venerdì 25 settembre 2009

GOMORRA


Un film di Matteo Garrone
Soggetto: dal libro-documento di Roberto Saviano
Sceneggiatura: M. Garrone, R. Saviano, Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Gianni Di Gregorio, Massimo Gaudioso
Fotografia: Marco Onorato
Musica: Il brano "Herculaneum" è dei Massive Attack (Robert Del Naja e Neil Davidge)
Montaggio: Marco Spoletini
Scenografia: Paolo Bonfini
Costumi: Alessandra Cardini
Interpreti: Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Salvatore Abruzzese, Marco Macor, Ciro Petrone, Carmine Paternoster
Origine: Italia
Anno di edizione: 2008
Durata: 135’

Sinossi
Film tratto dal libro-documento di Roberto Saviano sulla situazione in Campania della mafia. Sistemi, obbiettivi e metodi della camorra ini una spirale che appare senza fine.

ANALISI DEL FILM

1) Nel centro estetico

Il prologo di Gomorra ci fa partecipare a un'azione fulminea, a un regolamento di conti nel quale alcuni boss vengono freddati mentre si abbronzano in un solarium. Un attimo, dicevo, ma graduale: nel colpire, gli spari bloccano infatti un senso di abbandono, di lentezza: una specie di ronzio isola dalla città brulicante e la luce azzurra, diffusa poco a poco, imita la luce marina. Allo stesso modo nei centri commerciali, cioè sempre in un luogo chiuso, l'accoglienza di fiori e piante propone il confort di una natura eternamente artificiale. Dice Garrone a proposito: "una sequenza che io ho immaginato mente stavo già lavorando sul set e che mi sono sentito in dovere di aggiungere dopo aver scoperto che i criminali hanno tutti quanti di culto della bellezza e della moda. Quando ho capito", dice ancora il regista "che killer e un pusher sono più simili a Totti e Cannavaro che a persone che si possono incontrare per strada sono rimasto scioccato, perché avevo in testa un modello facile alla Scorsese e invece ho dovuto constatare un forte cambiamento antropologico".Il solarium dove avviene la sanguinosa frattura all'interno di un clan mi sembrava un luogo simbolico perfetto. L'equivalente postmoderno della classica scena di tanto cinema noir ambientata in un salone da barbiere. Lentezza e rapidità raccolgono in nuce lo svolgersi visivo e simbolico del film per intero e agisce come una dissonanza tragica. Garrone cerca una fenomenologia asciutta, risolta nella materialità del gesto e delle figure, o leggermente sbalzata da uno sfondo livido, appena segnato dalle tracce della memoria tradizionale. È un noir, ancora, quando ripropone il sospetto di una natura demoniaca ma pur sempre sociale.
La musica utilizzata in questa sequenza è una musica neo melodica napoletana. La scelta di tale musica ha innanzitutto una connotazione geografica, questo nuovo genere musicale esclusivamente vivo in Campania ha successivamente ha preso il nome di neomelodica (nuova melodia). La maggior parte degli studiosi attribuisce a Gigi d'Alessio il merito di aver creato una nuova idea su come fare musica. Infatti è stata proprio la carriera di Gigi D'alessio a dare l'esempio che dal nulla si può improvvisamente esser chiamati cantanti. In questi anni le case produttrici locali sfornano cantanti su cantanti, compilation, videoclip, DVD, concerti, programmi televisivi locali. Le liriche delle canzoni sono l'espressione di un'arte canora che utilizza termini ed espressioni strettamente popolari. Pochissimi fra gli interpreti di questo genere sono riusciti a distinguersi per una vera e valida qualità canora. Tanto che lo stile "cantato" del neomelodico è definito dai maestri di musica come lo stile della voce "affugata n'gann'" cioè della voce trattenuta in gola, praticamente lo stile di un cantante alle primissime armi.
Inoltre la musica crea un contrappunto timbrico-tonale che crea uno straniamento rispetto all'azione violenta, un contrasto che anticipa significativamente le tante contraddizioni presenti nel mondo di Gomorra. A tal proposito scrive Saviano: ”L'Mp3 che ascoltavano gli uomini della paranza mentre andavano ad ammazzare, la raccolta di file musicali, penzolava al collo di Pikachu. Con una scusa gli chiesi di prestarmelo qualche giorno. Lui fece una risata come per dirmi che non si offendeva se l'avevo preso per uno così stupido, per un idiota, che presta le cose. Così glielo comprai, cacciai cinquanta euro e ottenni il lettore. Ficcai subito le cuffie nelle orecchie, volevo capire qual era il sottofondo musicale della mattanza. Mi aspettavo musica rap, rock pesante, heavy metal, invece era un continuo susseguirsi di brani neomelodici e di musica pop. In America si spara gonfiandosi col rap, i killer di Secondigliano andavano a uccidere ascoltando canzoni d'amore.”

2) Don Ciro, il ragioniere conta, i soldi
Garrone ha estratto cinque storie dalla materia magmatica del libro, privilegiando cinque percorsi personali e lasciando da parte le componenti più cronachistiche e generaliste. Così la guerra di Secondigliano passa attraverso l'apprendistato del piccolo Totò (Salvatore Abruzzese) o le paure del ragionier Ciro (Gianfelice Imparato); l'economia sommersa del casertano viene raccontata attraverso le storie del sarto Pasquale (Salvatore Cantalupo) e di Franco, un industriale che ricicla rifiuti ambientali (Toni Servillo); la cultura della morte e delle armi da fuoco è quella del sogno di gloria di Marco e Ciro (Marco Macor e Ciro Petrone). Cinque “storie” in cinque percorsi di avvicinamento al cuore delle cose.  Per il resto Garrone ha preso le atmosfere, l'humus da cui emergono le vicende, il respiro delle facce, e soprattutto i luoghi. Saviano, vedendo il film, proverà un pizzico di invidia: per uno scrittore che deve sudarsi ogni aggettivo dev'essere spiazzante constatare che basta inquadrare Scampia, o una cava piena di barili tossici, per provocare le vertigini. Saviano ha scritto il testo, Garrone ha dovuto ricrearlo per immagini. Dice il regista: "Abbiamo subito deciso di eliminare ‘la sua’ voce. l'impianto drammaturgo del libro è dato principalmente dalla soggettività dello scrittore. La drammaturgia del film invece si basa sullo sviluppo dei personaggi. Abbiamo così tentato di preservare l'anima del libro, le sue atmosfere, ma liberamente". E il rapporto ha dato luogo uno spostamento verso la superficie, a una crudezza endemica che, più della pagina, restringe i margini di meditazione e di speranza. Regista e scrittore si incontrano dove lo scrittore stesso ha indicato la libertà sua propria: "La letteratura, anche una letteratura che sia fedele ai fatti, non può avere un fine o un confine, nemmeno il fine della difesa dei valori della democrazia. È il punto dove si incontrano la bellezza e l'inferno, come diceva Camus. Perché nella letteratura si gioca un'idea di verità universale". Gomorra, il film, non segue il metodo "politico-indiziario". Non conduce in proprio, basandosi su documentazione di prima mano, un'inchiesta volta a far luce, concatenando una serie di indizi significativi, su una verità politicamente rilevante. In parole povere, il film di Garrone non soltanto non cerca di veicolare l'inchiesta contenuta nel libro di Saviano, ma non prova nemmeno a metterla in scena o in inquadratura. Film come Salvatore Giuliano (1962), Le mani sulla città, Il caso Mattei (1972) o Lucky Luciano (1974) hanno indagato direttamente sui fatti, rappresentando questa indagine, organizzandosi esteticamente sulla base di questa esigenza di verità. Gomorra di Garrone non ha cercato minimamente di somigliare a Gomorra di Saviano. Perché con ogni probabilità sarebbe stata una scommessa persa in partenza. Un regista serio, intenzionato a realizzare un film altrettanto serio da un libro serio, evita l'effetto di somiglianza. Rielabora piuttosto la materia. Il film evita di ricadere nell'equivoco ingenerato dal libro. Garrone ha scelto la strada del racconto, dei racconti, mentre Saviano ha mimetizzato l'inchiesta servendosi di un protagonista e portavoce fin troppo onnisciente: una sorta di se stesso versato in un universo minuziosamente descritto dall'interno. Eppure la conoscenza di questo singolare insider si alimenta spesso e volentieri di documentazione di provenienza istituzionale che esula dall'osservazione diretta degli avvenimenti. Il "romanzo" è una sorta di pretesto per imbastire e divulgare l'inchiesta. La contraddizione dell'opera di Saviano, contraddizione che non ne compromette comunque l'efficacia, ha riguardato perciò l'accuratezza sul piano letterario e l'introduzione di un preciso punto di vista, che però sono in netta contraddizione con la documentazione, con i fatti, con la conoscenza ampia e pluridimensionale dei fenomeni descritti e di quella realtà a largo spettro evocata. L'autore cinematografico preferisce, invece, costruire storie a partire dalla macrostoria ordita dallo scrittore accumulando microstorie. Il film sortisce dunque un effetto diverso: interpreta “l'insieme” sintetizzato in una serie di segmenti esemplari che si avvicendano mediante l'uso del montaggio alternato. L'esito ottenuto da Garrone, di questa interpretazione dell'inchiesta-romanzo (e non romanzo-inchiesta) di Saviano, è una visione dell'universo criminale coerente e nemmeno poi tanto paradossalmente funzionante. Garrone ricostruisce quello che Saviano ha giustamente definito in due diverse circostanze un "sistema". Un anno prima dell'uscita di Gomorra, il giovane scrittore napoletano aveva partecipato a un libro collettivo su Scampia, Napoli comincia a Scampia con un intervento privo di qualsiasi suggestione romanzesca. Un intervento diremmo oggi - propedeutico, dove per la prima volta si elaborava questo concetto, indispensabile per comprendere anche l'approccio "sistemico" scelto dal film pur dentro coordinate narrative: “1a parola "camorra", scrive Saviano nel 2005, “è scomparsa, o meglio non è mai esistita. Fu Raffaele Cutolo l'ultimo e l'unico a foggiare la retorica camorristica. Nessun altro. Ora il termine è ‘sistema’. Non c'è affiliato, adulto o ragazzino che non si riferisca al suo clan con il termine "sistema": "Appartengo al sistema di Secondigliano" "Appartengo al sistema di Casale”. Camorra è una parola inesistente, da sbirro. Usata dai magistrati e dai giornalisti, dagli sceneggiatori. E' una parola che fa sorridere gli affiliati, è un'indicazione generica, un termine da studiosi, relegato alla dimensione storica. Il termine con cui si definiscono gli appartenenti a un clan è Sistema: "Appartengo al Sistema di Secondigliano". Un termine eloquente, un meccanismo piuttosto che una struttura. L'organizzazione criminale coincide direttamente con l'economia, la dialettica commerciale è l'ossatura del clan. Da qui parte Garrone: dalla concezione di un mondo negletto, cupo e impresentabile, violento e irriducibile che obbedisce a leggi che ne garantiscono spietatamente la sopravvivenza. Un mondo che pure esiste, all'ombra delle ultime Vele di Scampia scampate all'abbattimento.

3) Totò e Il negozio di alimentari la consegna della merce. Totò assiste allo spaccio di droga
Totò prima ancora di essere coinvolto e avviato all'attività criminale è un testimone. Attraverso il suo sguardo anche noi osserviamo il quotidiano commercio di droga.
La specificità di Gomorra (sia il libro di Roberto Saviano, sia innanzitutto il film di Matteo Garrone) sta proprio nel ricomporre la frattura, lo iato di cui si diceva e di restituire alla criminalità organizzata la sua quotidianità. Con "quotidianità" non s'intende qui nulla di generico o astratto, bensì di assolutamente specifico: la quotidianità campana della camorra, una quotidianità con un suo tenore particolare, con una sua fisionomia inconfondibile, raffigurati in modo talmente nitido, vivido e fresco da emergere come per la prima volta.
L'operazione di Garrone, in questo senso, è ancora più chirurgica. Saviano, nel suo grande affresco di camorra, era tenuto a includere le megalomanie e le eccentricità dei boss, nonché le relative leggende popolari. Tale esposizione, nel libro, avviene senza alcun compiacimento o leziosaggine; anzi, viene strutturalmente messa in prospettiva dal fatto di essere solo un tassello tra innumerevoli altri. Garrone, da parte sua, sceglie di sfrondare completamente quegli elementi, di amputare quella dimensione per calarsi nel quotidiano, senza reti di salvataggio, senza schermi.
La Gomorra di Garrone è singolarmente scevra di cupole o centri di potere o eclatanti esibizioni di ricchezza. Essi non vengono rimossi, se ne avverte l'eco e il riverbero nel film; ma il tutto è consegnato e affidato a una vibrazione del fuori-campo, perché il nocciolo della questione sta altrove. Al regista interessa primariamente che il film trasudi sempre un preciso sito storico-geografico, un ambiente, un'atmosfera che conferisca all'insieme un'impronta netta. In un'originale microfisica del potere, Garrone si immerge nella vita delle Vele di Scampia, nei luoghi del casertano, fa poggiare le gambe della sua macchina da presa su quel suolo, fa imprimere sulla pellicola quella luce, si muove tra quei volti, quei rapporti, quelle storie. E ciò prima e al di là di qualsiasi iconografia criminale, di qualsiasi citazionismo, di qualsiasi vezzo estetico. Per entrare in profonda sintonia con la materia trattata.
Affinché si potesse percepire appieno la divergenza di Gomorra rispetto alle rappresentazioni convenzionali e stereotipate della malavita, Garrone non è sceso a compromessi: ha deciso di scarnificare il suo cinema, di depurarlo da ogni enfatizzazione, da ogni "raffinatezza" che potesse far velo all'occhio della macchina da presa. Il suo sguardo risulta così ancora più affinato nel registrare sfumature e inflessioni inedite e cangianti.
“Per Gomorra, il mio obbiettivo principale era che tutto, dalle inquadrature ai movimenti di macchina, evitasse di tradire la mia presenza. Volevo che fra lo spettatore e la realtà inquadrata non ci fosse alcun commento aggiuntivo. Ho ridotto al minimo i movimenti di macchina, gli zoom, i dolly, gli interventi musicali, avvalendomene solo quando non potevo evitarlo. L'obbiettivo è che chi guarda il film senta gli odori di ciò che lo circonda. Lo spettatore deve essere immerso in ciò che vede  senza che null'altro lo condizioni. Vorrei che ci si sentisse come al fronte, o come davanti a un reportage di guerra”.
Scrive Saviano:” Le strade enormi, larghe, ossigenate rispetto ai grovigli del centro storico di Napoli, come se sotto il catrame, a fianco dei palazzoni, ci fosse ancora viva la campagna aperta. D'altronde Scampia possiede nel nome il suo spazio. Scampia, parola di un dialetto napoletano scomparso, definiva la terra aperta, zona d'erbacce, su cui poi a metà degli anni '60 hanno tirato su il quartiere e le famose Vele. Il simbolo marcio del delirio architettonico o forse più semplicemente un'utopia di cemento che nulla ha potuto opporre alla costruzione della macchina del narcotraffico che si è innervata sul tessuto sociale di questa parte di terra. Una disoccupazione cronica e un'assenza totale di progetti di crescita sociale hanno fatto sì che divenisse luogo capace di stoccare quintali di droga, e laboratorio per la trasformazione del danaro fatturato con lo spaccio in economia viva e legale. Secondigliano è lo scalino in discesa che dal gradino del mercato illegale porta forze ossigenate all'imprenditoria legittima. Nel 1989 l'Osservatorio sulla camorra scriveva in una sua pubblicazione che nell'area nord di Napoli si registrava uno dei rapporti spacciatori-numero abitanti più alto d'Italia. Quindici anni dopo questo rapporto è divenuto il più alto d'Europa e tra i primi cinque al mondo.”

4) Il ragioniere consegna i soldi
L'effetto "sistema" riassunto e spiegato nell'inchiesta-romanzo di Saviano nell'omonimo film di Garrone perde volutamente e spregiudicatamente ogni contatto con i fatti, con le statistiche, i numeri, le date, i nomi, le circostanze specifiche, i riferimenti documentali. Ma recupera un rapporto con la realtà sul piano dell'invenzione escatologica di personaggi, storie, esiti necessari a far riflettere. Introduce cioè un senso possibile, ai limiti dell'assurdo, del presunto "sistema". Garrone ha ragionato quindi su quanto Saviano ha trasformato questo ragionamento in immagini e suoni; ha preferito entrare, mischiarsi, seguire in maniera maniacale gesti e azioni ripristinando la centralità dell'uomo.
Le varie forme e tipologie di agenzie criminali vengono sempre concepite come violazioni e infrazioni della legalità civile, meglio ancora: come uno scarto dalla norma. Le agenzie criminali sono delle micro-società che funzionano secondo propri codici, riti, principi, regole, inevitabilmente concorrenti con quelli della macro-società, sebbene la contrapposizione possa assumere gradazioni assai diversificate (dalla totale estraneità alla quasi identificazione). Le agenzie criminali appaiono, dunque, come sistemi antagonistici, cellule tumorali nel corpo sociale. Allo stesso modo, senza la meccanicistica mattanza sul territorio, delle famiglie che si smembrano, si dividono e si distruggono a vicenda accumulando macabri "punti", non ci sarebbe il controllo sul territorio. Un controllo esercitato attraverso la re-distribuzione di quote del reddito camorrista su cittadini di seconda o terza classe, che costituiscono all'occorrenza anche le basi del consenso, della ricezione di modelli culturali e consumistici di massa. Garrone racconta, stabilendo una perfetta equidistanza da tutto e tutti, la logica di questo "sistema", di questo para-Stato assistenziale, che periodicamente sembra andare in tilt, ma semplicemente si rigenera, si assesta, incrementando il numero medio di morti ammazzati, come la superficie terrestre si assesta attraverso fenomeni sismici all'apparenza devastanti. Comprendere il perché politico, sociale, culturale e storico di una simile realtà, riandare alle radici è ormai impresa difficile e vana a fronte della disparità enorme tra cause ed effetti.
Scrive Saviano:” La mesata. Questo il primo successo della ragazza. Qualora fosse finito in galera il suo ragazzo, avrebbe conquistato un salario. La mesata è il salario mensile che i clan danno alle famiglie degli affiliati. Fidanzandosi, la mesata viene girata alla fidanzata anche se conviene, per essere certi della reversibilità, essere incinta. Non necessariamente sposata, basta un bambino, anche solo nella pancia. Se sei soltanto fidanzata rischi che si presenti al clan qualche altra ragazza, magari sino ad allora tenuta nascosta, ragazze che non sanno l'una dell'altra. In questo caso o è il responsabile di zona del clan che decide se dividere la mesata tra due donne, cosa rischiosa perché genera molta tensione tra famiglie, o si fa decidere all'affiliato a quale ragazza darla. Si decide nella maggior parte delle volte di non dare la mesata a nessuna delle due, girandola direttamente alla famiglia del carcerato e risolvendo così di netto il problema. Matrimonio o puerperio, sono gli elementi che garantiscono con certezza gli stipendi. I soldi vengono portati quasi sempre a mano, evitando così di lasciare troppe tracce sui conti correnti. Vengono portati dai "sottomarini". Il sottomarino è la persona che viene incaricata di distribuire le mensilità. Li chiamano così perché strisciano sul fondo delle strade. Non si fanno mai vedere, non devono essere facilmente rintracciabili perché possono essere ricattati, messi sotto pressione, rapinati. Emergono dalla strada d'improvviso, arrivando alle stesse case seguendo percorsi sempre diversi. Il sottomarino cura gli stipendi dei livelli più bassi del clan. I dirigenti invece chiedono la somma di cui hanno bisogno di volta in volta e trattano direttamente con i cassieri. I sottomarini non sono parte del Sistema, non vengono affiliati; potrebbero, gestendo i salari, sfruttare questo ruolo fondamentale e aspirare a crescere nel clan. Sono quasi sempre pensionati, ragionieri di negozio, vecchi contabili di bottega, che lavorando per i clan incassano un altro stipendio arrotondando la pensione e soprattutto riuscendo a uscire di casa senza marcire davanti alla televisione. Bussano il 28 di ogni mese, poggiano le loro buste di plastica sui tavoli e poi dall'interno della giacca, da una tasca gonfissima, cacciano una busta di carta con sopra scritto il cognome dell'affiliato morto o in galera e la danno alla moglie, o se non c'è al figlio più grande. Quasi sempre assieme alla mesata portano anche un po' di spesa. Prosciutto, frutta, pasta, uova, un po' di pane. Salgono le scale strusciando le buste vicino alle pareti. Quello struscio continuo, i piedi pesanti, quello è il campanello del sottomarino. Sono sempre carichi come asini, comprano la spesa nelle stesse salumerie e dai medesimi fruttivendoli, fanno un unico carico che poi portano a tutte le famiglie. Si comprende quante mogli di carcerati o vedove di camorristi vivono in una strada da come il sottomarino è carico.”

5) Totò da Maria
Come entrare in un'altra quotidianità? Una quotidianità diversa dalla nostra è destinata - sempre e comunque - ad apparirci eccezionale. Ogni gesto viene per così dire isolato dalla sorpresa, dal disorientamento o dallo sgomento che suscita in noi. Proprio per via dell'isolamento prodotto dalla nostra percezione, tale gesto cessa di essere quotidiano, viene estrapolato da quel complesso di riferimenti e di rimandi che ci avvolge come l'aria che respiriamo. Ed è per questo che quando il regista ci porta dentro la casa della donna di camorra tutto ci sembra strano, eccezionale: quelle donne che giocano a carte, ad esempio, non ci appaiono come casalinghe annoiate ma ambigue giocatrici in una improvvisata bisca clandestina.
La scimmietta in gabbia, che Maria esibisce nel salotto, diventa, poi, l'ennesimo simbolo con cui Garrone punteggia il suo racconto. L'animale in gabbia sembra rappresentare ciò che è la condizione esistenziale per la gran parte dei protagonisti del film chiusi e nascosti nei loro squallidi appartamenti, prigionieri del loro quartiere e della loro vita. Non a caso la paura di una rappresaglia del clan indurrà Maria a nascondersi in casa e a proteggere la scimmietta rinchiudendola nello sgabuzzino in un analogo e claustrofobico ridimensionamento del loro spazio vitale

6) Le sentinelle. I bambini nella piscina
Una delle immagini più potenti del film è quel campo lunghissimo dove vengono ripresi  in totale i palazzi fatiscenti delle Vele a Scampia. Questa inquadratura racconta perfettamente, in pochi secondi, il degrado della realtà napoletana e, per contrasto, l'impossibile sogno borghese che sta su quel terrazzo dell'attico dove un tappeto verde e una piscina gonfiabile cercano invano di esibire benessere e felicità.
La camorra vive e prospera nella bruttezza, sono brutti i suoi killer, sono orribili e le case in cui vivono i boss, sono allucinanti i quartieri dove sopravvive la manovalanza.
Gomorra è inevitabilmente un film che dialoga con il passato. Un passato-presente. O che comunque deve fare i conti con qualcosa che è stato detto, immancabile premessa di un discorso destinato a proseguire. In particolare, Scampia e le sue Vele, il massimo simbolo del degrado urbano, sociale e architettonico napoletano, oggi quasi tutte abbattute, sono anche l'elemento visivo che collega due modelli di rappresentazione cinematografica in Italia di una realtà rimossa, inquietante, drammatica, che assume per forza di cose una connotazione politica. A distanza di quindici anni a restituire sullo schermo l'immagine di questa dimensione impenetrabile e scandalosa di una città "sconosciuta" sono stati non a caso, due autori peraltro molto diversi e distanti come Rosi e Garrone, che oggi ci sembrano offrire spunti per una riflessione sul rapporto tra cinema, politica e realtà. Le Vele di Scampia, che siglano l'inizio di Diario napoletano nel non lontano 1992 e quest'anno in Gomorra, tornano a configurarsi come teatro angusto e condominiale della mattanza tra clan, istituiscono una continuità discorsiva che merita di essere approfondita. Rosi nel suo Diario napoletano individuava in Scampia la prova visibile di uno scempio di lunga durata, il risultato allora come oggi più appariscente dell'ingerenza del potere politico sullo spazio urbano sociale e antropologico che a Napoli diventava "spettacolo" scandaloso. Scampia, i suoi edifici allineati, le famigerate Vele dove si saldano malavita, mala-architettura e mala-politica. Dice Garrone: “Al cinema tutto è finzione, ogni cosa è ricostruita. Penso che, le Vele erano in fase di abbandono quando iniziammo le riprese. Ai residenti erano stati concessi gli alloggi popolari. Dunque, è come se quegli edifici fossero un immenso, teatro di posa. Ciò non toglie che il cinema lavori sulla sensazione, sulla verosimiglianza.”

7) Marco e Ciro nella casa di “Sandokan” imitano Scarface
I due ragazzi stanno recitando a memoria le battute del film Scarface di Brian De Palma con Al Pacino in una villa abbandonata che ricorda la scenografia della casa del boss cinematografico.
A ben vedere, è proprio da questa divaricazione che scaturisce e trae alimento la mitologizzazione del gangster e del criminale. Il criminale diviene mito o icona per la sua capacità di distinguersi, di staccarsi e dunque di risaltare e spiccare. Nella nostra epoca in particolare, il criminale è colui che non si lascia massificare, cioè fagocitare dalla massa, livellare nella massa; è colui che, in uno scenario di individualismo consumistico, di individualismo puramente simulacrale - individualismo da réclame - sa veramente essere individuo e non solo un clone anonimo dell'Uomo Comune, dell'uomo a una dimensione. Il cinema, al pari di altre forme di racconto, ha messo a punto un'iconografia del criminale (gangster, mafioso, yakuza, ecc.), nel contesto della quale il criminale ha appunto uno statuto eccezionale, un'aura sua specifica che lo separa dalla folla e lo rende ambiguamente seducente e affascinante.
Scrive Saviano:”Le ville dei camorristi sono le perle di cemento nascoste nelle strade dei paesi del casertano, protette da mura e telecamere. Sono decine e decine. Marmi e parquet, colonnati e scale, camini con le iniziali dei boss incise nel granito. Ma ce n'è una particolarmente celebre, la più fastosa di tutte o semplicemente quella che intorno a sé ha creato più leggende. Per tutti in paese è "Hollywood". Basta pronunciare il nome per capire. Hollywood è la villa di Walter Schiavone, fratello di Sandokan, per molti anni responsabile del ciclo del cemento per conto del clan. Intuire la causa del nome non è complesso. Facile immaginarsi gli spazi e il fasto. Ma non è questo il motivo reale. Con Hollywood la villa di Walter Schiavone c'entra davvero. Si racconta a Casal di Principe che il boss aveva chiesto al suo architetto di costruirgli una villa identica a quella del gangster cubano di Miami, Tony Montana, in Scarface. Il film l'aveva visto e rivisto. L'aveva colpito sin nel profondo, al punto tale da identificarsi nel personaggio interpretato da Al Pacino. E effettivamente il suo volto scavato poteva sovrapporsi, con qualche fantasia, al viso dell'attore. Tutto ha il tono di leggenda. Al suo architetto, raccontano in paese, il boss consegnò direttamente il VHS del film. Il progetto doveva essere quello del film Scarface e nient'altro. Questa mi pareva una di quelle storie che addobbano l'ascesa al potere di ogni boss, un'aura che si impasta di leggenda, di veri e propri miti metropolitani (...). Non è il cinema a scrutare il mondo criminale per raccoglierne i comportamenti più interessanti. Accade esattamente il contrario. Le nuove generazioni di boss non hanno un percorso squisitamente criminale, non trascorrono le giornate per strada avendo come riferimento il guappo di zona, non hanno il coltello in tasca, né sfregi sul volto. Guardano la tv, studiano, frequentano le università, si laureano, vanno all'estero e soprattutto sono impegnati nello studio dei meccanismi d'investimento. Il caso del film Il Padrino è eloquente. Nessuno all'interno delle organizzazioni criminali, siciliane come campane, aveva mai usato il termine padrino, frutto invece di una traduzione poco filologica del termine inglese Godfather. Il termine usato per indicare un capofamiglia o un affiliato è sempre stato compare. Dopo il film però le famiglie mafiose d'origine italiana negli Stati Uniti iniziarono a usare la parola padrino, sostituendo quella ormai poco alla moda di compare e compariello. Molti giovani italoamericani legati alle organizzazioni mafiose imitarono gli occhiali scuri, i gessati, le parole ieratiche. Lo stesso boss John Gotti si volle trasformare in una versione in carne e ossa di don Vito Corleone. Anche Luciano Liggio, boss di Cosa Nostra, si faceva fotografare sporgendo la mascella come il capofamiglia de II Padrino (...) Il cinema è un modello da cui decrittare modi d'espressione. A Napoli, Cosimo Di Lauro è esemplare. Guardando la sua tenuta, a tutti doveva venire in mente The Crow di Brandon Lee. I camorristi debbono formarsi un'immagine criminale che spesso non hanno, e che trovano nel cinema. Articolando la propria figura su una maschera hollywoodiana riconoscibile, percorrono una sorta di scorciatoia per farsi riconoscere come personaggi da temere. L'ispirazione cinematografica arriva a condizionare anche le scelte tecniche come l'impugnatura della pistola e il modo di sparare. Una volta un veterano della Scientifica di Napoli mi raccontò come i killer di camorra imitassero quelli dei film:” Ormai dopo Tarantino questi hanno smesso di saper sparare come Cristo comanda! Non sparano più con la canna dritta. La tengono sempre sbilenca, messa di piatto. Sparano con la pistola storta, come nei film, e questa abitudine crea disastri. Sparano al basso ventre, all'inguine, alle gambe, feriscono gravemente senza uccidere. Così sono sempre costretti a finire la vittima sparando alla nuca. Un lago di sangue gratuito, una barbarie del tutto superflua ai fini dell'esecuzione. Le guardaspalle delle donne boss sono vestite come Urna Thurman in Kill Bill: caschetto biondo e tute giallo fosforescente. Una donna dei Quartieri Spagnoli, Vincenza Di Domenico, per un breve periodo collaboratrice di giustizia, aveva un soprannome eloquente, Nikita, come l'eroina killer del film di Luc Besson. Il cinema, soprattutto quello americano, non è visto come il territorio lontano dove l'aberrazione accade, non come il luogo dove l'impossibile si realizza, ma anzi come la vicinanza più prossima.(...) Non c'è una reale differenza tra gli spettatori dei film in terra di camorra e qualsiasi altro spettatore. Ovunque i riferimenti cinematografici sono seguiti come mitologie d'imitazione. Se altrove ti può piacere Scarface e puoi sentirti come lui in cuor tuo, qui puoi essere Scarface, però ti tocca esserlo fino in fondo”

8) Marco e Ciro derubano i nigeriani extracomunitari e poi festeggiano

Dell'impianto narrativo e dell'impostazione di fondo di Saviano e del suo libro, Garrone ha conservato soprattutto l'importanza dell'osservazione sul campo, quella capace di non farsi condizionare dai pregiudizi e di entrare in qualche modo in sintonia con una maniera di vivere e di ragionare che altrove può sembrare aberrante. Per questo il momento dei sopralluoghi, della scelta degli attori e delle comparse, delle prove e poi delle riprese sono stati importanti almeno quanto la stesura della sceneggiatura. Il cinema di Garrone si è sempre soffermato su degli outsider. La particolarità che egli tenta di cogliere con Gomorra (e che spiega le sue opzioni stilistiche) è tuttavia un'altra: consiste nel farsi regola dell'aberrazione, nel farsi abitudine del degrado.

9)Vengono convocati dal boss della zona

10) I ragazzi lo prendono in giro

Qui è il “Sistema” (come vien detta in loco la camorra) a costituire la macro-società: esso è talmente capillare e pervasivo da abbracciare e da scandire tutte le tappe della vita di un uomo, di una famiglia, di un parentado, dai primi lavoretti saltuari all'affiliazione ufficiale, dagli stipendi alle pensioni, dai prestiti all'elargizione di assegni per i congiunti dei carcerati, dalla nascita alla morte. Il “Sistema” è il tessuto connettivo della comunità, assurge a stato nello stato. E' un vero e proprio salto qualitativo catastrofico quello che va a tradursi e comporsi nella normalità dello sfacelo.

11) Storia di Franco e Roberto il distributore di benzina abbandonato e poi alla cava

I luoghi sono importanti nel film di Garrone non solo perché ci restituiscono la visione reale del degrado del nostro Mezzogiorno ma anche perché assurgono alla funzione di spazi simbolici. Il distributore di benzina abbandonato, segno di un tracollo economico o di una speculazione edilizia (una strada che non è mai stata terminata, come ne esistono al Sud, in cui la stazione di rifornimento non ha mai avuto senso di esistere), ospita lo scenario per presentare la storia di Franco, rapace imprenditore dei rifiuti, e del suo assistente Roberto. Roberto figlio del sottoproletariato campano sembra emergere dalle viscere di quella terra deturpata e svilita quando esce da uno dei tanti buchi che Franco, rampante self made man in giacca e cravatta ma con una sfumatura dì disordine cialtrone, vuol riempire di immondizia.

12) Storia di Pasquale. L’asta
Scrive Saviano :” Le aste che le grandi griffe italiane fanno in questi luoghi sono strane. Nessuno perde e nessuno vince l'appalto. Il gioco sta nel partecipare o meno alla corsa. Qualcuno si lancia con una proposta, dettando il tempo e il prezzo che può sostenere. Ma se le sue condizioni saranno accettate non sarà l'unico vincitore. La sua proposta è come una rincorsa che gli altri imprenditori possono tentare di seguire. Quando un prezzo viene accettato dai mediatori gli imprenditori presenti possono decidere se partecipare o meno; chi accetta riceve il materiale. Le stoffe. Le fanno inviare direttamente al porto di Napoli e da lì ogni imprenditore le va a prendere. Ma uno soltanto verrà pagato a lavoro ultimato. Quello che consegnerà per primo i capi confezionati con elevatissima qualità di fattura. Gli altri imprenditori che hanno partecipato all'asta potranno tenersi i materiali, ma non avranno un centesimo. Le aziende di moda ci guadagnano così tanto che sacrificare stoffa non è una perdita rilevante. Se un imprenditore per più volte non consegna, sfruttando l'asta per avere materiale gratuito, viene escluso da quelle successive. Con quest'asta, i mediatori delle griffe si assicurano la velocità di produzione, perché se qualcuno tenta di rimandare qualcun altro ne prenderà il posto. Nessuna proroga è possibile per i tempi dell'alta moda.”

13) Storia di Pasquale. L’imprenditore prende i soldi degli strozzini
Tra i poveri ci sono soldi dappertutto: chi li conta, chi li distribuisce, chi li incassa, chi li promette, chi li usa per pagare ai bambini i piccoli servizi criminali resi.
Scrive Saviano:” Le griffe italiane pagano solo a lavoro ultimato. Anzi, solo dopo aver approvato il lavoro. Stipendi, costi di produzione, e persino di spedizione: tutto viene anticipato dai produttori. I clan, a seconda della loro influenza territoriale, danno liquidità in prestito alle fabbriche. Ad Arzano i Di Lauro, a Sant'Antimo i Verde, i Cerniamo a Crispano, e così in ogni territorio. Queste aziende ricevono liquidità dalla camorra con tassi bassi. Dal 2 al 4 per cento. Nessuna azienda più delle loro potrebbe accedere ai crediti bancari: producono per l'eccellenza italiana, per il mercato dei mercati. Ma sono fabbriche buie, e gli spettri non vengono ricevuti dai direttori di banca. La liquidità della camorra è anche l'unica possibilità per i dipendenti per accedere a un mutuo. Così, in comuni dove oltre il 40 per cento dei residenti vive di lavoro nero, sei famiglie su dieci riescono ugualmente a comprare una casa. Anche gli imprenditori che non soddisfano le esigenze delle griffe troveranno un acquirente. Venderanno tutto ai clan per farlo entrare nel mercato del falso. Tutta la moda delle passerelle, tutta la luce delle prime più mondane proviene da qui. Dal napoletano e dal Salento. (...) Gli abiti contraffatti dei clan secondiglianesi quindi non sono la classica merce tarocca, la pessima imitazione, il simile spacciato per autentico. E' una sorta di falso-vero. Al capo manca solo l'ultimo passaggio, l'autorizzazione della casa madre, il suo marchio, ma quell'autorizzazione i clan se la prendono senza chiedere niente a nessuno. Il cliente, del resto, in ogni parte del mondo è interessato alla qualità e al modello. La marca c'è, la qualità pure. Nulla di differente quindi.”

14) Pasquale viene contattato dai cinesi
Per altro verso, l'attuale degenerazione parrebbe aver cancellato, o messo a tacere, una cultura che, spesso e colpevolmente ridotta in forme consolatorie, ha preservato in ogni tragedia un universale valore di pietà. Pietà forse rintracciabile in quell'imbarazzo per gli applausi di Pasquale, il sarto. C'è un filo di speranza, allora? Forse no: l'onestà di Garrone è anche disilludere. Nondimeno, Pasquale trattiene nello sguardo una profonda pietà: verso gli altri e verso se stesso.

15) La retata. Totò recupera della droga e chiede di essere arruolato
Come in tutti i racconti di formazione dove ci sono prove da superare e un mentore a cui affidare la propria speranza, anche la storia di Totò ricalca lo schema classico delle fiabe. Qui recupera la pistola e la droga che, come una sorta di mezzi magici, spalancheranno al ragazzino le porte del mondo degli adulti malavitosi. Il regista filma questa sua prova con un piano sequenza riprendendo, cioè senza stacchi, l'azione di Totò che si arrampica sul terrazzamento e recupera la refurtiva, descrivendo - senza ellissi e senza l'enfasi che un montaggio avrebbe potuto confezionare per noi spettatori - i suoi gesti, la sua paura ma anche la sua determinazione.
Scrive Saviano:”I camerieri della pizzeria avevano la stessa età dei ragazzi di Sistema e li guardavano ammirati, senza neanche avere il coraggio di servirli. Ci pensava direttamente il proprietario. Qui lavorare come garzone, cameriere, o in un cantiere è come un'ignominia. Oltre ai soliti eterni motivi: lavoro nero, ferie e malattie non pagate, dieci ore di media al giorno, non hai speranza di poter migliorare la tua condizione. Il Sistema concede almeno l'illusione che l'impegno sia riconosciuto, che ci sia la possibilità di fare carriera. Un affiliato non verrà mai visto come un garzone, le ragazzine non penseranno mai di essere corteggiate da un fallito. Questi ragazzini imbottiti, queste ridicole vedette simili a marionette da football americano, non avevano in mente di diventare Al Capone, ma Flavio Briatore, non un pistolero, ma un uomo d'affari accompagnato da modelle: volevano diventare imprenditori di successo.”

16) Il ragioniere e Maria. Don Cira l’aiuta perchè le si è allagata la casa. Il ragioniere entra in una casa vuota

17) L’iniziazione di Totò

Ci sono spesso delle zone nere che cancellano una parte dell'inquadratura in Gomorra. Gallerie cieche, stanze in penombra, cantine, un male illuminato, muri e pareti che bloccano la vista, ambienti senza luci: buchi che risucchiano i personaggi e la macchina da presa, Oppure rettangoli che impediscono la visione, come i timbri della censura. Non si può vedere tutto di quel mondo ci suggeriscono quelle immagini, perché ogni persona è un mondo a sé, risponde a una regola personale, che è quella del profitto, ma non solo, E anche quella del proprio codice d'onore, o del proprio tornaconto, o del proprio bisogno, o delle proprie illusioni.

18) Totò di sentinella
I giovanotti camorristi con la catena d'oro al collo inseguono l'estetica pubblicitaria: cabina abbronzante, depilazione delle sopracciglia, manicure. Insicurezza, esitazioni, rimorsi: zero. E anche Totò si avvia su quella strada

19) All’aeroporto partenza di Franco e Roberto

20) Storia di Franco e Roberto. Dall’imprenditore del nord

L'attenzione del regista verso la materia, anche se si preoccupa di non rimanere invischiato nella pura denuncia, erompe senza mezzi termini quando egli afferma che Gamorra è il motore del capitalismo italiano e internazionale e che il sistema descritto da Saviano è lo stesso designato dalle dottrine degli economisti classici con la libera impresa e la concorrenza.
L'immondizia napoletana altro non è che l' emergere di tutta l'immondizia prodotta nel mondo da un capitalismo sempre più selvaggio. L'emergenza rifiuti acquista una valenza simbolica particolare: si contrappone infatti a un mondo virtuale, quasi sempre mediatico, in cui il culto della bellezza dei corpi umani, dell'igiene ossessiva dietetica e medica, tende a esorcizzare la sofferenza, la malattia, la morte, il contagio con il vicino.
Se Napoli è diventata una miniera per chi tratta merce qualificata a basso costo (i celebrati stilisti del Nord, solo per fare un esempio) non di meno lascia intravedere, come rovescio delle organizzazioni legali, capacità politico-imprenditoriali straordinarie.

21) Storia di Franco e Roberto. In albergo di decide dove mettere i rifiuti

22) Storia di Franco e Roberto. A Venezia

23) Marco e Ciro rubano le armi

Nel “Mese d'o sole" il clima è nebbioso, pesante. Le scenografie ferrigne delle case, fatte di scale, passaggi, pianerottoli, corridoi, piccole stanze senza aria e senza spazio, spiegano il nervosismo perenne. Due ragazzetti in costume da bagno sparano raffiche verso il mare, verso il nulla: per il piacere di sentirsi vivere in un film. La storia dei due ragazzi è l'unica che si muove in spazi aperti, spiagge, boschi, esterni naturali: il loro è, rispetto agli altri un percorso, “anarchico” al contrario di Totò il cui  arruolamento avviene tra il cemento e le pareti di Scampia. In effetti anche la storia di Franco e Roberto si muove in spazi aperti ma in quel caso i veleni e i rifiuti che connotano quegli ambienti ci restituiscono la sensazione di un mondo soffocante e per questo metaforicamente claustrofobico sia pure en plen air.

24) Pasquale fa lezione ai cinesi

25) Pasquale a casa dalla moglie

26) Maria parla con Don Ciro del tradimento del figlio che diventa scissionista

Scrive Saviano:”Raffaele Amato '"a vicchiarella", il responsabile delle piazze spagnole, un dirigente del secondo livello del clan, era fuggito a Barcellona con i soldi della cassa dei Di Lauro. Questo si diceva. In realtà non aveva versato la sua quota al clan mostrando in tal modo di non avere più alcun tipo di sudditanza con chi lo voleva mettere a stipendio. Aveva ufficializzato la scissione. Per ora trattava solo in Spagna, territorio da sempre egemonizzato dai clan. In Andalusia i Casalesi del casertano, sulle isole i Nuvoletta di Marano, e a Barcellona gli "scissionisti". Questo il nome che qualcuno comincia a dare agli uomini dei Di Lauro che si sono allontanati. I primi cronisti che seguono la cosa. I cronisti di nera. Per tutti a Secondigliano sono invece gli Spagnoli. Così chiamati proprio perché in Spagna hanno il loro leader e hanno iniziato a controllare non solo le piazze ma anche i traffici; siccome Madrid è uno degli snodi fondamentali per il traffico di cocaina proveniente dalla Colombia e dal Perù.”

27) Simone e Ciro parlano della guerra
Molti film d’ambiente mafioso fanno baluginare i confini impercettibili ma ferrei di un mondo dove chi è estraneo alla malavita è per sua natura un diverso ed, in certo senso, un malato. Qui in particolare la descrizione è apparentemente distratta, ma in realtà minuziosa, ed evoca uno sfondo dove vecchi, adulti e ragazzi, uomini ma anche madri di famiglia, agiscono tutti all’interno della stessa dialettica e, verrebbe fatto di dire, della stessa rigida gradazione di valori. C’è un’altra Legge, apparentemente non scritta, che regola le azioni di tutti. Tutti rigorosamente camorristi senza che nessuno avverta la possibilità di vivere in un modo differente.

28) Ciro con il carico di droga

29) Ciro prende una maglietta

30) Ciro in auto a controllare il traffico di droga sua madre lo tira fuori dall'auto

31) Storia di Franco e Roberto. La discarica

Scrive Saviano:”Le discariche erano l'emblema più concreto d'ogni ciclo economico. Ammonticchiano tutto quanto è stato, sono lo strascico vero del consumo, qualcosa in più dell'orma lasciata da ogni prodotto sulla crosta terrestre. Il sud è il capolinea di tutti gli scarti tossici, i rimasugli inutili, la feccia della produzione. Se i rifiuti sfuggiti al controllo ufficiale - secondo una stima di Legambiente - fossero accorpati in un'unica soluzione, nel loro complesso diverrebbero una catena montuosa da quattordici milioni di tonnellate: praticamente come una montagna di 14.600 metri con una base di tre ettari. Il Monte Bianco è alto 4.810 metri, l'Everest 8.844. Questa montagna di rifiuti, sfuggiti ai registri ufficiali, sarebbe la più grande montagna esistente sulla terra. È così che ho immaginato il DNA dell'economia, le sue operazioni commerciali, le sottrazioni e le somme dei commercialisti, i dividendi dei profitti: come questa enorme montagna. Una catena montuosa enorme che - come fosse stata fatta esplodere - si è dispersa per la parte maggiore nel sud Italia, nelle prime quattro regioni con il più alto numero di reati ambientali: Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. Lo stesso elenco di quando si parla dei territori con i maggiori sodalizi criminali, con il maggior tasso di disoccupazione e con la partecipazione più alta ai concorsi per volontari nell'esercito e nelle forze di polizia. Un elenco sempre uguale, perenne, immutabile. Il casertano, la terra dei Mazzoni, tra il Garigliano e il Lago Patria, per trent'anni ha assorbito tonnellate di rifiuti, tossici e ordinari.
La zona più colpita dal cancro del traffico di veleni si trova tra i comuni di Grazzanise, Cancello Arnone, Santa Maria La Fossa, Castelvolturno, Casal di Principe - quasi trecento chilometri quadrati di estensione - e nel perimetro napoletano di Giugliano, Qualiano, Villaricca, Nola, Acerra e Marigliano. Nessun'altra terra nel mondo occidentale ha avuto un carico maggiore di rifiuti, tossici e non tossici, sversati illegalmente. Grazie a questo business, il fatturato piovuto nelle tasche dei clan e dei loro mediatori ha raggiunto in quattro anni quarantaquattro miliardi di euro. Un mercato che ha avuto negli ultimi tempi un incremento complessivo del 29.8 per cento, paragonabile solo all'espansione del mercato della cocaina. Dalla fine degli anni '90 i clan camorristici sono divenuti i leader continentali nello smaltimento dei rifiuti. Già nella relazione al Parlamento, fatta nel 2002 dal Ministro dell'Interno, si parlava chiaramente di un passaggio dalla raccolta dei rifiuti a un patto imprenditoriale con alcuni addetti ai lavori, finalizzato all'esercizio di un controllo totale sull'intero ciclo. Il clan dei Casalesi, nella sua doppia diramazione, una diretta da Schiavone/Sandokan e l'altra da Francesco Bidognetti, alias Cicciotto di Mezzanotte, si spartisce il grande business, un così enorme mercato che - pur con continue tensioni - non li ha mai portati a uno scontro frontale. Ma i Casalesi non sono da soli. C'è il clan Maliardo di Giugliano, un cartello abilissimo nel dislocare in maniera rapida i proventi dei propri traffici, e capace di veicolare sul proprio territorio una quantità immensa di rifiuti. Nel giuglianese è stata scoperta una cava dismessa completamente ricolma di rifiuti. La stima della quantità sversata corrisponde a circa ventottomila Tir. Una massa rappresentabile immaginando una fila di camion, uno appoggiato al paraurti dell'altro, che va da Caserta a Milano.
I boss non hanno avuto alcun tipo di remora a foderare di veleni i propri paesi, a lasciar marcire le terre che circoscrivono le proprie ville e i propri domini. La vita di un boss è breve, il potere di un clan tra faide, arresti, massacri ed ergastoli non può durare a lungo. Ingolfare di rifiuti tossici un territorio, circoscrivere i propri paesi di catene montuose di veleni può risultare un problema solo per chi possiede una dimensione di potere a lungo termine e con responsabilità sociale. Nel tempo immediato dell'affare c'è invece solo il margine di profitto elevato e nessuna controindicazione. La parte più consistente dei traffici di rifiuti tossici ha un vettore unico: nord-sud. Dalla fine degli anni '90 diciottomila tonnellate di rifiuti tossici partiti da Brescia sono stati smaltiti tra Napoli e Caserta e un milione di tonnellate, in quattro anni, sono tutte finite a Santa Maria Capua Vetere. Dal nord i rifiuti trattati negli impianti di Milano, Pavia e Pisa venivano spediti in Campania. La Procura di Napoli e quella di Santa Maria Capua Vetere hanno scoperto nel gennaio 2003, grazie alle indagini coordinate dal pubblico ministero Donato Ceglie, che in quaranta giorni oltre seimilacinquecento tonnellate di rifiuti dalla Lombardia sono giunte a Trentola Ducenta, vicino a Caserta”.

32) Storia di Franco e Roberto. Al porto

33) Storia di Franco e Roberto. Problemi alla discarica

Quando la scena si apre sul totale della discarica, Garrone, ancora una volta, sintetizza perfettamente il problema e la sua dimensione sociale e culturale.

34) Don Ciro riceve la nuova lista dove non c’è Maria

35) Agguato a Don Ciro

Il personaggio di Don Ciro è interessante per comprendere la contiguità tra legale e illegale, del loro intrecciarsi intimo e subdolo. Don Ciro ogni mese mantiene, per conto dei boss, i parenti di chi sta in galera: lui pensa di essere solo un “puro” esecutore di ordini, estraneo alle logiche di potere dei clan.: “All' inizio certe cose mi lasciavano di stucco - ha detto Garrone -. Poi pian piano mi sono accorto che mi abituavo, non mi sorprendevo più di niente, come accade alla gente che vive lì. Ci si abitua, a tutto credo. E ti accorgi di come sia facile cadere in certe dinamiche criminali, perché esiste un meccanismo intorno a te, degli ingranaggi che ti stritolano senza che tu te ne renda conto”. Ecco come si diventa camorristi: perché non hai alternativa. Così, il piccolo Totò forse pensa che entrare nella camorra voglia dire fare i turni di guardia per proteggere gli spacciatori ma si troverà invece a dover scegliere tra la vita e la morte della madre di un amico.

36) Marco e Ciro. Rapina alla sala giochi

37) Marco e Ciro nel night club vengono prelevati e minacciati

38) Marco e Ciro cercano le armi nella pineta

39) Storia di Marco e Ciro. I boss decidono il destino dei ragazzi

Scrive Saviano:”Tutti, anche i più premurosi verso la propria incolumità, finiscono nella gabbia della pensione, tutti prima o poi si scoprono cornuti, tutti finiscono con una badante polacca. Perché crepare di depressione cercando un lavoro che fa boccheggiare, perché finire in un part-time a rispondere al telefono? Diventare imprenditore. Ma vero. Capace di commerciare con tutto e di fare affari anche col nulla. Ernst Jùnger direbbe che la grandezza è esposta alla tempesta. Lo stesso ripeterebbero i boss, gli imprenditori di camorra. Essere il centro di ogni azione, il centro del potere. Usare tutto come mezzo e se stessi come fine. Chi dice che è amorale, che non può esserci vita senza etica, che l'economia possiede dei limiti e delle regole da seguire, è soltanto colui che non è riuscito a comandare, che è stato sconfitto dal mercato. L'etica è il limite del perdente, la protezione dello sconfitto, la giustificazione morale per coloro che non sono riusciti a giocarsi tutto e vincere ogni cosa. La legge ha i suoi codici stabiliti, ma non la giustizia che è altro. La giustizia è un principio astratto che coinvolge tutti, passabile a seconda di come lo si interpreta di assolvere o condannare ogni essere umano: colpevoli i ministri, colpevoli i papi, colpevoli i santi e gli eretici, colpevoli i rivoluzionari e i reazionari. Colpevoli tutti di aver tradito, ucciso, sbagliato. Colpevoli d'essere invecchiati e morti. Colpevoli di essere stati superati e sconfitti. Colpevoli tutti dinanzi al tribunale universale della morale storica e assolti da quello della necessità. Giustizia e ingiustizia hanno un significato solo se considerate nel concreto. Di vittoria o sconfitta, di atto fatto o subito. Se qualcuno ti offende, se ti tratta male, sta commettendo un'ingiustizia, se invece ti riserva un trattamento di favore ti fa giustizia. Osservando i poteri del clan bisogna fermarsi a questi calibri. A queste maglie di giudizio. Bastano. Devono bastare. È questa l'unica forma reale di valutazione della giustizia. Il resto è solo religione e confessionale. L'imperativo economico è foggiato da questa logica. Non sono gli affari che i camorristi inseguono, sono gli affari che inseguono i camorristi. La logica dell'imprenditoria criminale, il pensiero dei boss coincide col più spinto neoliberismo. Le regole dettate, le regole imposte, sono quelle degli affari, del profitto, della vittoria su ogni concorrente. Il  resto vale zero. Il resto non esiste. Poter decidere della vita e della morte di tutti, poter promuovere un prodotto, monopolizzare una fetta di mercato, investire in settori d'avanguardia, è un potere che si paga con il carcere o con la vita. Avere potere per dieci anni, per un anno, per un'ora. Non importa la durata: vivere, comandare per davvero, questo conta. Vincere nell'arena del mercato e arrivare a fissare il sole con gli occhi come faceva in carcere Raffaele Giuliano, boss di Forcella, sfidandolo, mostrando che il suo sguardo non si accecava neanche dinanzi alla luce prima. Raffaele Giuliano che aveva avuto la spietata volontà di cospargere di peperoncino la lama di un coltello prima di accoltellare un parente di un suo nemico, così da fargli sentire bruciori lancinanti mentre la lama entrava nella carne, centimetro per centimetro. In carcere veniva temuto non per questa sua acribia sanguinaria, ma per la sfida dello sguardo capace di mantenersi alto anche fissando il sole. Avere la coscienza di essere dei business man destinati alla fine - morte o ergastolo - ma con volontà spietata dominare economie potenti e illimitate. Il boss viene ammazzato o arrestato, ma il sistema economico che ha generato rimane: non smettendo di mutare, trasformarsi, migliorare e innescare profitto. Questa coscienza da samurai liberisti, i quali sanno che il potere, quello assoluto, per averlo si paga, la trovai sintetizzata in una lettera di un ragazzino rinchiuso in un carcere minorile, una lettera che consegnò a un prete e che fu letta durante un convegno. La ricordo ancora. A memoria: “Tutti quelli che conosco o sono morti o sono in galera. Io voglio diventare un boss. Voglio avere supermercati, negozi, fabbriche, voglio avere donne. Voglio tre macchine, voglio che quando entro in un negozio mi devono rispettare, voglio avere magazzini in tutto il mondo. E poi voglio morire. Ma come muore uno vero, uno che comanda veramente. Voglio morire ammazzato.”.

40) Totò da Maria che ha paura

41) Don Ciro si mette il giubbotto antiproiettile
In queste sequenze i personaggi iniziano a vacillare nelle loro fragile certezze. Il loro mondo inizia a mostrare delle crepe che diventano improvvisamente delle voragini che risucchiano impietose e ciniche le loro vite. Don Ciro, Maria, l'agguato a Pasquale, la decisione dei boss di far fuori Marco e Ciro sono tutte scene legate  fra loro per analogia e chi ci mostrano, impietose, il cupio dissolvi dell'esistenza nel mondo aberrante del crimine.

42) Don Ciro Maria. Don Ciro scappa

43) La camorra scopre che Pasquale si è venduto ai cinesi agguato

44) Agguato all’amico di Totò

Scrive Saviano:”Non bisognerebbe contare i morti per comprendere le economie della camorra, anzi sono l'elemento meno indicativo del potere reale, ma sono la traccia più visibile e quella che riesce d'immediato a far ragionare con lo stomaco. Inizio la conta: nel 1979 cento morti, nel 1980 centoquaranta, nel 1981 centodieci, nel 1982 duecentosessantaquattro, nel 1983 duecentoquattro, nel 1984 centocinquantacinque, nel 1986 centosette, nel 1987 centoventisette, nel 1988 centosessantotto, nel 1989 duecentoventotto, nel 1990 duecentoventidue, nel 1991 duecentoventitré, nel 1992 centosessanta, nel 1993 centoventi, nel 1994 centoquindici, nel 1995 centoquarantotto, nel 1996 cento-quarantasette, nel 1997 centotrenta, nel 1998 centotrentadue, nel 1999 novantuno, nel 2000 centodiciotto, nel 2001 ottanta, nel 2002 sessantatré, nel 2003 ottantatré, nel 2004 centoquarantadue, nel 2005 novanta. Tremilaseicento morti da quando sono nato. La camorra ha ucciso più della mafia siciliana, più della 'ndrangheta, più della mafia russa, più delle famiglie albanesi, più della somma dei morti fatti dall'ETA in Spagna e dell'IRA in Irlanda, più delle Brigate Rosse, dei NAR e più di tutte le stragi di Stato avvenute in Italia. La camorra ha ucciso più di tutti. Mi viene in mente un'immagine. Quella della cartina del mondo che spesso compare sui giornali. Campeggia sempre in qualche numero di "Le Monde Diplomatique", quella mappa che indica con un bagliore di fiamma tutti i luoghi della terra dove c'è un conflitto. Kurdistan, Sudan, Kosovo, Timor Est. Viene di gettare l'occhio sull'Italia del sud. Di sommare i cumuli di carne che si accatastano in ogni guerra che riguardi la camorra, la mafia, la 'ndrangheta, i Sacristi in Puglia o i Basilischi in Lucania. Ma non c'è traccia di lampo, non v'è disegnato alcun fuocherello. Qui è il cuore d'Europa. Qui si foggia la parte maggiore dell'economia della nazione. Quali ne siano le strategie d'estrazione, poco importa. Necessario è che la carne da macello rimanga impantanata nelle periferie, schiattata nei grovigli di cemento e monnezza, nelle fabbriche in nero e nei magazzini di coca. E che nessuno ne faccia cenno, che tutto sembri una guerra di bande, una guerra tra straccioni. E allora comprendi anche il ghigno dei tuoi amici che sono emigrati, che tornano da Milano o da Padova e non sanno tu chi sia diventato. TI squadrano dall'alluce alla fronte per cercare di soppesare il tuo peso specifico e intuire se sei un chiachiello o uno bbuono. Un fallito o un camorrista. E dinanzi alla biforcazione delle strade sai quale stai già percorrendo e non vedi nulla di buono al termine del percorso.”

45) In ospedale decisione di vendicarsi uccidendo Maria
 
46) Agguato a Maria

47) Don Ciro dagli scissionisti

48) Agguato degli scissionisti. Don Ciro scappa e si salva

49) Franco e Roberto dalla famiglia con il malato

50) Roberto se ne va

Roberto è il personaggio “morale” del film quello che sceglie di cambiare che ha un riscatto etico. Don Ciro scappa per paura, Pasquale cambia lavoro per rabbia e frustrazione mentre Roberto che avrebbe potuto avere davanti a sé una carriera ricca di soddisfazioni economiche se ne va per libera scelta affrontando tutte le incertezze della disoccupazione.

51) Pasquale, diventato camionista, vede alla televisione la sfilata di Scarlet Joahnson

Per cominciare a mettere a fuoco i tratti di fondo di questa normalità dello sfacelo, vale la pena ricordare la vicenda del sarto Pasquale. Sia il film di Garrone che il libro di Saviano raccontano questo personaggio come un talento dilapidato, soffocato da un contesto di patologico e ineluttabile immobilismo, in cui anche a una straordinaria perizia e abilità artigianale sono assegnati la mera sopravvivenza e nessun riconoscimento per la propria bravura. Tuttavia, come ripetutamente accade nel passaggio dal libro al film, la storia di Pasquale subisce una significativa metamorfosi. La variazione dell'ordine degli episodi di cui è composta porta con sé decisi spostamenti d'accento. In Garrone sono il conflitto tra le imprese di camorra e quelle cinesi e il ruolo ambiguo assunto dal suo capo a indurre Pasquale ad abbandonare quel lavoro di sarto svolto con mano fatata in un girone infernale di sfruttamento e di abiezione. Pasquale decide di fare il camionista, di applicare le sue dita morbide, coltivate ai movimenti più accurati e minuziosi su e giù per tessuti preziosi, all'uniforme, anonima e grezza rotondità di un volante. Quando a Pasquale, in un autogrill, capita di vedere un abito da lui confezionato indosso a Scarlett Johansson durante la notte degli Oscar, quell'immagine di un vestito da sogno scaturito dalle viscere dell'incubo si eleva a emblema della sconfitta: esso non redime lo squallore, piuttosto lo abbandona a se stesso, lo precipita nel baratro senza fondo dell'invisibilità.
Questa consapevolezza si fa ancora più lancinante e totalizzante nel libro. Infatti Saviano non insiste sulla concorrenza tra italiani e cinesi e sul conseguente conflitto, ma fa sì che tutte le linee prospettiche si raccolgano intorno a quell'unico punto di fuga: il vestito indossato dalla diva americana (questa volta non Scarlett, bensì Angelina Jolie). Dopo una giornata di lavoro, immerso nell'intimità domestica del soggiorno di casa, attorniato dalla moglie e dai tre figli, Pasquale vede scorrere le immagini della notte degli Oscar sul piccolo schermo televisivo. Lui, incapacitato dallo spettacolo, strizza gli occhi come per vedere meglio. Sua moglie rimane impietrita, porta le mani alla bocca quasi per bloccare un urlo di dolore, più che un grido di sorpresa. Intorno a quest'immagine si raccoglie il destino di una terra, trapelano in filigrana le sue eterne leggi: “La notte degli Oscar, Angelina Jolie indossa un vestito fatto ad Arzano, da Pasquale. Il massimo e il minimo. Milioni di dollari e seicento euro al mese. Quando tutto ciò che è possibile è stato fatto, quando talento, bravura, maestria, impegno vengono fusi in un'azione, in una prassi, quando tutto questo non serve a mutare nulla, allora viene voglia di stendersi a pancia sotto sul nulla, nel nulla. Sparire lentamente, farsi passare i minuti sopra, affondarci dentro come fossero sabbie mobili. Smettere di fare qualsiasi cosa. E tirare, tirare a respirare. Nient'altro. Tanto nulla può mutare condizione: nemmeno un vestito fatto ad Angelina Jolie e indossato la notte degli Oscar”. La verità di cui Pasquale è stato testimone, la verità che solo lui conosce, lo isola ancora di più, lo rende irreparabilmente solo.
Su tale tronco malato si innesta la radicale protesta di Pasquale: egli decide di cambiare lavoro, di divenire camionista “per dispetto al suo destino”. E' come se con questa ribellione autolesionista egli volesse infine dimostrare che in terra di camorra ogni opzione è indifferente, gli uomini non sono che pedine o materiale umano o carne da macello. Questo è il centro di irradiazione del libro e del film: la paralisi, l'impotenza sono la vera risorsa della camorra, il vero collante di questa forma di criminalità organizzata. Non c'è niente di mitico, niente di "pasoliniano" nella periferia ritratta in Gomorra. Neppure categorie come la sociologia della miseria e la metafisica del ghetto non sono applicabili per il semplice fatto - e la storia di Pasquale lo dimostra ad abundantiam - che la povertà cronica in cui è sprofondata la terra di camorra non è che l'altro lato di speculazioni e traffici multi-miliardari. Si tratta di un'indigenza organica e funzionale al Sistema, un'indigenza scientemente promossa e perpetuata, un'indigenza che va a comporre i bacino di sfruttamento della camorra, un'indigenza che offre bassa manovalanza a buon mercato e dunque un'estesa solidarietà collusiva. La povertà è paradossalmente una vena aurifera. A giovani che sbattono quotidianamente contro il muro dell'indifferenza e del silenzio (delle istituzioni in primis), che al più hanno la prospettiva di tamponare la fame con strangolanti lavori in nero, a giovani che non hanno futuro, l'unica possibilità di affermazione, l'unica possibilità di evoluzione è quella offerta dagli allettamenti (per lo più ingannevoli a lungo termine) delle più grandi multinazionali locali: i clan. Essere affiliati non significa tanto avere una sicurezza economica, quanto piuttosto essere rispettati, poter guardare gli altri in faccia e costringerli ad abbassare gli occhi al proprio cospetto, guadagnare ascendente sulle ragazze. In questo zoo, l'importante è apparire gli animali più feroci, i predatori. Tutte le dinamiche elementari della strada passano attraverso un fiutarsi a pelle. Per guadagnare un qualunque status sociale, occorre ogni giorno, ogni momento, scaraventare la propria vita sulla bilancia del destino, come giocatori d'azzardo che fanno sempre la puntata massima. Perdere o vincere tutto. Senza vie di mezzo. E' questa dinamica elementare ed inesorabile che ci racconta Matteo Garrone. Con la stessa facilità con cui noi accendiamo un televisore, qualcuno - altrove - spegne la propria vita.
Piaccia no, lascia intendere il film, le leggi che regolano quel mondo garantiscono anche la contiguità all'altro mondo, questo mondo, il mondo dello spettatore che paga il biglietto e assiste in sala allo “spettacolo” sconcertante e insostenibile, riconoscibile solo cinematograficamente (ad esempio, nei film di Scorsese). Un mondo, quello dello spettatore medio, che è pur sempre fatto di luce rassicurante e visibilità ordinaria, e che torna dopo il buio della proiezione. Garrone sfata l'idea del parallelismo tra i due mondi, suggerendone la reciprocità, la contiguità. Uno non può esistere senza l'altro, uno spiega l'altro, si ricollega all'altro senza il mercato e la concorrenza violenta dell'indotto dei tessili campani e cinesi non ci sarebbero le passerelle della società-spettacolo. E  l'esempio scelto è quello della Mostra del Cinema di Venezia, proprio per non rinunciare alle implicazioni che ogni film ha con il proprio sistema di riferimento, cioè il cinema come pratica sociale, mondana, di produzione e consumo.

52) Uccisione di Marco e Ciro
Ma non  su Pasquale e la sua frustrazione che si chiude il film, bensì su due corpi di morti ammazzati, portati via da una ruspa  e come due burattini buttati nella spazzatura., a ricordare che la logica vincente non è certo quella della vita. Tutto questo Garrone lo filma con un occhio che si attacca alle cose, attento a non tradire la realtà, ma neanche a volerla a tutti i costi inseguire.
La città, la periferia, i campi fradici. Il mare del Golfo glorioso si vede così poco da lasciare indifferenti e anzi si trasforma in una simbologia funebre: appare desolato, una fascia sottile e sbiadita sullo sfondo. Al di qua, sulla scena, i bruti fanno la loro parte, cioè riaffermano col sangue la regola secondo la quale i ragazzi debbono sacrificarsi agli adulti, i figli ai padri, i nipoti ai nonni, e lo sgarro, ancora una volta, deve essere marchiato come disobbedienza.

UNITA' DIDATTICHE

Unità 1
1) A che cosa fa riferimento la sparatoria iniziale?
2) I boss si abbronzano, Totò si depila i sopraccigli, Franco veste sempre elegante in mezzo alle discariche... questa cura del look evidenziata dal regista che cosa intende sottolineare?
3) Commenta l'uso della musica in questa sequenza.

Unità 2
1)
Come è la struttura della sceneggiatura di Gomorra e il suo rapporto con il romanzo- inchiesta di Saviano?
2) Attraverso la storia di Don Ciro, il ragioniere della camorra, prova a raccontare il mondo della malavita organizzata
3) Una delle scene più significative è quella che si svolge su una terrazza delle Vele di Scampia dove i ragazzini si tuffano in una piscina gonfiabile. Prova a commentarla mettendo in evidenza gli elementi cinematografici che la connotano.
4) Marco e Ciro imitano le scene di un film di gangster. Che cosa vuol significare questa scena?

Unità 3
1)
Commenta la storia di Franco e Roberto
2) In questa scena una delle inquadrature più significative è il campo lunghissimo in cui vediamo incolonnati i camion che vanno a depositare i rifiuti tossici. Quali sono le suggestioni visive che riceviamo da questa particolare inquadratura?

Unità 4
1)
In che senso la storia di Pasquale è importante per comprendere il problema legato all'economia criminale?
2) Pasquale e Roberto  se ne vanno ed entrambi lasciano il loro lavoro: quali sono le similitudini e le differenze fra questi due personaggi?

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