giovedì 24 settembre 2009

LA FABBRICA DI CIOCCOLATO


Un film di  Tim Burton
Soggetto: dal libro di Roald Dahl
Sceneggiatura: John August, Pamela Pettler
Fotografia: Philippe  Rousselot
Musiche: Danny Elfman
Montaggio: Chris Lebenzon
Scenografia: Alex McDowell
Arredamento: Peter Young
Costumi: Gabriella Pescucci
Effetti: Joss Williams, Nick Davis, Chas Jarrett, The Moving Picture Company, The Visual Effects Company, Snow Business International, Proof, Framestore CFC, Asylum VFX, Cinesite, Digital Domain.
Interpreti: Johnny Depp (Willy Wonka), Freddie Highmore (Charlie Bucket), Helena Bonham Carter (Sig.ra Bucket), Christopher Lee (Padre di Willy Wonka), David Kelly (Nonno Joe), Noah Taylor (Padre di Charlie).
Produzione: Warner Bros.
Origine:USA/Gran Bretagna
Anno di edizione: 2005
Durta: 115’

Sinossi
Il piccolo Charlie Bucket realizza il suo sogno quando trova uno dei cinque biglietti per una visita guidata nella più grande fabbrica di cioccolato del paese. Ad accompagnare lui e gli altri quattro fortunati vincitori, il proprietario Willy Wonka, un personaggio incredibile. Molte sorprese sono in agguato…

ANALISI DEL FILM

1) Direttamente dai titoli di testa si entra all’interno della  fabbrica
Una ciminiera compare fra la neve, solcata da una spirale. Dalla sua cima, attraverso lo sguardo della macchina da presa, lo spettatore piomba all’interno della fabbrica, luogo oscuro dove strani macchinari preparano milioni di tavolette di cioccolato. Tutto accade automaticamente, come una danza, un Ballet mécanique, che ricorda il film di Léger; l’uomo è presente solo attraverso una piccola mano che colloca in cinque confezioni altrettanti biglietti d’oro, chiavi d’accesso alla grande fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. I titoli di testa di La fabbrica di cioccolato mostrano un cinema privo di sangue, di uomini, un Anémic cinéma, caratterizzato dalla spirale, proprio come il film di Man Ray e Duchamp con dischi circolari fatti roteare. Proprio il tema della spirale, movimento progressivo condotto senza fine verso il centro, immerge l’evento raccontato e ritornerà più volte all’interno del film, caratterizzandone la struttura e la dinamica drammaturgica   interna.

2) La voce off di un narratore onniscente, che tornerà più volte a commentare la vicenda, introduce il personaggio del piccolo Charlie, della sua misera casa, dove vive con i nonni ed i genitori. Il ragazzino con i tappi del dentifricio costruisce la fabbrica di Williy Wonka
Il recupero della tradizione figurativa delle avanguardie è immediatamente visibile anche nella piccola casa del protagonista povero, direttamente contrapposta alla grande e misteriosa fabbrica: un’abitazione in pieno stile espressionista, con le pareti inclinate, pronta a crollare, e al suo interno i visi segnati dal tempo e dalla  povertà della famiglia di Charlie. Senza dimenticare che l’utilizzo della voce off dà alla vicenda il tono della favola; una favola che sembra però arrivare direttamente da un libro di Dickens.
Burton riesce a dare all’innocente desiderio di cioccolato del giovane protagonista le sfumature dell’ossessione. Per ironia della sorte, la casetta vacillante in cui abita con la famiglia sorge all’ombra  della grande fabbrica di cioccolato, davanti alla quale il ragazzino si ferma per respirare a pieni polmoni il profumo emanato dall’edificio,  che diventa una vera e propria mania: Charlie la disegna, appende al muro gli incarti vuoti delle barrette di cioccolato addirittura costruisce un modellino  dell’edificio.

3) Il nonno racconta la storia della fabbrica di Willy e della sua fortuna economica 
Wonka è talmente conosciuto che un principe indiano si è fatto costruire da lui un palazzo di cioccolata. L’inaugurazione del nuovo stabilimento genera invidie e gelosie negli altri commercianti che riescono a carpire a Willy i segreti dei suoi dolciumi. Wonka, arrabbiato, licenzia gli operai. Poco dopo riapre la fabbrica con nuovi e misteriosi dipendenti. Da allora nessuno ha più visto il signor Wonka
Il racconto di Roal Dahl si trasforma nelle mani di Burton in una nuova occasione per continuare il discorso sul “diverso” che tanto sta a cuore al regista californiano.  E, mentre la fabbrica di cioccolato si rivela  lungo il percorso un luogo ricco di insidie nascoste dietro la golosa forma di una caramella,  il regista si diverte a seminare indizi e citazioni: a se stesso e ad altri grandi della storia del cinema. Numerosi sono i richiami ad “Edward mani di forbice”, il più gustoso si trova nella scena dell’inaugurazione della fabbrica, in cui Wonka taglia il nastro replicando le movenze tipiche del primo personaggio interpretato da Johnny Depp per Burton.

4) Nella notte vengono appesi ovunque dei manifesti pubblicitari che annunciano una strepitosa notizia: cinque bambini provenienti da qualsiasi angolo del pianeta potranno fare un tour guidato dello stabilimento di cioccolata più buona del mondo, accompagnati dal proprietario in persona, a patto di trovare un biglietto d’oro all’interno di una delle confezioni con il marchio Wonka

5) In tutto il mondo i bambini cercano di trovare il premio nascosto nella tavoletta di cioccolata

6) Charlie ha un’unica possibilità di trovare il premio perché ogni anno riceve un’unica tavoletta per il suo compleanno

7) Il primo vincitore è Augustus, un bambino tedesco. In Inghilterra vince Veruca, una ragazzina molto ricca. Charlie scarta la sua cioccolata ma non trova il premio, decide allora di dividere la tavoletta con i suoi familiari

8) Il terzo ed il quarto biglietto se lo aggiudicano due ragazzi americani: l’ambiziosa Violetta, e il “tecnologico” e saccente Mike. Il padre di Charlie è stato licenziato, il suo posto in fabbrica è preso da un robot

I quattro bambini che per primi trovano la magica targa d’oro che permetterà loro di entrare nella fabbrica del cioccolato, sono immagine di altrettanti vizi: golosità, avarizia, e superbia, questa declinata sia nell’ambizione della bambina condannata a vincere, sia nella presunzione del terribile bambino tecnologico, genio dei giochi.

9) Il nonno dà a Charlie il suo “gruzzolo segreto”: una moneta per comprare una tavoletta, ma anche questa volta il bambino non trova niente

10) Charlie  trova in terra dei soldi e va a comprare la tavoletta: finalmente trova il tanto desiderato biglietto.  Sarà il nonno ad accompagnarlo nella visita alla fabbrica

Burton mette in scena una fenomenologia della giovinezza, che diviene al contempo, e inevitabilmente, una fenomenologia del rapporto genitori/figli. Perché i figli sono sempre, in qualche modo, espressione dei genitori. Ciò può accadere per identificazione (come nel caso di Violetta e la madre) o per sudditanza ai vizi e vezzi filiali (come nel caso di Veruca e del padre), o per sottomissione impotente ed estraniata (come nel caso di Mike e il padre), o per vicinanza ottusa e ingorda (come Augustus Gloop – il cognome ha un che di onomatopeico - e la madre). Charlie ha senz’altro il rapporto più equilibrato con i genitori, anche se non è facile definirlo “normale”, nella misura in cui egli appare ripetutamente il più maturo della famiglia, tanto responsabile e saggio da essere lui stesso padre del padre (e persino padre del nonno). I famigliari di Charlie sembrano essere singolarmente dimessi e sbiaditi a fronte delle qualità del figlio – vero e proprio adulto in miniatura.

11) Charlie è davanti alla fabbrica con gli altri bambini e i loro accompagnatori. Si apre il canello e il gruppo entra titubante. Davanti al portone d’ingresso prende vita uno spettacolo fatto da pupazzi che cantano una canzone e poi prendono fuoco. All’improvviso arriva un uomo stranamente abbigliato che solo il nonno di Charlie riconosce come Willy Wonka. Il gruppo entra nella fabbrica
Nonostante sia nato dalla fantasia di Roal Dahl, il personaggio di Willly Wonka interpretato da Johnny Deep è una creatura puramente burtoniana: ambiguo, livido e giullaresco, una figura che si colloca fra il dandy, Edward Mani di Forbice, Marylin Manson in versione più sobria e Michael Jackson. Wonka è anche un personaggio misterioso: passano diversi minuti prima che lo spettatore possa vederlo chiaramente in faccia. Di Wonka all’inizio vengono mostrati solo dettagli: le mani coperte da guanti viola, il volto nascosto sotto un cappello a cilindro, gli occhi celati da grossi occhiali scuri.  All’inizio il personaggio di Wonka viene rappresentato con l’utilizzo di dettagli e campi molto stretti, che spezzettano la sua figura, quasi a voler dimostrare già a livello linguistico la frammentazione psichica del personaggio, che finalmente quando viene scoperto si rivela alienato, a tratti addirittura allucinato.  Torna anche il confronto con Edward mani di forbice. Un altro fattore che lega  i due personaggi , così lontani nella filmografia di Burton, ma così simili , è il volto bianco che rappresenta, in entrambi i casi, il simbolo di un’esistenza reclusa, lontana non solo dalla luce del sole, ma anche dal resto dell’umanità: è così per Edward  che sfugge all’isolamento del suo castello solo per un breve periodo di tempo, ed è anche il caso di Willy, che si chiude nella sua fabbrica.
Senza dimenticare che il cinema di Burton è un cinema di corpi e di personaggi, ancora prima che di storie e di mondi sui generis. Il punto di forza del cinema burtoniano è costituito da quella che si potrebbe definire poetica del corpo. All’interno dell’universo costruito dal regista californiano la corporeità riveste un ruolo fondamentale per diversi motivi. In primo luogo perché, molto spesso, nel suo cinema la genesi di un film coincide con la creazione del personaggio, che diventa il fulcro dell’intera vicenda. In secondo luogo, il corpo si pone come il vero punto di forza dei personaggi burtoniani: in esso, infatti, si esprime il conflitto che muove le loro azioni e, di conseguenza, l’intera vicenda della pellicola di cui sono protagonisti. Ma ciò che rende ancor più peculiare il lavoro di Burton sul corpo è la capacità di trasformare gli attori in modo tale da aderire completamente ai personaggi che devono interpretare, tanto che molto spesso risulta difficile distinguere nei lineamenti del personaggio quelli dell’attore che lo interpreta. Johnny Deep è il corpo per eccellenza del cinema burtoniano. La ragione di questa felice e lunga collaborazione è da ricercare soprattutto nella duttilità dell’attore e nella disponibilità ad adattarsi ai cambiamenti più radicali. Per il personaggio di Willy Wonka la coppia ha studiato a fondo le espressioni dei conduttori televisivi – che, a detta di Deep, sembrano avere una paresi che li costringe a sorridere perennemente – e l’attore è riuscito a dare vita a un personaggio in grado di attraversare la più vasta gamma di espressioni e capace di risultare, a volte anche allo stesso momento, spietato e divertente.

12) Appena entrati nella fabbrica si scopre che Willy  ha problemi a pronunciare la parola papà
Wonka ha qualche problema a pronunciare parole che indicano un legame affettivo con la famiglia.  E’ questo il primo accenno un’altra delle ossessioni burtoniane per eccellenza: la famiglia , o più precisamente, il padre. Numerosi sono i protagonisti dei suoi film ad avere problemi conflittuali con i propri genitori: dal pinguino di Batman Returns, abbandonato a causa della su deformità, a Will, il figlio di Edward Bloom in Big Fish.
Il viaggio dentro la fabbrica si rivelerà essere un test in un luogo magico fatto di dolci d’ogni sorta, invitanti e assolutamente irresistibili tanto per il palato, quanto per gli occhi. Ma proprio qui sta il fatto: Wonka sceglierà il successore a cui lasciare la sua fabbrica e tutti i suoi segreti a chi meglio saprà resistere alla visione fantasmagorica delle leccornie.

13) Prima tappa: una valle incantata dove scorre un fiume di cioccolato,  dove l’erba del prato e i frutti sugli alberi sono in realtà dolci succulenti. Il bambino tedesco e la madre voracemente mangiano e “arraffano” a più non posso. Arrivano gli Oompa Loompa
Burton usa il contenitore narrativo per scavarlo dall’interno; abile narratore sa che ogni film ha bisogno di una storia su cui fondarsi, ma questa può essere utilizzata per raccontare altro. Costruisce, dunque, una serie precisa di semplici e dirette contrapposizioni: povertà/ricchezza, onestà/vizio, cattiveria/bontà, tuttavia all’interno di esse il regista sceglie di operare in modo da approfondire il messaggio. La caratterizzazione dei personaggi è improntata all’identità: ognuno è quello che sembra e vi è piena corrispondenza fra caratteri fisici e psicologici. Il lavoro sui volti è tale da rendere alcuni delle maschere plastificate, immagine della vacuità di certi comportamenti sociali (il bambino grasso tedesco e la madre della bambina aggressiva sono incarnazione dell’orrore).
La stupenda scenografia ricorda quella ideata per Il mago di Oz, in particolare per la parte finale del film di Victor Fleming, quando Dorothy (Judy Garland) arriva nel regno del mago. Senza dimenticare che anche a livello narrativo possiamo individuare un’evidente similitudine tra la vicenda di Dorothy e quella di Charlie: entrambi i ragazzi lasciano un mondo fatto di contrarietà per compiere un viaggio in un mondo fantastico e colorato.

14) Willy racconta il suo incontro con gli Oompa Loompa

La storia di Willy Wonka, lo scopriremo verso la fine del film, è soprattutto la storia di un figlio. E rimane tale anche rispetto al suo mestiere di cioccolataio e industriale di successo. Più precisamente La fabbrica di cioccolato è la vicenda di un uomo che rimuove la sua condizione filiale. E con essa la famiglia. E con la famiglia, l’umanità tout court. Infatti il contatto umano in generale implica un rischio – sia pure il rischio del trafugamento della ricetta segreta per la preparazione di un dolce - che Wonka rifiuta di assumersi tanto che licenzia i suoi operai  e si barrica nella sua fabbrica. Egli va a scovare i suoi nuovi collaboratori  in un a remota regione fantastica. Gli Ooompa Loopma, del tutto identici l’uno all’altro nelle fattezze fisiche (è lo stesso attore “clonato” indefinitamente), costituiscono una sorta di incessante reiterazione dell’identico, al punto che compaiono quasi sempre in gruppo e compiono gesti o interpretano balletti in perfetta coordinazione (come se fossero espressione di una mente collettiva). Questi dipendenti, per giunta idolatri dei chicchi di cacao, riducono al massimo il contatto con l’alterità.

15) Gli Oompa Loompa ora lavorano nella fabbrica. Augustus esce subito di scena mentre gli Oompa Loompa gli cantano una canzoncina ironica
Burton, nella sua fedeltà al racconto ha mantenuto i numeri musicali degli Oompa Loompa, tratti dalle lunghe filastrocche presenti nel testo originale e trasformate nelle sequenze più inquietanti della pellicola. Mentre gli odiosi invitati, uno dopo l’altro, finiscono per subire una sorta di punizione per contrappasso, i minuscoli operai che lavorano per Willy Wonka, danzano e cantano la triste, ma meritata, fine delle piccole pesti. In questo senso possiamo notare come Violet sia una vincente: entra nella fabbrica per puntare al premio finale, quello “al di sopra i ogni immaginazione”. Veruca è una viziata snob, e, sguinzagliando il padre nel reperimento del biglietto, si leva un altro degli innumerevoli capricci che punteggiano la sua vita. Augustus è un abbuffone – il che non implica nessun peccato capitale, ma la stupidità di lasciarsi guidare solo dal proprio appetito. Mike, infine, è lo scienziato in erba, colui che decide di rintracciare un biglietto d’ingresso quasi soltanto per mettere alla prova ed esibire le sue capacità di computazione (come lui stesso spiega, il cioccolato non gli piace, e, una volta recuperato il prezioso tagliando, si è subito liberato della tavoletta). Tutti costoro al loro ingresso nella fabbrica hanno un secondo fine interessato ed egoistico e per questo subiscono una sorta di contrappasso dantesco, immaginifico quanto la produzione dei dolci stessi. A differenza degli altri concorrenti Charlie adora il cioccolato e venera quel tempio eretto in onore del dolce, che  è la fabbrica di Willy. Sommamente disinteressato è, per esempio, il suo acquisto della tavoletta di cioccolato “vincente”. Dopo aver sentito parlare del presunto rinvenimento in Russia del quinto e ultimo biglietto d’oro, egli compra una cioccolata per il puro piacere (in questo senso i primi due acquisti intenzionali erano falliti) e, come sappiamo, riesce a vincere.

16) Flash Back. Willy ricorda la sua infanzia e in particolare la notte di Halloween con la ricerca dei dolcetti. Figlio di un dentista si vede sottrarre dal padre tutti i dolci avuti in regalo
Nel suo romanzo Roal Dahl non fornisce alcuna indicazione riguardo alla famiglia del cioccolataio: la creazione del padre dentista deriva tutta dalla fantasia di Burton che, ha raccontato, ha introdotto questo personaggio per esorcizzare le sue paure odontoiatriche. E, anche in questo caso, così come per Edward, il genitore svolge un ruolo fondamentale nel determinare quello che sarà, poi, il Willy Wonka adulto. L’infanzia di Willy è raccontata con colori cupi e funerei, proprio l’opposto di quelli rutilanti e sgargianti sprigionati dai suoi dolci e dalla sua fabbrica. Il padre applica alla testa del bambino uno strano apparecchio odontoiatrico che gli ingabbia il volto. Tale aggeggio  segnala la condizione di costrizione vissuta dal figlio – la cui liberazione, in seguito, coinciderà con l’introduzione tra le maglie della struttura metallica di un dolce scampato alla purificazione del fuoco.

17) L’imbarcazione continua il percorso all’interno della fabbrica. In un rapido passaggio si intravede la stanza della panna montata; in quella delle invenzioni è Violetta la seconda ragazzina a dover lasciare il gruppo
Wonka è colui che produce cioccolato e che attraverso il cioccolato istituisce uno dei più potenti vincoli comunicativi, esaltando insieme gusto e immaginazione. La sua stessa fabbrica è un inno sfrenato all’immaginazione: in essa, se pure c’è una sistematicità – si tratta pur sempre di una fabbrica finalizzata alla produzione e al profitto – non c’è un sistema; tutto risponde ad una logica elastica e creativa, che non si chiude mai un una totalità granitica, incontrovertibile e inalterabile (la produzione della panna montata consiste nella fustigazione di un mucca …). D’altra parte, ciò ha un suo senso profondo: è come se il cioccolato e i dolci, nell’infinita gamma di sensazioni e di trasporti che suscitano, non possano essere prodotti altrimenti. C’è una specularità e una sintonia profonda tra i mezzi e i fini. Eppure permane il paradosso in una via di comunicazione assai intensa e coinvolgente, approntata però da un non-interlocutore, un creatore alienato che si sottrae al quel vincolo comunicativo. Si potrebbe nondimeno osservare in proposito che Wonka concentra ogni suo atto e gesto comunicativo proprio nella produzione dei dolci, costituendo essi la manifestazione suprema del suo genio e della sua personalità. Egli lascia che siano i dolci a parlare per lui, a portare l’apice del suo messaggio;  per certi versi, egli preferisce eclissarsi dietro le proprie opere.

18) Flash Back sul primo dolce mangiato da Willy e sulla scoperta della sua grande passione per i dolciumi
Cresciuto insieme al padre dentista, che lo costringe a portare un apparecchio che gli ingabbia l’intera testa e gli impedisce di mangiare un qualsiasi tipo di dolce – persino quelli raccolti durante Halloween, altra mania burtoniana -, il piccolo Willy si ribella quando riesce a mangiare per la prima volta un cioccolatino. Per il ragazzino è l’inizio di un viaggio alla scoperta del gusto: dopo il primo assaggio, Willy fa incetta di caramelle e cioccolato e prende appunti. E’ da una volontà di ribellione al padre che nasce, quindi, questo personaggio fantastico, ma inquietante, che del genitore sembra aver ereditato due cose: i denti bianchissimi e le mani strette in guanti di gomma, come quelli ereditati dai dentisti. Per Wonka i guanti, poi, in un certo senso, potrebbero essere considerati l’equivalente delle cesoie di Edward: per entrambi le mani, una delle parti del corpo umano più a contatto con le altre persone, presentano caratteristiche atipiche. E se, per il personaggio di Edward, è a causa del destino – crudele – che le mani diventano simbolo dell’impossibilità del contatto con l’altro, nel caso di Willy Wonka esse lo diventano per scelta. Il cioccolataio si è creato un regno su misura, da cui ha escluso il mondo esterno. E la fabbrica di cioccolato gli è così congeniale che i flash back durante i quali ricorda la sua infanzia, vengono introdotti da un effetto visivo che ricorda una goccia d’acqua che cade su uno specchio d’acqua – o forse è meglio dire sul fiume di cioccolato della fabbrica -, quasi come se essa fosse diventata la forma mentis del suo inventore.

19) La stanza con gli scoiattoli addestrati a sgusciare noci. Questa volta è Veruca ad abbandonare il gruppo

20) Si continua la visita in ascensore, va in qualsiasi direzione. Si vede il ponte fondente, le capre rosa, l’ospedale per le marionette ustionate, gli uffici amministrativi

21) Flash Back di Willy bambino: vuole fare il cioccolataio e per questo se ne va da casa

Willy, similmente all’Ichabod di Il mistero di Sleepy Wollow, spinge la sua rottura con il padre e la sua indipendenza, fino a renderla un’estraneità dal mondo degli affetti. L’ambiente che ha creato intorno a sé è algido, asettico, astratto – quasi l’interno di un’astronave (il riferimento a 2001:Odissea nello spazio suona anche in questo senso non casuale). Lo straniamento di Willy si avverte anche nel suo disagio conversativo, nella sua necessità di ricorrere a battute già pronte o alla ripetizione delle stesse parole (una comunicazione che ricorda quella di Hal 9000).

22) Si arriva nella stanza della televisione, questa volta ad andarsene è Marc. Si continua ma è rimasto solo Charlie,  è lui il vincitore
La storia di Willy Wonka, ripresa dal romanzo di Roald Dahl (1906-1990) Charlie and the Chocolate Factory, pubblicato nel 1964, mostra con quale capacità Burton utilizzi la favola per criticare la società dello spettacolo americana e non. La scena nella stanza delle televisioni chiarisce a proposito diverse intuizioni. Wonka ha costruito un congegno capace di trasportare il reale nella televisione, lasciandolo concreto. Vediamo la tavoletta di cioccolato materializzarsi nella tv che trasmette 2001 Odissea nello spazio sulle note di Così parlò Zarathustra, e sostituirsi al monolite, che nel film di Stanley Kubrick rappresentava il mistero, il rito, l’elemento fondatore della società dell’uomo. L’omaggio a Kubrick, già presente in altri film precedenti, in particolare in Sleepy Hollow, diviene dichiarato. La televisione, nuovo monolite nella società del simulacro, riduce e impoverisce profondamente l’immaginario umano. Il piccolo ragazzino tv sarà inglobato nell’immagine televisiva e condannato al rimpicciolimento. Un'altra citazione cinematografica  presente in questa sequenza è dedicata ad Alfred Hitchocok con l’Oompa Loompa travestivo da Norman Bates, nella celebre scena della doccia Psycho.

23) L’ascensore con a bordo Willy, Charlie e il nonno esce dalla fabbrica e vola in alto nel cielo

24) I bambini sconfitti escono dalla fabbrica

25) Charlie viene accompagnato a casa direttamente con l’ascensore

26) Willy ricorda che da quando ha trovato sulla sua chioma un capello bianco, ha deciso di lasciare la sua fabbrica ad un erede

Willy individua e osserva con orrore e sgomento un capello bianco, segno labile ma inesorabile del passare del tempo e della mortalità umana. Subito insorge in lui il bisogno e la preoccupazione di garantire una continuità e un futuro al suo mondo, alla sua impresa.

27) Wonka propone a Charlie di andare a vivere nella fabbrica, lasciando a casa la famiglia. Charlie non accetta

Nella parte finale del film, Burton si distacca dal testo di Dahl. Addirittura Burton sembra prendersi gioco del finale del libro: nel testo, infatti, quando Charlie chiede a Willy Wonka se potrà portare con sé nella fabbrica di cioccolato anche la sua famiglia, il cioccolataio risponde affermativamente. Nel suo film, Burton inganna lo spettatore perché alla fatidica domanda il suo Willy Wonka risponde: “Certo che no” stravolgendo ogni aspettativa e dimostrando il lato diabolico del personaggio.

28) Torna il narratore in voce off e racconta che per la famiglia  le cose vanno meglio: il padre ha trovato un lavoro. Ironicamente ora ripara il macchinario che ne ha causato il licenziamento

29) Willy è in crisi e anche la produzione dolciaria ne risente


30) Willy si reca dal padre in compagnia di Charlie. Il genitore lo riconosce dalla dentatura
Alienato per scelta, cinico per necessità, Willy Wonka è uno dei pochissimi personaggi burtoniani di cui riusciamo a seguire una crescita e una presa di coscienza; l’altro è Jack Skellington, il protagonista del film in stop motion Nightmare Before Christmas. Dopo aver tentato di sostituire nientemeno che Santa Claus, lo scheletrico sovrano di Halloweentown riesce ad accettare se stesso e a convivere con la sua condizione. Per Willy Wonka, il solo fatto di accorgersi di aver bisogno di un erede e di aprire la sua fabbrica a cinque bambini è già un grande passo verso il ritorno al mondo reale. Per questo poi, la sua riconciliazione con il padre – di cui ha una paura folle,  tanto da non voler tornare alla casa paterna se non in compagnia di Charlie – e la sua accettazione della dimensione famigliare costituiscono una trasformazione radicale del personaggio, cosa che avviene molto raramente nelle pellicole di Burton in cui, fino ad ora, c’era sempre stata una netta linea di separazione tra il mondo dei “normali” e quello dei “diversi”.

31) Charlie accetta la proposta di Willy e i due diventano “soci”. Wonka e la famiglia del suo piccolo erede vivono tutti insieme
 Nel finale del film si assiste alla vittoria della morale borghese della famiglia, che può far pensare a un happy ending. Il mondo pieno di umanità dei parenti di Charlie sarà inglobato nella fabbrica, restituendo a questo luogo quell’umanità di cui sembrava inizialmente privo: il cerchio si chiude e tutto torna all’ordine. Tuttavia il finale non cancella i dubbi e le perplessità che il film ha fatto nascere: siamo dunque lontani dal film natalizio come il precedente Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato di Mel Stuart del 1971. Nel cinema di Burton le differenze  non vengono mai stemperate i annullate. Sembrerebbe trattarsi allora di una conciliazione tra le due dimensioni, e conseguentemente anche tra Willy Wonka e la realtà (non l’istituzione della famiglia).  Non c’è nulla di spiazzante o inedito in tutto ciò, perché in Burton la diversità non è mai stata mera contrapposizione. Ma se di pacificazione si tratta, essa rimane sui generis. Innanzitutto a mediare i rapporti con gli altri rimangono sempre i guanti di plastica. In secondo luogo il contrasto tra il pallore del suo volto e la nerezza dei suoi capelli continua in un certo senso a escluderlo dal consorzio dei vivi, a renderlo un alieno. Inoltre, la presenza femminile  gli rimane singolarmente ignota per tutto il film (nei suoi ricordi infantili non c’è traccia di una madre e quando deve pensare a un erede, l’idea di generarlo con una dona non lo sfiora neppure). Infine, è degno di nota il fatto che, nonostante il riavvicinamento al padre, quest’ultimo non vada a risiedere nella fabbrica. E allora si insinua il dubbio: il padre-dentista potrà mai davvero capire?

ROAL DAHL

Famoso per le centinaia di racconti che hanno fatto la felicità di diverse generazioni di piccoli lettori e per i suoi libri permeati da un certo gusto sottilmente sadico e da un grottesco sense of humor, Roald Dahl (1916/1990) è un autore che, per fortuna, sfugge a qualsiasi definizione.
Scrittore per bambini? Troppo semplicistico nonostante milioni di bambini (e non solo) in tutto il mondo abbiano letto i suoi libri. Umorista? Come si fa definire tale uno scrittore capace di un cinismo che lascia sconcertati? Ma la fama raggiunta , il successo di pubblico e i riconoscimenti della critica lo pongono di diritto tra grandi narratori quali Stevenson, Collodi e Saint-Exupéry.
Dahl nacque in Galles da genitori di origine norvegese. Dopo un’infanzia e un’adolescenza segnate dalla morte del padre e della sorellina maggiore, consumato dalla severità e dalla violenza dei sistemi educativi inglesi preferì non iscriversi all’università decidendo di mettersi subito a lavorare.
Sono anni che più tardi ricorderà, senza la minima nostalgia, nell'autobiografico Boy: “Ero assolutamente sconvolto dal fatto che agli insegnanti e ai ragazzi più grandi fosse permesso, alla lettera, ferire gli altri studenti, e qualche volta in maniera veramente seria. Non riuscivo a crederci. Non sono mai riuscito a crederci…”.
La Seconda guerra mondiale lo colse mentre era impiegato a Londra presso una compagnia petrolifera. Partecipò al conflitto come pilota della Royal Air Force e durante una missione in Libia il suo aereo venne abbattuto e lui ferito gravemente alla testa. Durante il ricovero ospedaliero conobbe C.S. Forester — autore di una serie di libri per ragazzi intitolata Captain Hornblower, personaggio che si ispira a Horace Nelson — e grazie al suo incoraggiamento scrisse A Piece of Cake, che venne pubblicato sul Saturday Evening Post. Nel 1943 venne trasferito per ragioni di servizio in Nord America dove continuò a lavorare per l’esercito fino al 1945. Dopo il congedo si trasferì negli Stati Uniti iniziando la sua attività di scrittore a tempo pieno.
Nel 1953 sposò l’apprezzatissima attrice Patricia Neal da cui ebbe cinque figli ma la sua vita familiare, ancora una volta, venne sconvolta da una serie di terribili drammi: la figlia di sette anni morì di morbillo, la moglie, a causa di ripetute emorragie cerebrali, mentre era incinta dell’ultimo figlio che nascerà idrocefalo, finì su una sedia a rotelle.
Tornato in Gran Bretagna Dahl acquisì una popolarità sempre più ampia come scrittore per bambini e, negli anni ’80, grazie anche all’incoraggiamento della seconda moglie Felicity scrisse quelli che possono essere considerati i suoi capolavori.
Negli ultimi anni della sua vita fu duramente attaccato dalla stampa per le sue posizioni antisemite, reazionarie e misogine. Descritto ora come diseducatore per i contenuti dei suoi libri, ora come uno dei migliori scrittori per l’infanzia, eroe di guerra, padre amorevole e coraggioso (non si dette pace fino a quando non riuscì a inventare una valvola speciale per curare l’idrocefalia di suo figlio), Dahl resta comunque un personaggio estremamente controverso, segnato da una sorte che non fu certo generosa e che ha dato vita a decine di aneddoti sulla sua persona e sulle sue ancora più strane abitudini. Si racconta che scrivesse in una stanza in fondo al suo giardino, dove non era mai possibile fare la benché minima pulizia, avvolto in un lurido sacco a pelo e sprofondato in una poltrona appartenuta a sua madre; gli si riconosceva una tirchieria impressionante, pare avesse l’abitudine di acquistare libri, leggerseli durante il giorno e poi, la sera, tornare in libreria e restituirli facendosi ridare i soli accampando una scusa qualsiasi. Però, al di là degli aneddoti ciò che resta di lui sono i libri dove ha descritto, con uno stile lieve ma caustico, le tragedie e i dolori del mondo.
Morì di leucemia nel 1990.

La produzione letteraria
Le storie di Dahl sono caratterizzate da finali inaspettati e strani, da atmosfere minacciose, permeate da un’infallibile legge del contrappasso.
Lo Zio Oswald, grande seduttore, finisce sedotto in maniera drammatica, e i signori Porcimboli (Gli Sporcelli) che catturano gli uccelli con la colla finiscono incollati a loro volta. In un delizioso racconto la prova di un omicidio, un cosciotto d’agnello congelato, viene mangiata dai poliziotti che si affannano nella vana ricerca dell’arma del delitto; pare che l’idea gli venne in mente mentre pranzava con Jan Fleming, il creatore di James Bond, per il quale curò la sceneggiatura della trasposizione cinematografica di Chitty Chitty, Bang Bang e di Agente 007 Si vive solo due volte.
Quello che probabilmente attira ancora oggi i bambini è la grande schiettezza dello scrittore inglese nel descrivere la realtà, la sofferenza della vita, ma anche la speranza e il coraggio necessari per affrontarla. Dalh si è sempre schierato contro gli atteggiamenti ipocriti, tesi a proteggere e a edulcorare la visione del mondo rifiutando il falso buonismo e guadagnandosi, in questo modo, il rispetto e la stima dei bambini.
La produzione letteraria di Roald Dahl è veramente sconfinata. Il suo primo libro dedicato a un pubblico infantile è The Gremlins — da non confondere con gli omonimi personaggi del film di Joe Dante — una storia a fumetti i cui protagonisti sono delle creaturine antropomorfizzate che rappresentano i rischi affrontati dai piloti della RAF. I Gremlins, che hanno molto più di una semplice somiglianza con Topolino, sono esseri forse un po’ troppo fragili e delicati delle loro più recenti incarnazioni cinematografiche e anche per l’idea che ne aveva lo stesso autore.
La Disney pubblicò la prima edizione del fumetto — una tiratura di sole 5.000 copie — con l’idea di trarne un film a cartoni animati, ma il progetto non fu realizzato. Il libro non fu più ristampato, tanto che le poche copie ancora oggi in circolazione hanno raggiunto quotazioni estremamente elevate tra i collezionisti.
La sua raccolta di racconti Someone like you (1954) riscosse un successo mondiale così come il suo seguito, Kiss Kiss (1959). Dai due libri è stata tratta in America un serie televisiva e le storie di Dahl sono state presentate tra il 1955 e il 1961 nel programma Alfred Hitchcock Presenta.
Nel 1961 Dahl pubblicò James e la pesca gigante a cui seguì il popolarissimo Charlie e la fabbrica di cioccolato.
Con Streghe (The Witches) vinse il Whitbread Children’s Book Award, i giudici motivarono l’attribuzione del premio definendo il libro “deliziosamente disgustoso”.
Fu insignito di numerosissimi premi tra cui tre Edgar Allan Poe Award e ottenne il suo primo premio letterario con GGG (Grande Gigante Gentile), una storia su un gigante che rapisce i bambini per portarli a Gigantolandia dove i bambini li mangiano, ma, dimenticavo, il GGG mangia solo cetrionzoli e non popolli (esseri umani) come i suoi colleghi.
Oltre alla letteratura per l’infanzia Dahl scrisse anche romanzi per adulti e due libri autobiografici: Boy: racconti dell’infanzia e In solitario con i cui proventi fondò la Roald Dahl Children’s Gallery a Aylesbury, non lontano da dove era vissuto.



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