi che si avvicinavano alla sua idea. Mi ricordo che ho suonato dei brani del Faust di Gounod, dei temi di Massenet, dei temi di Wagner. A un certo punto, distrattamente, per associazione di idee, ho cominciato a suonare - come fosse il brano di altri compositori - "L'Adagio", il Terzo Tempo di una Sinfonia che avevo scritto nel 1946-1947. Visconti ne fu entusiasta e disse che quella era la musica de Il Gattopardo. Non solo, dopo che gli feci ascoltare il Quarto Tempo, "Allegro molto agitato", vi individuò immediatamente le caratteristiche adeguate per la lunga sequenza del viaggio di Donnafugata". (9)
Questo è tipico del lavoro di Nino Rota, il tema fatto ascoltare a Visconti faceva parte della "Sinfonia sopra una canzone d'amore" il cui primo tempo era stato composto per la colonna sonora di un altro film La leggenda della montagna di cristallo di Cass e Anton nel 1954. Anche tutti i "ballabili" utilizzati per la sequenza finale della festa a Palazzo Ponteleone vennero ripresi da quelli scritti per Appasionatamente un film di Mario Gentilomo del 1954.
Rota cita se stesso e lo farà spesso nel corso della sua carriera: per esempio il tema d'amore de Il padrino (Francis Ford Coppola, 1972), è una rielaborazione di quello scritto per Fortunella, il film di Eduardo De Filippo del 1958.
Tornando ai ballabili occorre ricordare come questi brani vennero registrati frettolosamente a Palermo, perchè dovevano essere utilizzati come colonna guida durante le riprese. In realtà vennero inseriti anche nell'edizione finale del film: Visconti li trovò realistici e perfetti per ricostruire l'atmosfera di un ballo in cui suonava una piccola orchestra.
Mentre invece la musica del celebre valzer che accompagna la danza del Principe e di Angelica ha una storia singolare: lo spartito composto da Giuseppe Verdi venne ritrovato, casualmente, presso un antiquario romano dal montatore Mario Serandrei che lo regalò a Visconti. Si trattava di un valzer brillante scritto da Verdi nel 1880, nello stesso periodo in cui componeva il Ballo in maschera, e dedicato alla contessa Maffei. Successivamente questo brano venne poi orchestrato da Nino Rota e introdotto ne Il Gattopardo. Oltre a Verdi, Visconti compie nel film un omaggio ad un altro musicista, Vincenzo Bellini, nella scena in cui Concetta accompagna al pianoforte un garibaldino amico di Tancredi intona da La Sonnambula, con "Vi ravviso o luoghi ameni".
Per il resto, come abbiamo già accennato, Visconti sviluppa le citazioni musicali presenti nel romanzo: l'aria verdiana "noi siamo zingarelle" e "L'amami Alfredo" dell'ingresso in chiesa e la "Bella gigugin" cantata dai ragazzi nella scena delle votazioni per il plebiscito.
Un altro elemento fondamentale del film è rappresentato dalla ricerca delle fonti iconografiche. Pochi registi hanno fatto uso della pittura con eleganza e competenza assoluta come Luchino Visconti. Non c'è un solo film - a cominciare da La terra trema che riprende il naturalismo seicentesco, ma anche Pitloo e Recco - che non implichi un profondo sostrato pittorico, del tutto coerente con l'ambientazione del film e, più che mai, con la psicologia dei personaggi.
Per Il Gattopardo Visconti sceglie una materia figurale ricca di riferimenti pittorici e di citazioni tratte dalla pittura ottocentesca. In particolare la scelta cade sui Macchiaioli, ma, come già avvenuto per i riferimenti musicali, anche le fonti iconografiche sono "trattate" come materiali originali, come elementi che rafforzano il racconto e non sono ridotte a sterili citazioni.
In questo film "L'elemosina" di Silvestro Lega e "La dama del giardino" di Vito D'Ancona sono importanti punti di riferimento sia per i costumi che per gli atteggiamenti delle donne nella sequenza di Villa Salina e in parte anche a Donnafugata.
"Pescivendole di Lerici" di Telemaco Signorini e "La filatrice" di Vincenzo Cabianca costruiscono il clima figurativo per la sequenza dei "bassi" di Palermo. Mentre “Garibaldi a Palermo” di Giovanni Fattori ha suggerito l'impostazione centrale per la sequenza della presa di Palermo da parte dei Garibaldini. Infine per la scena finale in cui il Principe di Salina lascia il ballo a palazzo Ponteleone viene chiaramente citato il ritratto fatto da Giovanni Boldini a Verdi, il famoso "Giuseppe Verdi in cilindro" del 1886. Senza dimenticare gli omaggi a Claude Monet e al suo Le déjeuneur sur l’herbe, per il pranzo durante il trasferimento a Donnafugata, a Francesco Hayez per il ritratto di Camillo Benso conte di Cavour, utilizzato per tratteggiare la figura del cavaliere Chevalley di Monterzuolo e solo per citarne alcuni (9).
Luchino Visconti, cenni biografici
Luchino Visconti di Modrone nasce a Milano il 2 novembre 1906. Il padre, il duca Giuseppe, discende da un'antica famiglia aristocratica; baritono dilettante condivide con la moglie Carla Erba, figlia di un facoltoso industriale, la passione per la musica e il melodramma. Passione che viene ereditata anche dal figlio: il futuro regista legge con passione i classici della letteratura europea e studia il violoncello.
Questa cornice familiare fatta di amore per l'arte, raffinatezza e prestigio sociale avrà una grande influenza sull'autore di Senso che in proposito ricorda: "...forse tutti i miei film ne nascondono uno solo; il mio vero film, quello che non ho mai realizzato, è la storia dei Visconti di ieri e di oggi" (10)
Dopo un'adolescenza inquieta contrassegnata da continue fughe da casa e una giovinezza dedicata all'allevamento dei cavalli purosangue e ai viaggi all'estero, Visconti soggiorna stabilmente a Parig, dove conosce Jean Renoir.
L'incontro con il grande regista francese va oltre il dato biografico e segna una svolta nelle scelte professionali e ideologiche del giovane aristocratico, ancora una volta le parole di quest'ultimo sono esplicative in tal senso: "...furono proprio il mio soggiorno in Francia e la conoscenza di un uomo come Renoir che mi aprirono gli occhi su molte cose. Capii che il cinema poteva essere un mezzo per avvicinarsi a certe verità da cui eravamo lontanissimi, specialmente in Italia. Ricordo che La vie est à nous di Renoir, che vidi appena arrivato in Francia, mi fece una profonda impressione. Durante quel periodo ardente - era quella del Fronte Popolare - aderii a tutte le idee, a tutti i principi estetici e non soltanto estetici, ma anche politici. Il gruppo di Renoir era schierato nettamente a sinistra e Renoir stesso, anche se non era iscritto, era certamente molto vicino al partito comunista. In quel momento ho veramente aperto gli occhi: venivo da un paese fascista dove non era possibile sapere niente, nè avere esperienze personali. Subii uno choc. Quanto tornai in Italia, ero veramente molto cambiato..." (11).
L'incontro tra cinema e politica si ripete, infatti, anche in patria, quando Visconti - trasferitosi a Roma - entra in contatto con gli intellettuali antifascisti vicini alla rivista Cinema. Il gruppo è impegnato su due fronti: da un lato cerca di elaborare attraverso la pratica critica un progetto teorico-poetico per innovare profondamente il cinema italiano, dall’altro attraverso la lotta clandestina al regime, si batte per cambiare le sorti politiche dell’Italia.
E' in questo nuovo ambiente di militanti e uomini di cultura - tra i quali ricordiamo Giuseppe De Santis, Pietro Ingrao, Mario Alicata, Michelangelo Antonioni, Umberto Barbaro, Antonio Pietrangeli, Dario e Gianni Puccini - che la passione per il cinema si fa in Visconti urgenza espressiva: nasce Ossesione (1942) .
Già in questo primo film sono presenti alcuni temi ricorrenti di tutte le sue future produzioni: la predilizione per le situazioni estreme, le passioni assolute, la disgregazione del nucleo familiare. Tutti argomenti che per la bigotta e repressiva cultura fascista sono considerati tabù: nasce lo scandalo Ossessione.
L'opera prima del regista milanese segna invece una clamorosa rottura con la stagnante produzione di regime, ormai da anni ancorata ai film del genere "telefoni bianchi" o a quelli in "costume".
La storia d'amore e di morte tra una casalinga e un vagabondo, le lunghe carrellate che accompagnano l'intera vicenda, l'ambiente in esterni dal vero, sono elementi fondamentali di un racconto che ha innovato profondamente la cultura cinematografica italiana, cancellando così una ventennale tradizione narrativa fatta di fondali finti e di storie banali.
Il film sfugge ad ogni catalogazione e per definirlo è necessario creare un nuovo aggettivo: "neorealistico", si apre così la stagione più esaltante e innovativa della cinematografia italiana.
Ma la guerra incombe e Visconti, ormai vicino alle posizioni politiche del Partito Comunista, aderisce alla lotta partigiana subendo le sorti di tutti coloro che in quel periodo si battono per la libertà e la democrazia: arrestato da Koch e imprigionato dapprima nella famigerata pensione Jaccarino, sfugge fortunosamente la condanna a morte.
Dopo la Liberazione torna al lavoro con un documentario sulla Resistenza: Giorni di Gloria (1945), a cui fa seguito un'intensa attività teatrale che si contraddistingue per le innovazioni della messa in scena e per la scelta di un repertorio in cui vengono affrontate tematiche come l'incesto, l'omosessualità, la disoccupazione, la colpa di chi ha opposto il silenzio ai soprusi e la guerra di Spagna vista dalla parte dei soldati repubblicani: nuovamente è scandalo e provocazione.
Negli anni della ricostruzione per Visconti il teatro diventa infatti il luogo privilegiato dell'espiazione e della purificazione dalle colpe passate e la catarsi è legata a testi fino ad allora mai rappresentati in Italia come, I parenti terribili di Jean Cocteau, A porte chiuse di Jean Paul Sartre, La via del tabacco di Erskine Caldwell, Zoo di vetro di Tennessee Williams e La Quinta colonna di Ernst Hemingway.
Nel 1948 torna alla regia cinematografica con La terra trema, film tratto dal libro I Malavoglia di Giovanni Verga e interpretato da pescatori siciliani, a cui fa seguito Bellissima (1951).
Dopo queste due opere Visconti abbandona la poetica neorealista che considera scaduta ormai a bozzettismo qualunquista, in favore di una personale tematica dominata dai forti contrasti morali, dal tema della sconfitta e della disillusione. In proposito ricordiamo Senso (1954), un acuto ritratto della cattiva coscienza risorgimentale e Le notti bianche (1957) estrema critica al neorealismo.
Memorabili in questi anni anche la messinscena di opere liriche, che trovano in Maria Callas l'interprete ideale capace di esprimere una perfetta fusione di musica, dramma e canto: La Vestale (1954), La Sonnambula (1954), La Traviata (1955) sono alcune delle tappe che scandiscono una collaborazione tanto proficua quanto innovativa, dove l'interpretazione della cantante e la regia assumono un ruolo paritetico rispetto alla direzione musicale.
Il melodramma diventa pertanto la cifra stilistica di un autore che cerca la sintesi tra mito e storia, fra la grande tradizione letteraria dell'ottocento e la cultura nazional-popolare, come in Rocco e i suoi fratelli (1960).
Successivamente Visconti passa a descrivere l'ambiente sociale che gli è più familiare in Boccaccio 70 (episodio Il Lavoro, 1963), dove costruisce un caustico ritratto di una coppia di aristocratici in crisi sentimentale, e ne Il Gattopardo (Palma d'oro al Festival di Cannes, 1963), grandioso affresco incentrato sulla contraddizione tra coscienza storica e memoria nostalgica, fra ideologia marxista e sensibilità aristocratica.
Dopo la realizzazione di Vaghe stelle dell'orsa (1965), sul tema dell'incesto, e Lo straniero (1967), dall'omonimo libro di Albert Camus, passa a dirigere tre film ispirati alla letteratura e alla musica tedesca. Una trilogia accomunata dal tema della sconfitta: dal crollo del mondo patriarcale ne La caduta degli dei (1969), al decadimento del 'decoro' borghese in Morte a Venezia (1971), fino alla caduta del mito aristocratico in Ludwig (1973).
Durante le riprese di quest'ultimo film Visconti viene colto da una grave malattia; semiparalizzato torna comunque al lavoro con Gruppo di famiglia in un interno (1974), un'accorata testimonianza sulla propria difficoltà a capire il presente e una realtà che si mostra problematica e senza più la tensione morale del passato.
Il suo sguardo si rivolge allora al mondo della sua infanzia, alla atmosfera storico-culturale delle proprie origini, al mondo dannunziano, come ne L'innocente (1973). Durante il montaggio di quest'ultima opera Luchino Visconti muore a Roma il 17 marzo 1976.
Note
1) Suso Cecchi D'Amico, Il Gattopardo, Roma, Cappelli, 1963, p. 23
2) Pio Baldelli, Luchino Visconti, Milano, Mazzotta, 1982, p. 226
3) Gianni Rondolino, Luchino Visconti, Torino, Utet, 1981, p. 436
4) Cecchi D'Amico, cit., p. 24
5) Alessandro Bencivegni, Visconti, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p. 54
6) Bencivegni, cit. p. 55
7) Gianni Rondolino, Luchino Visconti, Torino, UTET, 1981, p. 436
8) Jean Collet, "Les abscences de Sandra", Cahiers du cinèma, n. 149, 1966, p. 123
9) Per quanto riguarda il complesso rapporto cinema e pittura ne Il Gattopardo, rimandiamo a: Stefania Severi, “L’arte figurativa e Il Gattopardo di Visconti: presenza, citazione, ispirazione” in AAVV, Visconti e Il Gattopardo, De Agostini/Rizzoli, 2001
10) Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario universale del cinema, Roma, Editori Riuniti, 1985, p. 1348
11) Laurence Schifano, I fuochi della passione, Milano, Longanesi, 1987, p.. 124. Luchino Visconti partecipa come aiuto-regista di Jean Renoir a Toni (1934), Une partie de campagne (La scampagnata, 1936)
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