Un film di Vittorio De Sica
Soggetto: dal romanzo omonimo di Luigi Bartolini
Sceneggiatura: Cesare Zavattini, Oreste Biancoli, Suso Cecchi D’Amico, V. De Sica, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Gerardo Guerrieri
Fotografia: Carlo Montuori
Scenografia: Antonio Traverso
Montaggio: Eraldo Da Roma
Musica: Alessandro Cicognini
Interpreti: Lamberto Maggiorani (Antonio Ricci); Enzo Staiola (Bruno), Lianella Carell (Maria), Vittorio Antonucci (il ladro), Elena Altieri (la signora benefattrice), Ida Bracci Dorati (la santona)
Produzione: Vittorio De Sica per PDS
Origine: Italia
Anno di edizione: 1948
Durata: 84'
Sinossi
Un operaio disoccupato trova un posto d’attacchino municipale, ma ci vuole la bicicletta. L’operaio ne possiede una ma è al monte di pietà. Niente paura: la moglie impegna le lenzuola e riscatta la bicicletta. L’attacchino incomincia il suo lavoro, ma un ragazzaccio gli ruba questa preziosa bicicletta. Tenta d’inseguirlo ma è inutile. Denuncia il furto al Commissariato, ma non gli danno nessuna speranza. Nessuno prende interesse al suo caso all’infuori di un amico spazzino. L’attacchino si aggira tra i rivenditori di biciclette: non trova la sua, ma intravede il ladro e si dà ad inseguirlo, accompagnato dal figliolo, un bimbo di circa otto anni. L’inseguimento gli fa attraversare tutta Roma in un giorno di domenica: vediamo così la “messa del povero”, una trattoria, una casa equivoca, infine il domicilio del ladruncolo. L’attacchino trova dovunque indifferenza od ostilità. Infine, esasperato, pensa di rivalersi, rubando una bicicletta incustodita, ma lo fa così goffamente che viene subito preso e solo i pianti del bambino lo salvano dall’arresto. Padre e figlio tornano a casa, esausti, disperati, piangenti.
Note sul film
Considerato dal critico francese André Bazin "espressione più pura del Neorealismo" e salutato dalla critica internazionale come un autentico capolavoro, il film rappresenta, insieme a "Umberto D", il punto più alto della collaborazione fra Vittorio De Sica e lo sceneggiatore Cesare Zavattini. Partendo da un romanzo di Luigi Bartolini, gli autori ne conservarono solo l’idea guida, quella del furto di una bicicletta e dell’inutile ricerca della stessa lungo le strade di Roma. Già la scelta di modificare la figura del protagonista, che da frivolo pittore si trasforma nel proletario Antonio Ricci, per il quale la bicicletta rappresenta l'unico mezzo per sfuggire alla disoccupazione, è emblematica della scelta realistica e politica del regista che, fedele alla "poetica del pedinamento" cara a Zavattini, sceglie uno stile oggettivo, in cui prevalgono campi medi e lunghi, attori non professonisti e una descrizione amara e polemica della reltà, evidenziando i forti conflitti sociali e l'estrema povertà che caratterizzavano la società italiana dell'epoca. Uscito nelle sale nove mesi dopo la schicciante vittoria alle elezioni politiche della Democrazia Cristiana, il film sarà osteggiato duramente dal partito di governo, che nella figura dell'allora sottosegratario allo Spettacolo Giulio Andreotti identificherà in "Ladri di biciclette" uno degli sgradevoli film che intendono mostrare al mondo i "panni sporchi" italiani. Critiche, d'altra parte, non mancheranno neppure da parte comunista, che accuserà il film di ambiguità politica per non aver messo sufficientemente in risalto il senso di solidarietà della classe operaia. Il clima politico dell'epoca finì per mettere in ombra il notevole virtuosismo registico di De Sica e la costruzione, tutt'altro che semplice e lineare, della sceneggiatura. Pur rimanendo fedele all'intento realistico, il regista divide il film in una prima parte, più sintetica e caratterizzata da ellissi, e una seconda quasi in tempo reale; sceglie, negli interni girati in studio, scenografie espressioniste ispirate a Metropolis, riempie il suo film di simbologie e allegorie (a partire dalla stessa bicicletta, emblema più che evidente di mobilità e riscatto sociale) e utilizza, nell'affascinante scena finale, un montaggio da giallo classico hollywoodiano. E forse proprio per questa sua capacità di andare oltre le contingenze storiche del Neorealismo, "Ladri di biciclette" è stato più amato all'estero che in Italia, diventando un cult movie per registi americani come Woody Allen o Robert Altman.
Curiosità: Il film ha vinto il premio Oscar come miglior film straniero nel 1949. Ha ottenuto inoltre sei Nastri d'argento, il Premio speciale della giuria al Festival di Locarno e quello della British Film Academy nel 1950.
Nonostante l'evidente boicottaggio (Il Centro Cattolico lo definì "pericoloso") "Ladri di biciclette" è stato uno dei rari successi commerciali del Neorealismo: è infatti l'undicesimo incasso italiano della stagione '48-'49, mentre "Germania anno zero" è al 46° posto e "La terra trema" si trova al 52°.
Il tempo della narrazione
La vicenda di Ladri di biciclette si svolge nell’arco di tre giorni, da venerdì a domenica. Venerdì Antonio trova lavoro e riscatta la bicicletta; Sabato va al lavoro e gli viene rubata la bicicletta; Domencia cerca la bicicletta. Il film ha un’organizzazione estremamente compatta: un gruppo ristretto di personaggi (Antonio, Maria e Bruno) svolge un’unica attività (riprendere possesso della bicicletta, prima al banco dei pegni, poi per le vie di Roma), in un tempo limitato. In fondo c’è un tentativo di rispettare, seppur in maniera non letterale, le regole aristoteliche. Si è spesso scritto che Ladri di biciclette, partendo da un fatto di vita quotidiana, raggiunge il livello di una tragedia. Ebbene, il film di De Sica ha la struttura chiusa, organizzata delle unità di tempo, luogo e azione, propria del cinema classico. Non solo la storia di Ladri di biciclette si esaurisce in pochi giorni, ma il film è costruito in modo da creare, progressivamente, una sempre più forte sensazione di continuità, fino a far quasi coincidere il tempo della storia e il tempo del discorso. Infatti, le giornate di venerdì e sabato occupano 30’ di proiezione, mentre la domenica corrisponde ad un’ora. Il che significa che la giornata conclusiva è descritta in maniera molto più distesa rispetto allae prime due. Non a caso, la prima parte del film presenta una maggiore quantità di ellissi rispetto alla seconda. Nelle prime 18 sequenze, infatti, il passaggio da una sequenza all’altra è ottenuto prevalentemente attraverso una dissolvenza; e la dissolvenza soprattutto nella “grammatica” cinematografica degli anni ‘30/’40 – indica, per convenzione, un salto temporale. Nella seconda parte del film domina invece lo stacco, ovvero una figura di montaggio che non marca uno iato cronologico.
La prima parte di Ladri di biciclette, dunque, tende fortemente alla sintesi. Si pensi ad esempio alla descrizione del primo – e ultimo – giorno di lavoro di Antonio (seq. 8/17). Il tempo della storia corrisponde a circa 12 ore (da quando Antonio e Bruno, all’alba, si prepparano per uscire, sino a quando i due, al tramonto, tornano a casa a piedi), ma il tempo del discorso è di soli 10 minuti. In questo blocco, composto da ben 10 sequenze, soltanto tre – Antonio e Bruno che escono di casa, il furto, e il commissariato – presentano un’azione articolata o un fitto dialogo; tutte le altre sono micro-sequenze, legate tra loro da dissolvenze incrociate, che servono a far procedere rapidamente la narrazione.
Le due dissolvenze in chiusura coincidono, rispettivamente, con la notte del venerdì e la notte del sabato. La dissolenza in nero, tradizionalmente, segnala un’interruzione più lunga rispetto alla dissolvenza incrociata. Al di là del suo sifìgnificato convenzionale, qui la dissolvenza in chiusura ha anche una valenza diegetica: lo schermo buio rappresenta la notte. Non a caso, le sequenze 8 e 19, entrambe ambientate poco dopo l’alba, iniziano con una dissolvenza in apertura, che dà l’idea del sorgere del sole. De Sica, insomma, oltre ad attenersi scrupolosamente alle regole del montaggio narrativo, colloca la coppia dissolvenza in chiusura/dissolvenza in apertura in due momenti del film che, in qualche modo, fanno sembrare naturale questa soluzione di montaggio.
Nella secondda parte di Ladri di biciclette – lo abbiamo detto – nei passaggi da una sequenza all’altra prevale lo stacco, prprio in virtù della maggiore omogeneità temporale che carraterizza questa porzione dell’opera. Molte scene, infatti, si susseguono senza nessuna cesura cronologica o con un’ellissi molto breve. L’esempio più chiaro è rappresentato dalla sequenza 30, 31 e 32. Antonio e Bruno vanno dalla Santona, escono, incontrano il ladro, Antonio lo insegue nella casa di tolleranza, esce con lui dal postribolo, tenta di farlo arrestare e poi si allontana sconfitto, insieme al figlio. Tutta questa lunga e complessa azione dura 15 minuti; e si tratta di un quarto d’ora reale, in cui nel tessuto del racconto non c’è neppure una pausa: il tempo della storia e quello del discorso coincidono perfettamente.
Dunque, in Ladri di biciclette è reperibile una frattura netta tra un prima parte sintetica e una seconda parte analitica. Nella mezz’ora iniziale la struttura cronologica del film presenta i segni evidenti della costruzione al tavolo di montaggio, mentre nei 60 minuti successivi il tempo artificiale della rappresentazione coincide – quasi – con il tempo reale dela proiezione. La seconda parte del film è indubbiamente quella più significativa e complessa, in quanto è interamente costruita su un lungo climax che cresce progressivamente e che conduce all’ultima, cocente, umiliazione di Antonio. E il fatto che questa porzione del testo sia giocata all’insegna della durata, del naturale dispiegarsi del reale di fronte alla macchina da presa, non è certo casuale. Il rispetto della durata della realtà è l’architrave su cui si regge l’intero impianto realista di Ladri di biciclette. D’altra parte, André Bazin aveva individuato proprio nella nozione di durata una delle componenti centrali del cinema di De Sica, indicando in Umberto D, più ancora che in Ladri di biciclette, il film in cui questa poetica della continuità temporale si afferma nelle sua forma più compiuta.
Soggetto: dal romanzo omonimo di Luigi Bartolini
Sceneggiatura: Cesare Zavattini, Oreste Biancoli, Suso Cecchi D’Amico, V. De Sica, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Gerardo Guerrieri
Fotografia: Carlo Montuori
Scenografia: Antonio Traverso
Montaggio: Eraldo Da Roma
Musica: Alessandro Cicognini
Interpreti: Lamberto Maggiorani (Antonio Ricci); Enzo Staiola (Bruno), Lianella Carell (Maria), Vittorio Antonucci (il ladro), Elena Altieri (la signora benefattrice), Ida Bracci Dorati (la santona)
Produzione: Vittorio De Sica per PDS
Origine: Italia
Anno di edizione: 1948
Durata: 84'
Sinossi
Un operaio disoccupato trova un posto d’attacchino municipale, ma ci vuole la bicicletta. L’operaio ne possiede una ma è al monte di pietà. Niente paura: la moglie impegna le lenzuola e riscatta la bicicletta. L’attacchino incomincia il suo lavoro, ma un ragazzaccio gli ruba questa preziosa bicicletta. Tenta d’inseguirlo ma è inutile. Denuncia il furto al Commissariato, ma non gli danno nessuna speranza. Nessuno prende interesse al suo caso all’infuori di un amico spazzino. L’attacchino si aggira tra i rivenditori di biciclette: non trova la sua, ma intravede il ladro e si dà ad inseguirlo, accompagnato dal figliolo, un bimbo di circa otto anni. L’inseguimento gli fa attraversare tutta Roma in un giorno di domenica: vediamo così la “messa del povero”, una trattoria, una casa equivoca, infine il domicilio del ladruncolo. L’attacchino trova dovunque indifferenza od ostilità. Infine, esasperato, pensa di rivalersi, rubando una bicicletta incustodita, ma lo fa così goffamente che viene subito preso e solo i pianti del bambino lo salvano dall’arresto. Padre e figlio tornano a casa, esausti, disperati, piangenti.
Note sul film
Considerato dal critico francese André Bazin "espressione più pura del Neorealismo" e salutato dalla critica internazionale come un autentico capolavoro, il film rappresenta, insieme a "Umberto D", il punto più alto della collaborazione fra Vittorio De Sica e lo sceneggiatore Cesare Zavattini. Partendo da un romanzo di Luigi Bartolini, gli autori ne conservarono solo l’idea guida, quella del furto di una bicicletta e dell’inutile ricerca della stessa lungo le strade di Roma. Già la scelta di modificare la figura del protagonista, che da frivolo pittore si trasforma nel proletario Antonio Ricci, per il quale la bicicletta rappresenta l'unico mezzo per sfuggire alla disoccupazione, è emblematica della scelta realistica e politica del regista che, fedele alla "poetica del pedinamento" cara a Zavattini, sceglie uno stile oggettivo, in cui prevalgono campi medi e lunghi, attori non professonisti e una descrizione amara e polemica della reltà, evidenziando i forti conflitti sociali e l'estrema povertà che caratterizzavano la società italiana dell'epoca. Uscito nelle sale nove mesi dopo la schicciante vittoria alle elezioni politiche della Democrazia Cristiana, il film sarà osteggiato duramente dal partito di governo, che nella figura dell'allora sottosegratario allo Spettacolo Giulio Andreotti identificherà in "Ladri di biciclette" uno degli sgradevoli film che intendono mostrare al mondo i "panni sporchi" italiani. Critiche, d'altra parte, non mancheranno neppure da parte comunista, che accuserà il film di ambiguità politica per non aver messo sufficientemente in risalto il senso di solidarietà della classe operaia. Il clima politico dell'epoca finì per mettere in ombra il notevole virtuosismo registico di De Sica e la costruzione, tutt'altro che semplice e lineare, della sceneggiatura. Pur rimanendo fedele all'intento realistico, il regista divide il film in una prima parte, più sintetica e caratterizzata da ellissi, e una seconda quasi in tempo reale; sceglie, negli interni girati in studio, scenografie espressioniste ispirate a Metropolis, riempie il suo film di simbologie e allegorie (a partire dalla stessa bicicletta, emblema più che evidente di mobilità e riscatto sociale) e utilizza, nell'affascinante scena finale, un montaggio da giallo classico hollywoodiano. E forse proprio per questa sua capacità di andare oltre le contingenze storiche del Neorealismo, "Ladri di biciclette" è stato più amato all'estero che in Italia, diventando un cult movie per registi americani come Woody Allen o Robert Altman.
Curiosità: Il film ha vinto il premio Oscar come miglior film straniero nel 1949. Ha ottenuto inoltre sei Nastri d'argento, il Premio speciale della giuria al Festival di Locarno e quello della British Film Academy nel 1950.
Nonostante l'evidente boicottaggio (Il Centro Cattolico lo definì "pericoloso") "Ladri di biciclette" è stato uno dei rari successi commerciali del Neorealismo: è infatti l'undicesimo incasso italiano della stagione '48-'49, mentre "Germania anno zero" è al 46° posto e "La terra trema" si trova al 52°.
Il tempo della narrazione
La vicenda di Ladri di biciclette si svolge nell’arco di tre giorni, da venerdì a domenica. Venerdì Antonio trova lavoro e riscatta la bicicletta; Sabato va al lavoro e gli viene rubata la bicicletta; Domencia cerca la bicicletta. Il film ha un’organizzazione estremamente compatta: un gruppo ristretto di personaggi (Antonio, Maria e Bruno) svolge un’unica attività (riprendere possesso della bicicletta, prima al banco dei pegni, poi per le vie di Roma), in un tempo limitato. In fondo c’è un tentativo di rispettare, seppur in maniera non letterale, le regole aristoteliche. Si è spesso scritto che Ladri di biciclette, partendo da un fatto di vita quotidiana, raggiunge il livello di una tragedia. Ebbene, il film di De Sica ha la struttura chiusa, organizzata delle unità di tempo, luogo e azione, propria del cinema classico. Non solo la storia di Ladri di biciclette si esaurisce in pochi giorni, ma il film è costruito in modo da creare, progressivamente, una sempre più forte sensazione di continuità, fino a far quasi coincidere il tempo della storia e il tempo del discorso. Infatti, le giornate di venerdì e sabato occupano 30’ di proiezione, mentre la domenica corrisponde ad un’ora. Il che significa che la giornata conclusiva è descritta in maniera molto più distesa rispetto allae prime due. Non a caso, la prima parte del film presenta una maggiore quantità di ellissi rispetto alla seconda. Nelle prime 18 sequenze, infatti, il passaggio da una sequenza all’altra è ottenuto prevalentemente attraverso una dissolvenza; e la dissolvenza soprattutto nella “grammatica” cinematografica degli anni ‘30/’40 – indica, per convenzione, un salto temporale. Nella seconda parte del film domina invece lo stacco, ovvero una figura di montaggio che non marca uno iato cronologico.
La prima parte di Ladri di biciclette, dunque, tende fortemente alla sintesi. Si pensi ad esempio alla descrizione del primo – e ultimo – giorno di lavoro di Antonio (seq. 8/17). Il tempo della storia corrisponde a circa 12 ore (da quando Antonio e Bruno, all’alba, si prepparano per uscire, sino a quando i due, al tramonto, tornano a casa a piedi), ma il tempo del discorso è di soli 10 minuti. In questo blocco, composto da ben 10 sequenze, soltanto tre – Antonio e Bruno che escono di casa, il furto, e il commissariato – presentano un’azione articolata o un fitto dialogo; tutte le altre sono micro-sequenze, legate tra loro da dissolvenze incrociate, che servono a far procedere rapidamente la narrazione.
Le due dissolvenze in chiusura coincidono, rispettivamente, con la notte del venerdì e la notte del sabato. La dissolenza in nero, tradizionalmente, segnala un’interruzione più lunga rispetto alla dissolvenza incrociata. Al di là del suo sifìgnificato convenzionale, qui la dissolvenza in chiusura ha anche una valenza diegetica: lo schermo buio rappresenta la notte. Non a caso, le sequenze 8 e 19, entrambe ambientate poco dopo l’alba, iniziano con una dissolvenza in apertura, che dà l’idea del sorgere del sole. De Sica, insomma, oltre ad attenersi scrupolosamente alle regole del montaggio narrativo, colloca la coppia dissolvenza in chiusura/dissolvenza in apertura in due momenti del film che, in qualche modo, fanno sembrare naturale questa soluzione di montaggio.
Nella secondda parte di Ladri di biciclette – lo abbiamo detto – nei passaggi da una sequenza all’altra prevale lo stacco, prprio in virtù della maggiore omogeneità temporale che carraterizza questa porzione dell’opera. Molte scene, infatti, si susseguono senza nessuna cesura cronologica o con un’ellissi molto breve. L’esempio più chiaro è rappresentato dalla sequenza 30, 31 e 32. Antonio e Bruno vanno dalla Santona, escono, incontrano il ladro, Antonio lo insegue nella casa di tolleranza, esce con lui dal postribolo, tenta di farlo arrestare e poi si allontana sconfitto, insieme al figlio. Tutta questa lunga e complessa azione dura 15 minuti; e si tratta di un quarto d’ora reale, in cui nel tessuto del racconto non c’è neppure una pausa: il tempo della storia e quello del discorso coincidono perfettamente.
Dunque, in Ladri di biciclette è reperibile una frattura netta tra un prima parte sintetica e una seconda parte analitica. Nella mezz’ora iniziale la struttura cronologica del film presenta i segni evidenti della costruzione al tavolo di montaggio, mentre nei 60 minuti successivi il tempo artificiale della rappresentazione coincide – quasi – con il tempo reale dela proiezione. La seconda parte del film è indubbiamente quella più significativa e complessa, in quanto è interamente costruita su un lungo climax che cresce progressivamente e che conduce all’ultima, cocente, umiliazione di Antonio. E il fatto che questa porzione del testo sia giocata all’insegna della durata, del naturale dispiegarsi del reale di fronte alla macchina da presa, non è certo casuale. Il rispetto della durata della realtà è l’architrave su cui si regge l’intero impianto realista di Ladri di biciclette. D’altra parte, André Bazin aveva individuato proprio nella nozione di durata una delle componenti centrali del cinema di De Sica, indicando in Umberto D, più ancora che in Ladri di biciclette, il film in cui questa poetica della continuità temporale si afferma nelle sua forma più compiuta.
ANALISI DEL FILM
Primo giorno: Venerdì
1) Quartiere popolare alla periferia di Roma. Un gruppo di disoccupati si accalca attorno ad un funzionario dell’ufficio di collocamento. Antonio Ricci viene assunto come attacchino municipale, lavoro per il quale è necessaria una bicicletta
L’intera storia di Ladri di biciclette è presentata come una tranche de vie, come un frammento di realtà isolato dalla macchina da presa. Infatti il film si apre su dei disoccupati che circondano l’impiegato dell’ufficio di collocamento, tra le tante storie possibili De Sica sceglie di raccontare quella di Antonio Ricci. Allo stesso tempo gli altri disoccupati che lo circondano, che vivono delle storie simili alla sua, danno il senso del valore collettivo della vicenda personale del protagonista. La scena si svolge sulla scalinata d’ingresso di un caseggiato popolare: il funzionario è in cima ai gradini, mentre sotto di lui si trovano tutti gli altri. Viene chiamato Antonio, il quale si fa largo fra la gente e giunge di fronte al dipendente dell’ufficio di collocamento. La conversazione tra i due è costruita sul continuo gioco di campo/controcampo, in cui Antonio è inquadrato dall’altro, mentre il funzionario è inquadrato dal basso. La posizione della macchina da presa esprime molto chiaramente la debolezza psicologica di Antonio, fiaccato da due anni di disoccupazione, il quale si presenta umile e remissivo davanti all’uomo che può cambiargli la vita. Inoltre, la valenza simbolica della scala – metafora tradizionale dell’ascesa sociale – è chiarissima: salire i gradini (per andarea a prendere i documenti dell’assunzione dalle mani del funzionario) significa migliorare la propria condizione economica. Il campo medio, con il funzionario in alto, Antonio – che ha ottenuto il posto di lavoro - sotto di lui e, ancora più in basso, tutti gli altri disoccupati, veicola in maniera esplicita questo messaggio. La scenografia in cui si muovono questi personaggi è fortemente stilizzata: la scala è tutta bianca, eccezion fatta per alcune linee nere, orizzontali e verticali. La natura del décor e la disposizione delle figure umane in base a un criterio gerarchico fanno di questa inquadratura una vera e propria allegoria del mondo del lavoro. Lo spazio astratto in cui sono collocati i personaggi rappresenta la razionalità ferra dell’economia capitalista, incentrata sullo scambio tra denaro e manodopera.
Dissolvenza
2) Antonio va a cercare la moglie, Maria, che sta prendendo l’acqua alla fontana
Primo giorno: Venerdì
1) Quartiere popolare alla periferia di Roma. Un gruppo di disoccupati si accalca attorno ad un funzionario dell’ufficio di collocamento. Antonio Ricci viene assunto come attacchino municipale, lavoro per il quale è necessaria una bicicletta
L’intera storia di Ladri di biciclette è presentata come una tranche de vie, come un frammento di realtà isolato dalla macchina da presa. Infatti il film si apre su dei disoccupati che circondano l’impiegato dell’ufficio di collocamento, tra le tante storie possibili De Sica sceglie di raccontare quella di Antonio Ricci. Allo stesso tempo gli altri disoccupati che lo circondano, che vivono delle storie simili alla sua, danno il senso del valore collettivo della vicenda personale del protagonista. La scena si svolge sulla scalinata d’ingresso di un caseggiato popolare: il funzionario è in cima ai gradini, mentre sotto di lui si trovano tutti gli altri. Viene chiamato Antonio, il quale si fa largo fra la gente e giunge di fronte al dipendente dell’ufficio di collocamento. La conversazione tra i due è costruita sul continuo gioco di campo/controcampo, in cui Antonio è inquadrato dall’altro, mentre il funzionario è inquadrato dal basso. La posizione della macchina da presa esprime molto chiaramente la debolezza psicologica di Antonio, fiaccato da due anni di disoccupazione, il quale si presenta umile e remissivo davanti all’uomo che può cambiargli la vita. Inoltre, la valenza simbolica della scala – metafora tradizionale dell’ascesa sociale – è chiarissima: salire i gradini (per andarea a prendere i documenti dell’assunzione dalle mani del funzionario) significa migliorare la propria condizione economica. Il campo medio, con il funzionario in alto, Antonio – che ha ottenuto il posto di lavoro - sotto di lui e, ancora più in basso, tutti gli altri disoccupati, veicola in maniera esplicita questo messaggio. La scenografia in cui si muovono questi personaggi è fortemente stilizzata: la scala è tutta bianca, eccezion fatta per alcune linee nere, orizzontali e verticali. La natura del décor e la disposizione delle figure umane in base a un criterio gerarchico fanno di questa inquadratura una vera e propria allegoria del mondo del lavoro. Lo spazio astratto in cui sono collocati i personaggi rappresenta la razionalità ferra dell’economia capitalista, incentrata sullo scambio tra denaro e manodopera.
Dissolvenza
2) Antonio va a cercare la moglie, Maria, che sta prendendo l’acqua alla fontana
L’uomo comunica a Maria che ha trovato lavoro, ma che non può prenderlo, perché la sua bicicletta si trova al monte di pietà. Quella di Ladri di biciclette è anche la storia di una famiglia, ma si tratta di una famiglia i cui membri interagiscono tra loro in base a meccanismi che non rispecchiano la cultura patriarcale dell’Italia degli anni ’40. La moglie di Antonio viene presentata da subito come una donna forte sia sul piano fisico, sia su quello psicologico: sorregge i due secchi d’acqua senza chiedere aiuto al marito, così come affronta con calma la situazione drammatica . Antonio è disoccupato da due anni e i Ricci non possono permettersi di perdere questa occasione.
3) Il misero appartamento dei Ricci, Maria, con un moto d’ira, raduna tutte le lenzuola della casa
Maria parla poco, ma è lei a risolvere il problema. L’ira di Maria esplode: raduna la biancheria in cucina, per lavarla prima di recarsi al monte di pietà e prende rabbiosamente a calci il mastello. L’immagine di Maria che afferra con violenza Antonio per un braccio, lo fa alzare dal letto e strappa via le coperte, mentre l’uomo allibito la osserva, quasi spaventato, dà perfetttamente il senso di quali siano i rapporti di forza all’interno della coppia. E forse non è un caso che Maria scelga di rinunciare al corredo da sposa: impegnarlo è un po’ come cancellare le tracce del matrimonio.
Dissolvenza
4) Il banco dei pegni. Antonio e Maria impegnano le lenzuola e subito dopo riscattano la bicicletta
Ladri di biclette è costruito anche su piccoli dettagli che lo endono grande, come nella soggettiva di Ricci che guarda stipare le sue lenzuola insieme a quelle di tantissime altre persone. Con questa scelta, De Sica riesce a raccontare con una sola inquadratura la miseria che circonda l’Italia del dopoguerra.
Dissolvenza
5) Antonio si reca all’ufficio affissioni. Il capoufficio gli dice di andare in magazzino a ritirare l’uniforme e di presentarsi la mattina seguente
I protagonisti del film sono attori non professionisti. Antonio, Lamberto Maggiorani era un operaio della Breda; Maria la moglie, era la giornalista Lianella Carrell; Bruno, Enzo Staiola, era un bambino incontrato da De Sica per caso mentre curiosava sul set: le riprese erano iniziate senza che fosse stato trovato l’interprete per la parte di Bruno. Va ricordato che la voce di Antonio non è quella di Lamberto Maggiorani, perchè in seguito venne doppiato.
6) Maria attende il marito fuori dall’ufficio comunale. Antonio esce: sono entrambi molto felici. Maria chiede ad Antonio di accompagnarla in bicicletta a fare una commissione
La storia di Ladri di biciclette è la storia di un tentativo mancato di ascesa sociale. Antonio ora sa che potrà guadagnare bene, indossa il vestito buono, e non quello logoro della prima sequenza, è sicuro di sé, sembra un altro uomo rispetto a quello che si era presentato umilmente di fronte al funzionario dell’ufficio di collocamento. L’inquadratura di Antonio e Maria, sorridenti, accanto alla bicicletta, è una perfetta rappresentazione delle speranze dell’Italia del dopoguerra: la famiglia Ricci sta per lasciarsi alle spalle la miseria. Ma già in questa scena possiamo intuire che i loro sforzi saranno vani. Antonio solleva Maria all’altezza della finestra dell’ufficio affissioni, per farle vedere l’interno, e immediatamente qualcuno chiude gli scuri in faccia alla donna: per i due coniugi, quello di un posto di lavoro, grazie al quale migliorare la loro disperata condizione economica è un sogno irrealizzabile, una fortuna che tocca soltanto agli altri, quelli che stanno dall’altra parte della finestra.
7) I due vanno da una Santona. La donna aveva predetto a Maria, che presto il marito avrebbe trovato il lavoro. Maria lascia un’offerta, mentre Antonio la rimprovera per la sua credulità
Come abbiamo visto nella scena precedente Maria cerca di nascondere con una formula vaga la sua decisione di recarsi dalla Santona. Ma l’espressione usata “Una che lavora” ha anche un altro significato: è un modo di sottolineare il fatto che le donne lavorano. Storicamente i due conflitti mondiali hanno visto una massiccia immissione di manodopera femminile sul mercato del lavoro; la vicenda di Ladri di biciclette si svolge nell’immediato dopoguerra e, in un paese distrutto, in cui gli uomini tornano avviliti dalla prigionia in Germania o da una guerra perduta, le donne rappresentano l’anello forte della comunità.
Fondu al nero
3) Il misero appartamento dei Ricci, Maria, con un moto d’ira, raduna tutte le lenzuola della casa
Maria parla poco, ma è lei a risolvere il problema. L’ira di Maria esplode: raduna la biancheria in cucina, per lavarla prima di recarsi al monte di pietà e prende rabbiosamente a calci il mastello. L’immagine di Maria che afferra con violenza Antonio per un braccio, lo fa alzare dal letto e strappa via le coperte, mentre l’uomo allibito la osserva, quasi spaventato, dà perfetttamente il senso di quali siano i rapporti di forza all’interno della coppia. E forse non è un caso che Maria scelga di rinunciare al corredo da sposa: impegnarlo è un po’ come cancellare le tracce del matrimonio.
Dissolvenza
4) Il banco dei pegni. Antonio e Maria impegnano le lenzuola e subito dopo riscattano la bicicletta
Ladri di biclette è costruito anche su piccoli dettagli che lo endono grande, come nella soggettiva di Ricci che guarda stipare le sue lenzuola insieme a quelle di tantissime altre persone. Con questa scelta, De Sica riesce a raccontare con una sola inquadratura la miseria che circonda l’Italia del dopoguerra.
Dissolvenza
5) Antonio si reca all’ufficio affissioni. Il capoufficio gli dice di andare in magazzino a ritirare l’uniforme e di presentarsi la mattina seguente
I protagonisti del film sono attori non professionisti. Antonio, Lamberto Maggiorani era un operaio della Breda; Maria la moglie, era la giornalista Lianella Carrell; Bruno, Enzo Staiola, era un bambino incontrato da De Sica per caso mentre curiosava sul set: le riprese erano iniziate senza che fosse stato trovato l’interprete per la parte di Bruno. Va ricordato che la voce di Antonio non è quella di Lamberto Maggiorani, perchè in seguito venne doppiato.
6) Maria attende il marito fuori dall’ufficio comunale. Antonio esce: sono entrambi molto felici. Maria chiede ad Antonio di accompagnarla in bicicletta a fare una commissione
La storia di Ladri di biciclette è la storia di un tentativo mancato di ascesa sociale. Antonio ora sa che potrà guadagnare bene, indossa il vestito buono, e non quello logoro della prima sequenza, è sicuro di sé, sembra un altro uomo rispetto a quello che si era presentato umilmente di fronte al funzionario dell’ufficio di collocamento. L’inquadratura di Antonio e Maria, sorridenti, accanto alla bicicletta, è una perfetta rappresentazione delle speranze dell’Italia del dopoguerra: la famiglia Ricci sta per lasciarsi alle spalle la miseria. Ma già in questa scena possiamo intuire che i loro sforzi saranno vani. Antonio solleva Maria all’altezza della finestra dell’ufficio affissioni, per farle vedere l’interno, e immediatamente qualcuno chiude gli scuri in faccia alla donna: per i due coniugi, quello di un posto di lavoro, grazie al quale migliorare la loro disperata condizione economica è un sogno irrealizzabile, una fortuna che tocca soltanto agli altri, quelli che stanno dall’altra parte della finestra.
7) I due vanno da una Santona. La donna aveva predetto a Maria, che presto il marito avrebbe trovato il lavoro. Maria lascia un’offerta, mentre Antonio la rimprovera per la sua credulità
Come abbiamo visto nella scena precedente Maria cerca di nascondere con una formula vaga la sua decisione di recarsi dalla Santona. Ma l’espressione usata “Una che lavora” ha anche un altro significato: è un modo di sottolineare il fatto che le donne lavorano. Storicamente i due conflitti mondiali hanno visto una massiccia immissione di manodopera femminile sul mercato del lavoro; la vicenda di Ladri di biciclette si svolge nell’immediato dopoguerra e, in un paese distrutto, in cui gli uomini tornano avviliti dalla prigionia in Germania o da una guerra perduta, le donne rappresentano l’anello forte della comunità.
Fondu al nero
Secondo giorno: Sabato
8) La casa dei Ricci, all’alba. Antonio e il figlio maggiore Bruno (la più piccola è a letto) si preparano ad uscire di casa, Maria li saluta, mentre vanno via
Entra in scena Bruno, il piccolo figlio di Antonio. L’aspetto e i movimenti del ragazzino sono molto simili a quelli del padre: indossano un abito dello stesso tipo (una tuta da lavoro), tutti e due si guardano allo specchio, tutti e due si infilano in tasca il panino preparato da Maria. Bruno è presentato esplicitamente come una copia in miniatura del padre. Ma egli non è soltanto un piccolo adulto: Bruno sin dall’inizio svolge un ruolo di supplenza del ruolo paterno. Prima di lasciare la stanza Bruno chiude la finestra per evitare che la sorellina, rimasta a letto, prenda freddo. Antonio esce con la bicicletta in spallam dimenticandosi della figlia: è Bruno, rimasto indietro, che si ricorda della bambina e si preoccupa per lei, in vece di suo padre. Questa inversione di ruoli, tornerà più volte nel corso del film.
9) Il padre accompagna il figlio, in biciletta, alla pompa di benzina dove lavora
L’uomo pedala felice e la musica extradiegetica di Alessandro Cicognini, esprime l’idea della speranza del personaggio di un futuro migliore per sé e per la sua famiglia. Non è un caso che la marca della bicicletta sia Fides: fiducia è la parola d’ordine del processo di rinascita del paese, dopo il disastro della guera. Bruno nonostante la giovane età già lavora, ancora un elemento che sottolinena la maturità del bambino.
Dissolvenza
10) Antonio, insieme ai colleghi, esce in bicicletta dal deposito e inizia il suo primo giorno di lavoro
11) Una strada cittadina. Un collega istruisce Ricci su come affiggere i manifesti. Attaccano il manifesto di Gilda
12) Un’altra strada cittadina. Antonio ora lavoro da solo. Un ladro, con l’aiuto di un complice gli ruba la bicicletta. Ricci lo insegue, ma il complice lo intralcia e il ladro riesce a dileguarsi
E’ questo, a livello narrativo, il momento più importante del film: al protagonista viene rubata la bicicletta, ma quello che rende unico il capolavoro di De Sica non è “solo” questo fatto. La scelta dei campi di ripresa e dei movimenti della macchina da presa sono, in parte, scelti da De Sica in funzione realistica. Per buona parte del film la macchina da presa è collocata piuttosto lontano dagli attori, evitando di guidare esplicitamente lo spettatore con effetti drammatici come il primo piano o il dettaglio, molto diffusi nel cinema degli anni ’30, ’40. L’obiettivo di De Sica si mantiene a distanza, come se fosse lì soltanto per registrare una storia che si dispiega da sola. Come ha notato André Bazin, De Sica adotta uno stile che cancella sistematicamente la propria presenza. Proprio dopo il furto vediamo Antonio che cammina disperato in mezzo alla folla. L’inquadratura inizia con un’automobile che sfreccia in primo piano, poi vediamo Antonio confuso in mezzo alla folla. Antonio fa qualche passo verso la macchina da presa ed esce di lato. Nell’ambito della composizione del quadro, alla figura di Antonio non è attribuibito un posto di particolare rilievo: egli è solo uno tra i tanti, potrebbe quasi trattarsi dell’immagine di un cinegiornale, in cui, in mezzo ai passanti, ci capita di scorgere un volto noto.
Tendina
13) Antonio è tornato indietro: scorato, si appoggia alla scala, accanto al manifesto della Hayworth
Se in diversi momenti di Ladri di biciclette è riscontrabile un uso anti-drammatico (quasi anti-narrativo) della macchina da presa, che si limita a riprendere i personaggi da lontano, bisogna notare che in altre sequenze l’obiettivo insiste sul viso di Lamberto Maggiorani. Proprio in questa sequenza ne troviamo un valido esempio. L’inquadratura inizia con Antonio in figura intera, ma, dopo una carrellata in avanti termina con un mezzo primo piano. E’ questo un movimento utilizzato con il chiaro intento di far salire la tensione drammatica e rafforzare il naturale processo di identificazione tra personaggio e spettatore. Si tratta di un impiego sostanzialmente convenzionale del primo piano, che va nella direzione opposta rispetto all’oggettività del campo medio/lungo.
14) Il commissariato di polizia. Antonio denuncia il furto
La banalità della storia, la ricerca di una bicicletta rubata, è sottolineata anche dal dialogo tra il cronisa e il poliziotto (“Novità, brigadiere?” “No, niente: una bicicletta”). Solo un grande autore come De Sica poteva farne un film struggente e singolare. In questa scena possiamo notare anche l’atteggiamento remissivo di Antonio, che non è capace di far valere le proprie ragioni. Questo atteggiamento del protagonista, lo ritroveremo più volte nel corso del film.
15) Antonio, umiliato, sale su un autobus stracolmo di passeggeri
L’autobus traboccante di passeggeri urlanti, è il segno della sconfitta di Antonio. La costrizione fisica propria del viaggio in autobus è antintetica alla libertà di movimento – nello spazio, ma anche metaforicamente, lungo la scala sociale – offerta dalla bicicletta. Prendere l’autobus per il protagonissta significa essere riassorbito in quella folla anonima e disperata da cui si era illuso di emergere.
16) Antonio va a prendere Bruno alla pompa di benzina. Il bambino chiede notizie della bicicletta, ma Antonio non ha il coraggio di conffessare l’accaduto. I due si incamminano verso casa
17) Bruno e Antonio arrivano a casa. Il padre accompagna il bambino finno alla porta, gli chiede di entrare e torna subito in strada
Intorno ad Antonio si levano, alti e minacciosi, i caseggiati popolari, tutti uguali, in spoglio stile razionalista. Il quadro è buio, fatta eccezione per la luce di alcuni lampioni che illuminano parzialmente i muri. Si tratta di una compoizione geometrica: le case identiche e squadrate, disposte in fila; e i fasci di luce , che creano violenti effetti chiaroscurali. Questa inquadratura sembra provenire da un film tedesco degli anni ’20, Metropolis di Fritz Lang (1926).
18) Un ampio scantinato. In una stanza si svolge la riunione di una cellula del PCI. In un locale poco distante una compagnia di filodrammatici prova uno spettacolo. Qui Bruno trova Baiocco, un amico che lo aiuterà a cercare la bicicletta a piazza Vittorio, luogo di ritrovo dei ricettatori. Sopraggiunge Maria. Baiocco cerca di rassicurare Maria e dà un appuntamento a Bruno per la mattina seguente
Antonio scende le scale dello scantinato dove si trova la sede del PCI e si trova davanti una fila di bassi archi bianchi, sui quali si proietta un gioco di luci e di ombre. Si tratta di una scenografia di sapore espressionista, che ricorda quella di Ivan il Terribile di Ejzenstejn (1944). Così come i palazzi dell’inquadratura precedente, anche questa fuga di archi, tutti uguali, con una netta contrapposizione tra zone di ombra e zone illuminate, è decisamente inquietante. Antonio è angosciato per la perdita della bicicletta: l’atto di scendere è l’inizio della sua tragedia, la sua discesa agli Inferi. Non a caso, alla fine della scena, non lo vediamo uscire: lui e Maria, che sono nella sala provem si incamminano lungo il corriodio e poi c’è subito una dissolvenza al nero. La prima parte del film si conclude con Antonio e Maria nel ventre della terra, incapaci di uscire dal loro incubo.
Fondu al nero
Terzo giorno: Domenica
19) All’alba Antonio e Bruno si recano da Baiocco, che fa il netturbino
Al centro della scena passa sferragliando un tram, da cui scendono Antonio e Bruno, ma non ne distinguiamo bene i volti. La macchina segue i loro moviemnti con una panoramica, senza avvicinarsi: si incamminano esitanti verso destra, poi tornano verso sinistra, allungando il passo. Antonio e Bruno scompaiono, prima dietro a un carretto, poi dietro al camion della nettezza urbana; la macchina da presa si sofferma un attimo sugli spazzini che iniziano il loro giro mattutino. Se nella prima parte della panoramica Antonio e Bruno sono inquadrati in campo lungo, ma sono comunque soli al centro della scena, nella seconda parte essi vengono relegati sullo sfondo, lasciando il primo piano a delle comparse. Sappiamo che i due sono angosciati per la perdita della bicicletta, ma non possiamo vedere l’angoscia sui volti,. La tensione emerge dai loro movimenti: l’incertezza iniziale (si incamminano dalla parte sbagliata), poi la breve corsa verso sinistra. De Sica non enfatizza il dramma di Antonio con un primo piano, si limita a registrare la sua camminata nervosa e titubante, per poi escludere il protagonista dal campo e inquadrare degli spazzini, che nulla hanno a che vedere con la storia. Questo uso della macchina da presa è chiaraòente funzionale a quella poetica dei tempi morti, cui abbiamo fatto riferimento in precedenza. La macchina da presa si “concede il lusso” di deviare dalla storia principale e di mostrarci cià che sta attorno alla vicenda del protagonista.
20) Il mercato di piazza Vittorio. Antonio, Bruno, Baiocco e due altri spazzini iniziano le ricerche. La ricerca è infruttuosa. Baiocco consiglia Bruno andare a Porta Portese e chiede ad un collega di accompagnarlo con il camion dei rifiuti
21) Antonio e Bruno sono sul camion, diretti verso Porta Portese mentre inizia a piovere
Durante il viaggio, De Sica fa ricorso ad un effetto speciale: il trasperrente. Contrariamente a tutte le altre scene realizzate in esterno, questa ripresa non è stata effettuata in una strada di Roma, ma in teatro di posa. Gli attori hanno recitato dentro un furgone sistemato davanti ad uno schermo, su cui sono state proiettate le immagini delle strade di Roma.
22) Padre e figlio arrivano a Porta Portese sotto un violento nubifragio. I due si riparano dal temporale sotto un cornicione. Poco dopo smette di piovere e Antonio scorge il ladro, in sella ad una bicicletta, intento a parlare con un vecchio. Antonio corre dietro al ladro, che però riesce a far perdere le proprie tracce, allora si lancia all’inseguimento del vecchio
Antonio e Bruno si riparano dal temporale sotto un cornicione; sopraggiunge un gruppo di seminaristi (uno dei quali è interpretato da un giovanissimo Sergio Leone), che conversano tra loro in tedesco. La guerra è terminata da pochi anni, per cui il messaggio è chiarissimo: i preti sono il nemico.
23) Antonio e Bruno cercano il vecchio nelle strade adiacenti la piazza
24) Un ponte sul Tevere. Antonio e Bruno trovano finalmente il vecchio, che però, dopo un breve alterco, va via senza aver risposto alle domande insistenti di Antonio a proposito del ladro
25) Antonio e Bruno seguono il vecchio fino ad una chiesa dove si tiene la messa del povero (una funzione religiosa, seguita dalla distribuzione di un pasto caldo). Nel corso della messa Antonio cerca di parlare di nuovo con il vecchio, che però riesce ad eclissarsi
L’anticlericalismo trionfa anche in questa scena, che non a caso fu una delle parti del film che maggiormente indignò la stampa cattolica. “L’Osservatore Romano” arrivò addirittura a mettere in discussione l’opportunità di far circolare la pellicola. In questa scena, distinti avvocati e signore in tailleur e cappellino fanno la barba ai poveri e offrono pasti caldi. Si tratta di una carità ipocrita e farisaica: i ricchi apparentemente si umiliano facendo i barbieri, ma continuano a trattare i poveri con il disprezzo di sempre. La distribuzione del cibo, che avviene soltanto dopo la messa, è un’arma di ricatto per costringere i miserabili a cantare le lodi dell’Altissimo. E’ chiaro che l’elegante signore in completo scuro, che guida la preghiera e parla di “ripercorrere le strade del dolore e della privazione”, non sa assolutamente nulla della privazione.
26) Antonio e Bruno sono fuori dalla chiesa. L’uomo è arrabbiato per essersi lasciato sfuggire il vecchio e, per sfogare la sua rabbia, dà uno schiaffo a Bruno. Il bambino si mette a piangere. Antonio va a cercare il vecchio lungo il Tevere mentra Bruno rimane indietro
Tra Antonio e Bruno, il bambino si dimostra “l’uomo forte” della situazione, quello che riesce a cavarsela meglio del padre. L’atteggiamento di Antonio è invece estremamente infantile: schiaffeggia Bruno, che gli ha – giustamente – fatto notare di essersi lasciato sfuggire il mendicante, che avrebbe potuto condurli al ladro. In fondo picchia il figlio percchè sa che questi ha ragione, perché non vuole che gli si dica la verità, ovvero che è un inetto, tanto che si è lasciato sfuggire un prezioso testimone.
27) Mentre perlustra l’argine del fiume, Antonio scorge un gruppo di persone intente a portare a riva un bambino che stava per annegare. L’uomo corre verso la folla raccoltasi intorno al ragazzo, temendo che si tratti di Bruno, ma vede il figlio in cima alla scalinata che conduce alla sponda del Tevere
Antonio sta cercando il vecchio mendicante lungo la sponda del Tevere, sente le grida di un gruppo di persone intente a trarre a riva un ragazzo che stava per annegare. Antonio che si sente in colpa nei confronti di Bruno accorre immediatamente, pensando che sia stato suo figlio a cadere nel fiume. Antonio passa di corsa sotto la grande arcata del ponte, che proietta un’ombra nera: la figura di Maggiorani viene letteralmente inghiottita dall’oscurità. Mentre corre sotto il ponte, la voce di Antonio, che grida il nome del figlio, rimbomba, con un effetto allucinatorio da film giallo/horror. Di nuovo, una situazione di forte disagio psicologico viene rapppresentata attraverso un ambiente opprimente, caratterizzato da un violento conflitto luce/tenebra. Qui alla natura claustrofobica della scenografia si aggiunge il contrappunto sonoro, che sembra uscito da un film di Lang. Parlare di scenografia espressionista a proposito di Ladri di biciclette può sembrare una boutade, una provocazione pensata con l’unico intento di stupire, ma è un fatto che le inquadrature descritte siano costruite con una logica antitetica rispetto a quella messa in scena del cinema puro di cui parlava Bazin. D’altra parte Italo Calvino nella prefazione del 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno, ha scritto: “L’appuntamento con l’espressionismo che la cultura letteraria e figurativa italiana aveva mancato nel Primo Dopoguerra, ebbe il suo grande momento nel Secondo. Forse il vero nome per quella stagione italiana, più che Neorealismo dovrebbe essere Neospressionismo”
Dissolvenza
28) Antonio e Bruno passeggiano avviliti. Il padre propone al figlio di andare a mangiare
29) Padre e figlio entrano in un ristorante. I due si accomodano e ordinano da mangiare. Bruno ha uno scambio di occhiate con un bambino altezzoso di una famiglia borghese, che siede ad un tavolo vicino. Antonio tenta di ostentare euforia, nella speranza di dimenticare le proprie disgrazie, ma non vi riesce: alla fine decide di riprendere le proprie ricerche
La scena all’osteria è indicativa circa i rapporti tra padre e figlio. Antonio, stanco e avvilito, decide di andare a mangiare, non solo perché il figlio ha fame, ma perché pensa che i suoi sforzi per ritrovare la bicicletta siano ormai inutili. Nel locale, dove suona un’orchestrina napoletana, regna un’atmosfera festosa e Antonio si fa prendere dall’euforia e si comporta in modo puerile: offre del vino al figlio per fare dispetto alla moglie, e ride compiaciuto della sua marachella. Poco dopo mentre stanno mangiando, Antonio osserva i borghesi del tavolo accanto e commenta: “Pe’ magna’ come quelli lì, poco poco, bisognerebbe guadagna’ un milione al mese”. Bruno, con un comportamento giudizioso e maturo smette di mangiare.
Dissolvenza
30) In un ultimo, disperato, tentativo di ritrovare la bicicletta, Antonio e Bruno vanno a consultare la Santona, che si limita a fornire una risposta lapalissiana: “O la trovi subito o non la trovi più”
La visita di Antonio e Bruno dalla Santona, rappresenta un ulteriore conferma del “potere” muliebre presente in tutto il film. La Santona e il suo clan sono una vera e propria incarnazione del mito del matriacato: la veggente dà udienza al suo popolo seduta sulla poltrona circondata dalle figlie, che le fanno da assistenti. E, non a caso, quando sopraggiungono Antonio e Bruno, la Santona sta umiliando pubblicamente un povero giovane, che le confessa le sue pene d’amore. L’uomo - il quale ha alle spalle una vecchia: è letteralmente circondato dalle donne – piagnucola un po’, paga e va via. Nel suo colloquio con la Santona, Antonio sarà altrettanto patetico. Dopo essere passato davanti a tutti grazie alla sfrontatezza del figlio - che ancora una volta si dimostra più perspicace del padre – Antonio, umile e con il cappello in mano, si confessa alla Santona, parlando a bassa voce, perché si vergogna di raccontare la sua storia di fronte agli altri clienti che affollano la stanza. Il tono di Antonio è quello di un bambino che va a piangere dalla mamma e lei lo orrserva con un misto di noia e compassione, come si guarda un ragazzino goffo, che confessi la sua ennesima défaillance.
Le udienze della Santona rappresentano anche un capovolgimento dei rapporti di forza, rispetto alla sequenza della messa dei poveri. Se nella chiesa i poveri sono letteralmente ostaggio dei ricchi, nella casa della Santona le signore borghesi e il maresciallo dei carabinieri fanno la fila insieme agli abitanti delle borgate, per ottenere un colloquio con la veggente, un donna del popolo, che tratttano con grande deferenza.
31) Usciti dalla Santona, Antonio e Bruno si imbattono casualmente nel ladro, che si dà immediatamente alla fuga. Il ladro si infila nel portoncino di un postribolo. Antonio insegue il ladro all’interno della casa di tolleranza: i due vengono cacciati fuori
Come Antonio chiede aiuto alla Santona, così il ladro inseguito da Antonio, si rifugia nel boredllo: di nuovo uno spazio esclusivamente femminile, in cui l’uomo cerca protezione.
32) Il ladro
8) La casa dei Ricci, all’alba. Antonio e il figlio maggiore Bruno (la più piccola è a letto) si preparano ad uscire di casa, Maria li saluta, mentre vanno via
Entra in scena Bruno, il piccolo figlio di Antonio. L’aspetto e i movimenti del ragazzino sono molto simili a quelli del padre: indossano un abito dello stesso tipo (una tuta da lavoro), tutti e due si guardano allo specchio, tutti e due si infilano in tasca il panino preparato da Maria. Bruno è presentato esplicitamente come una copia in miniatura del padre. Ma egli non è soltanto un piccolo adulto: Bruno sin dall’inizio svolge un ruolo di supplenza del ruolo paterno. Prima di lasciare la stanza Bruno chiude la finestra per evitare che la sorellina, rimasta a letto, prenda freddo. Antonio esce con la bicicletta in spallam dimenticandosi della figlia: è Bruno, rimasto indietro, che si ricorda della bambina e si preoccupa per lei, in vece di suo padre. Questa inversione di ruoli, tornerà più volte nel corso del film.
9) Il padre accompagna il figlio, in biciletta, alla pompa di benzina dove lavora
L’uomo pedala felice e la musica extradiegetica di Alessandro Cicognini, esprime l’idea della speranza del personaggio di un futuro migliore per sé e per la sua famiglia. Non è un caso che la marca della bicicletta sia Fides: fiducia è la parola d’ordine del processo di rinascita del paese, dopo il disastro della guera. Bruno nonostante la giovane età già lavora, ancora un elemento che sottolinena la maturità del bambino.
Dissolvenza
10) Antonio, insieme ai colleghi, esce in bicicletta dal deposito e inizia il suo primo giorno di lavoro
11) Una strada cittadina. Un collega istruisce Ricci su come affiggere i manifesti. Attaccano il manifesto di Gilda
12) Un’altra strada cittadina. Antonio ora lavoro da solo. Un ladro, con l’aiuto di un complice gli ruba la bicicletta. Ricci lo insegue, ma il complice lo intralcia e il ladro riesce a dileguarsi
E’ questo, a livello narrativo, il momento più importante del film: al protagonista viene rubata la bicicletta, ma quello che rende unico il capolavoro di De Sica non è “solo” questo fatto. La scelta dei campi di ripresa e dei movimenti della macchina da presa sono, in parte, scelti da De Sica in funzione realistica. Per buona parte del film la macchina da presa è collocata piuttosto lontano dagli attori, evitando di guidare esplicitamente lo spettatore con effetti drammatici come il primo piano o il dettaglio, molto diffusi nel cinema degli anni ’30, ’40. L’obiettivo di De Sica si mantiene a distanza, come se fosse lì soltanto per registrare una storia che si dispiega da sola. Come ha notato André Bazin, De Sica adotta uno stile che cancella sistematicamente la propria presenza. Proprio dopo il furto vediamo Antonio che cammina disperato in mezzo alla folla. L’inquadratura inizia con un’automobile che sfreccia in primo piano, poi vediamo Antonio confuso in mezzo alla folla. Antonio fa qualche passo verso la macchina da presa ed esce di lato. Nell’ambito della composizione del quadro, alla figura di Antonio non è attribuibito un posto di particolare rilievo: egli è solo uno tra i tanti, potrebbe quasi trattarsi dell’immagine di un cinegiornale, in cui, in mezzo ai passanti, ci capita di scorgere un volto noto.
Tendina
13) Antonio è tornato indietro: scorato, si appoggia alla scala, accanto al manifesto della Hayworth
Se in diversi momenti di Ladri di biciclette è riscontrabile un uso anti-drammatico (quasi anti-narrativo) della macchina da presa, che si limita a riprendere i personaggi da lontano, bisogna notare che in altre sequenze l’obiettivo insiste sul viso di Lamberto Maggiorani. Proprio in questa sequenza ne troviamo un valido esempio. L’inquadratura inizia con Antonio in figura intera, ma, dopo una carrellata in avanti termina con un mezzo primo piano. E’ questo un movimento utilizzato con il chiaro intento di far salire la tensione drammatica e rafforzare il naturale processo di identificazione tra personaggio e spettatore. Si tratta di un impiego sostanzialmente convenzionale del primo piano, che va nella direzione opposta rispetto all’oggettività del campo medio/lungo.
14) Il commissariato di polizia. Antonio denuncia il furto
La banalità della storia, la ricerca di una bicicletta rubata, è sottolineata anche dal dialogo tra il cronisa e il poliziotto (“Novità, brigadiere?” “No, niente: una bicicletta”). Solo un grande autore come De Sica poteva farne un film struggente e singolare. In questa scena possiamo notare anche l’atteggiamento remissivo di Antonio, che non è capace di far valere le proprie ragioni. Questo atteggiamento del protagonista, lo ritroveremo più volte nel corso del film.
15) Antonio, umiliato, sale su un autobus stracolmo di passeggeri
L’autobus traboccante di passeggeri urlanti, è il segno della sconfitta di Antonio. La costrizione fisica propria del viaggio in autobus è antintetica alla libertà di movimento – nello spazio, ma anche metaforicamente, lungo la scala sociale – offerta dalla bicicletta. Prendere l’autobus per il protagonissta significa essere riassorbito in quella folla anonima e disperata da cui si era illuso di emergere.
16) Antonio va a prendere Bruno alla pompa di benzina. Il bambino chiede notizie della bicicletta, ma Antonio non ha il coraggio di conffessare l’accaduto. I due si incamminano verso casa
17) Bruno e Antonio arrivano a casa. Il padre accompagna il bambino finno alla porta, gli chiede di entrare e torna subito in strada
Intorno ad Antonio si levano, alti e minacciosi, i caseggiati popolari, tutti uguali, in spoglio stile razionalista. Il quadro è buio, fatta eccezione per la luce di alcuni lampioni che illuminano parzialmente i muri. Si tratta di una compoizione geometrica: le case identiche e squadrate, disposte in fila; e i fasci di luce , che creano violenti effetti chiaroscurali. Questa inquadratura sembra provenire da un film tedesco degli anni ’20, Metropolis di Fritz Lang (1926).
18) Un ampio scantinato. In una stanza si svolge la riunione di una cellula del PCI. In un locale poco distante una compagnia di filodrammatici prova uno spettacolo. Qui Bruno trova Baiocco, un amico che lo aiuterà a cercare la bicicletta a piazza Vittorio, luogo di ritrovo dei ricettatori. Sopraggiunge Maria. Baiocco cerca di rassicurare Maria e dà un appuntamento a Bruno per la mattina seguente
Antonio scende le scale dello scantinato dove si trova la sede del PCI e si trova davanti una fila di bassi archi bianchi, sui quali si proietta un gioco di luci e di ombre. Si tratta di una scenografia di sapore espressionista, che ricorda quella di Ivan il Terribile di Ejzenstejn (1944). Così come i palazzi dell’inquadratura precedente, anche questa fuga di archi, tutti uguali, con una netta contrapposizione tra zone di ombra e zone illuminate, è decisamente inquietante. Antonio è angosciato per la perdita della bicicletta: l’atto di scendere è l’inizio della sua tragedia, la sua discesa agli Inferi. Non a caso, alla fine della scena, non lo vediamo uscire: lui e Maria, che sono nella sala provem si incamminano lungo il corriodio e poi c’è subito una dissolvenza al nero. La prima parte del film si conclude con Antonio e Maria nel ventre della terra, incapaci di uscire dal loro incubo.
Fondu al nero
Terzo giorno: Domenica
19) All’alba Antonio e Bruno si recano da Baiocco, che fa il netturbino
Al centro della scena passa sferragliando un tram, da cui scendono Antonio e Bruno, ma non ne distinguiamo bene i volti. La macchina segue i loro moviemnti con una panoramica, senza avvicinarsi: si incamminano esitanti verso destra, poi tornano verso sinistra, allungando il passo. Antonio e Bruno scompaiono, prima dietro a un carretto, poi dietro al camion della nettezza urbana; la macchina da presa si sofferma un attimo sugli spazzini che iniziano il loro giro mattutino. Se nella prima parte della panoramica Antonio e Bruno sono inquadrati in campo lungo, ma sono comunque soli al centro della scena, nella seconda parte essi vengono relegati sullo sfondo, lasciando il primo piano a delle comparse. Sappiamo che i due sono angosciati per la perdita della bicicletta, ma non possiamo vedere l’angoscia sui volti,. La tensione emerge dai loro movimenti: l’incertezza iniziale (si incamminano dalla parte sbagliata), poi la breve corsa verso sinistra. De Sica non enfatizza il dramma di Antonio con un primo piano, si limita a registrare la sua camminata nervosa e titubante, per poi escludere il protagonista dal campo e inquadrare degli spazzini, che nulla hanno a che vedere con la storia. Questo uso della macchina da presa è chiaraòente funzionale a quella poetica dei tempi morti, cui abbiamo fatto riferimento in precedenza. La macchina da presa si “concede il lusso” di deviare dalla storia principale e di mostrarci cià che sta attorno alla vicenda del protagonista.
20) Il mercato di piazza Vittorio. Antonio, Bruno, Baiocco e due altri spazzini iniziano le ricerche. La ricerca è infruttuosa. Baiocco consiglia Bruno andare a Porta Portese e chiede ad un collega di accompagnarlo con il camion dei rifiuti
21) Antonio e Bruno sono sul camion, diretti verso Porta Portese mentre inizia a piovere
Durante il viaggio, De Sica fa ricorso ad un effetto speciale: il trasperrente. Contrariamente a tutte le altre scene realizzate in esterno, questa ripresa non è stata effettuata in una strada di Roma, ma in teatro di posa. Gli attori hanno recitato dentro un furgone sistemato davanti ad uno schermo, su cui sono state proiettate le immagini delle strade di Roma.
22) Padre e figlio arrivano a Porta Portese sotto un violento nubifragio. I due si riparano dal temporale sotto un cornicione. Poco dopo smette di piovere e Antonio scorge il ladro, in sella ad una bicicletta, intento a parlare con un vecchio. Antonio corre dietro al ladro, che però riesce a far perdere le proprie tracce, allora si lancia all’inseguimento del vecchio
Antonio e Bruno si riparano dal temporale sotto un cornicione; sopraggiunge un gruppo di seminaristi (uno dei quali è interpretato da un giovanissimo Sergio Leone), che conversano tra loro in tedesco. La guerra è terminata da pochi anni, per cui il messaggio è chiarissimo: i preti sono il nemico.
23) Antonio e Bruno cercano il vecchio nelle strade adiacenti la piazza
24) Un ponte sul Tevere. Antonio e Bruno trovano finalmente il vecchio, che però, dopo un breve alterco, va via senza aver risposto alle domande insistenti di Antonio a proposito del ladro
25) Antonio e Bruno seguono il vecchio fino ad una chiesa dove si tiene la messa del povero (una funzione religiosa, seguita dalla distribuzione di un pasto caldo). Nel corso della messa Antonio cerca di parlare di nuovo con il vecchio, che però riesce ad eclissarsi
L’anticlericalismo trionfa anche in questa scena, che non a caso fu una delle parti del film che maggiormente indignò la stampa cattolica. “L’Osservatore Romano” arrivò addirittura a mettere in discussione l’opportunità di far circolare la pellicola. In questa scena, distinti avvocati e signore in tailleur e cappellino fanno la barba ai poveri e offrono pasti caldi. Si tratta di una carità ipocrita e farisaica: i ricchi apparentemente si umiliano facendo i barbieri, ma continuano a trattare i poveri con il disprezzo di sempre. La distribuzione del cibo, che avviene soltanto dopo la messa, è un’arma di ricatto per costringere i miserabili a cantare le lodi dell’Altissimo. E’ chiaro che l’elegante signore in completo scuro, che guida la preghiera e parla di “ripercorrere le strade del dolore e della privazione”, non sa assolutamente nulla della privazione.
26) Antonio e Bruno sono fuori dalla chiesa. L’uomo è arrabbiato per essersi lasciato sfuggire il vecchio e, per sfogare la sua rabbia, dà uno schiaffo a Bruno. Il bambino si mette a piangere. Antonio va a cercare il vecchio lungo il Tevere mentra Bruno rimane indietro
Tra Antonio e Bruno, il bambino si dimostra “l’uomo forte” della situazione, quello che riesce a cavarsela meglio del padre. L’atteggiamento di Antonio è invece estremamente infantile: schiaffeggia Bruno, che gli ha – giustamente – fatto notare di essersi lasciato sfuggire il mendicante, che avrebbe potuto condurli al ladro. In fondo picchia il figlio percchè sa che questi ha ragione, perché non vuole che gli si dica la verità, ovvero che è un inetto, tanto che si è lasciato sfuggire un prezioso testimone.
27) Mentre perlustra l’argine del fiume, Antonio scorge un gruppo di persone intente a portare a riva un bambino che stava per annegare. L’uomo corre verso la folla raccoltasi intorno al ragazzo, temendo che si tratti di Bruno, ma vede il figlio in cima alla scalinata che conduce alla sponda del Tevere
Antonio sta cercando il vecchio mendicante lungo la sponda del Tevere, sente le grida di un gruppo di persone intente a trarre a riva un ragazzo che stava per annegare. Antonio che si sente in colpa nei confronti di Bruno accorre immediatamente, pensando che sia stato suo figlio a cadere nel fiume. Antonio passa di corsa sotto la grande arcata del ponte, che proietta un’ombra nera: la figura di Maggiorani viene letteralmente inghiottita dall’oscurità. Mentre corre sotto il ponte, la voce di Antonio, che grida il nome del figlio, rimbomba, con un effetto allucinatorio da film giallo/horror. Di nuovo, una situazione di forte disagio psicologico viene rapppresentata attraverso un ambiente opprimente, caratterizzato da un violento conflitto luce/tenebra. Qui alla natura claustrofobica della scenografia si aggiunge il contrappunto sonoro, che sembra uscito da un film di Lang. Parlare di scenografia espressionista a proposito di Ladri di biciclette può sembrare una boutade, una provocazione pensata con l’unico intento di stupire, ma è un fatto che le inquadrature descritte siano costruite con una logica antitetica rispetto a quella messa in scena del cinema puro di cui parlava Bazin. D’altra parte Italo Calvino nella prefazione del 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno, ha scritto: “L’appuntamento con l’espressionismo che la cultura letteraria e figurativa italiana aveva mancato nel Primo Dopoguerra, ebbe il suo grande momento nel Secondo. Forse il vero nome per quella stagione italiana, più che Neorealismo dovrebbe essere Neospressionismo”
Dissolvenza
28) Antonio e Bruno passeggiano avviliti. Il padre propone al figlio di andare a mangiare
29) Padre e figlio entrano in un ristorante. I due si accomodano e ordinano da mangiare. Bruno ha uno scambio di occhiate con un bambino altezzoso di una famiglia borghese, che siede ad un tavolo vicino. Antonio tenta di ostentare euforia, nella speranza di dimenticare le proprie disgrazie, ma non vi riesce: alla fine decide di riprendere le proprie ricerche
La scena all’osteria è indicativa circa i rapporti tra padre e figlio. Antonio, stanco e avvilito, decide di andare a mangiare, non solo perché il figlio ha fame, ma perché pensa che i suoi sforzi per ritrovare la bicicletta siano ormai inutili. Nel locale, dove suona un’orchestrina napoletana, regna un’atmosfera festosa e Antonio si fa prendere dall’euforia e si comporta in modo puerile: offre del vino al figlio per fare dispetto alla moglie, e ride compiaciuto della sua marachella. Poco dopo mentre stanno mangiando, Antonio osserva i borghesi del tavolo accanto e commenta: “Pe’ magna’ come quelli lì, poco poco, bisognerebbe guadagna’ un milione al mese”. Bruno, con un comportamento giudizioso e maturo smette di mangiare.
Dissolvenza
30) In un ultimo, disperato, tentativo di ritrovare la bicicletta, Antonio e Bruno vanno a consultare la Santona, che si limita a fornire una risposta lapalissiana: “O la trovi subito o non la trovi più”
La visita di Antonio e Bruno dalla Santona, rappresenta un ulteriore conferma del “potere” muliebre presente in tutto il film. La Santona e il suo clan sono una vera e propria incarnazione del mito del matriacato: la veggente dà udienza al suo popolo seduta sulla poltrona circondata dalle figlie, che le fanno da assistenti. E, non a caso, quando sopraggiungono Antonio e Bruno, la Santona sta umiliando pubblicamente un povero giovane, che le confessa le sue pene d’amore. L’uomo - il quale ha alle spalle una vecchia: è letteralmente circondato dalle donne – piagnucola un po’, paga e va via. Nel suo colloquio con la Santona, Antonio sarà altrettanto patetico. Dopo essere passato davanti a tutti grazie alla sfrontatezza del figlio - che ancora una volta si dimostra più perspicace del padre – Antonio, umile e con il cappello in mano, si confessa alla Santona, parlando a bassa voce, perché si vergogna di raccontare la sua storia di fronte agli altri clienti che affollano la stanza. Il tono di Antonio è quello di un bambino che va a piangere dalla mamma e lei lo orrserva con un misto di noia e compassione, come si guarda un ragazzino goffo, che confessi la sua ennesima défaillance.
Le udienze della Santona rappresentano anche un capovolgimento dei rapporti di forza, rispetto alla sequenza della messa dei poveri. Se nella chiesa i poveri sono letteralmente ostaggio dei ricchi, nella casa della Santona le signore borghesi e il maresciallo dei carabinieri fanno la fila insieme agli abitanti delle borgate, per ottenere un colloquio con la veggente, un donna del popolo, che tratttano con grande deferenza.
31) Usciti dalla Santona, Antonio e Bruno si imbattono casualmente nel ladro, che si dà immediatamente alla fuga. Il ladro si infila nel portoncino di un postribolo. Antonio insegue il ladro all’interno della casa di tolleranza: i due vengono cacciati fuori
Come Antonio chiede aiuto alla Santona, così il ladro inseguito da Antonio, si rifugia nel boredllo: di nuovo uno spazio esclusivamente femminile, in cui l’uomo cerca protezione.
32) Il ladro
Fuori dalla casa di tolleranza, il ladro – che abita poco lontano – tenta di allontanarsi, ma Antonio non lo lascia andare. Sopraggiungono alcuni abitanti del quartiere, che circondano Antonio e prendono le difese del ladro. Nel corso del litigio il ladro è colto da un attacco epilettico. Bruno corre via. Antonio è costretto a difendersi con un bastone dalla folla inferocita. Torna Bruno accompagnato da un carabiniere. Insieme al carabiniere vanno a perquisire la casa del ladro ma no trovano la bicicletta. In mancanza di prove e di testimoni Antonio non può denunciare il ladro.
In questa sequenza entra in scena un’altra importante figura femminile: la madre del ladro. Urlante e vestiva di nero, è lo stereotipo della mamma meridionale, pronta a tutto pur di aiutare, soccorrere e proteggere il figlio. E sarà lei, nella seconda parte della scena, a tenere testa ad Antonio e al carabiniere, poiché il figlio è troppo debole (o si finge tale) per alzarsi. La donna, per nulla intimorita, accompagna Antonio e il carabiniere nel suo misero appartamento, in cui – spiega – vivono in quattro, e dove l’unico uomo è il ladro. Il ladro, insomma, è cresciuto in mezzo alle donne ed è sempre bisognoso del loro soccroso, sia esso fornito dalle prostiute o dalla madre. Dunque Antonio e il ladro sono accomunati dallo stesso destino: non solo sono costretti a rubare a causa della miseria e della disoccupazione (da qui il plurale del titolo del film), ma sono anche uomini fragili, soggetti al potere matriarcale.
Antonio dimostra di possedere forza e perseveranza, ma i suoi tentativi non portano mai a nulla. Alla fine, pur avendo trovato il ladro non riesce a farlo catturare. Non soltanto il ladro può contare su amici e vicini di casa come testimoni a favore, ma nel corso della conversazione con il carabiniere, Antonio cade in contraddizione, tanto da far dubitare l’altro delle sue parole. Al contrario Bruno, andando a chiamare il carabiniere, salva il padre dal linciaggio degli amici del ladro: ancora una volta il figlio si dimostra migliore del ladro.
33) Padre e figlio camminano in silenzio per la città, assolata e deserta
Bruno accompagna Antonio nella sua lunga ricerca della bicicletta, e questo viaggio è per il bambino un percorso di formazione, un pellegrinaggio al termine del quale egli acquista consapevolezza della propria forza. E l’ipotesi che questa passeggiata per Roma sia per Bruno un rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta, è rafforzata dal fatto che, nel corso della storia, si verifichi la scopera, da parte del personaggio, della sfera della sessualità. Bruno, infatti, fa due incontri che lo mettono in contatto con l’universo del sesso: il pedofilo di piazza Vittorio (seq. 20) e il postribolo (seq. 31) dove si rifugia il ladro. La presenza sotterranea dle tema erotico, in Ladri di biciclette, è confermata dalla canzone eseguita dall’orchestrina del ristorante (seq. 29); si tratta di Tammurriata nera, un brano napoletano, molto popolare nel dopoguerra, che parla dei bambini meticci nati dall’incontro tra le ragazze italiane e i soldati neri dell’esercito americano. D’altra parte, come ha messo in evidenza Lino Micciché, lo schema del racconto di formazione era già presente in Sciuscià.
34) Antonio e Bruno giungono nei pressi dello stadio Flaminio
In questa sequenza entra in scena un’altra importante figura femminile: la madre del ladro. Urlante e vestiva di nero, è lo stereotipo della mamma meridionale, pronta a tutto pur di aiutare, soccorrere e proteggere il figlio. E sarà lei, nella seconda parte della scena, a tenere testa ad Antonio e al carabiniere, poiché il figlio è troppo debole (o si finge tale) per alzarsi. La donna, per nulla intimorita, accompagna Antonio e il carabiniere nel suo misero appartamento, in cui – spiega – vivono in quattro, e dove l’unico uomo è il ladro. Il ladro, insomma, è cresciuto in mezzo alle donne ed è sempre bisognoso del loro soccroso, sia esso fornito dalle prostiute o dalla madre. Dunque Antonio e il ladro sono accomunati dallo stesso destino: non solo sono costretti a rubare a causa della miseria e della disoccupazione (da qui il plurale del titolo del film), ma sono anche uomini fragili, soggetti al potere matriarcale.
Antonio dimostra di possedere forza e perseveranza, ma i suoi tentativi non portano mai a nulla. Alla fine, pur avendo trovato il ladro non riesce a farlo catturare. Non soltanto il ladro può contare su amici e vicini di casa come testimoni a favore, ma nel corso della conversazione con il carabiniere, Antonio cade in contraddizione, tanto da far dubitare l’altro delle sue parole. Al contrario Bruno, andando a chiamare il carabiniere, salva il padre dal linciaggio degli amici del ladro: ancora una volta il figlio si dimostra migliore del ladro.
33) Padre e figlio camminano in silenzio per la città, assolata e deserta
Bruno accompagna Antonio nella sua lunga ricerca della bicicletta, e questo viaggio è per il bambino un percorso di formazione, un pellegrinaggio al termine del quale egli acquista consapevolezza della propria forza. E l’ipotesi che questa passeggiata per Roma sia per Bruno un rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta, è rafforzata dal fatto che, nel corso della storia, si verifichi la scopera, da parte del personaggio, della sfera della sessualità. Bruno, infatti, fa due incontri che lo mettono in contatto con l’universo del sesso: il pedofilo di piazza Vittorio (seq. 20) e il postribolo (seq. 31) dove si rifugia il ladro. La presenza sotterranea dle tema erotico, in Ladri di biciclette, è confermata dalla canzone eseguita dall’orchestrina del ristorante (seq. 29); si tratta di Tammurriata nera, un brano napoletano, molto popolare nel dopoguerra, che parla dei bambini meticci nati dall’incontro tra le ragazze italiane e i soldati neri dell’esercito americano. D’altra parte, come ha messo in evidenza Lino Micciché, lo schema del racconto di formazione era già presente in Sciuscià.
34) Antonio e Bruno giungono nei pressi dello stadio Flaminio
L’uomo guarda sconsolato le lunghe file di biciclette dei tifosi. Poco dopo scorge una bicicletta incustodita. Allontana il figlio e cerca di rubarla, ma viene subito scoperto e catturato. Torna Bruno e il padrone della bicicletta, commosso per il pianto del bambino, non denuncia Antonio. Padre e figlio, disperati, si allontanano, mischiandosi alla folla che si riversa al di fuori dello stadio.
Antonio e Bruno arrivano nei pressi dello stadio. Sentiamo il boato dei tifosi, vediamo la gente passeggiare: il clima festoso della domenica pomeriggio è in aperto contrasto con la disperazione del protagonista. La contrapposizione tra i piani ravvicinati di Antonio e Bruno e i campi lunghi della folla, con il sottofondo delle urla, danno il senso dell’indifferenzadella collettività nei confronti della tragedia individuale. Le grida dello sstadio sembrano quasi grida di dileggio nei confronti di Antonio stesso, che ha appena subito i lazzi degli amici del ladro. Fuori dallo stadio sono allineate le lunghe file delle biciclette degli speattori: tutti possiedono una bicicletta, tutti tranne Antonio Ricci. Bruno, stanco e abbattuto, si diede sul marciapiede, mentre Antonio, che ha individuato una bicicletta isolata e incustodita, cammina su e giù, indeciso sul daffare. In questa prima parte della scena finale del film, De Sica costruisce un climax molto raffinato, attraverso il montaggio e l’uso della musica, che enfatizza il senso del dramma imminente. Si tratta di un’organizzazione discorsiva assolutamente classica, in cui nulla è lasciato al caso: ogmi suono, ogni inquadratura, ogni raccordo, è inserito in un preciso schema ascendente che conduce alla decisione di Antonio di rubare la biciletta. In questa parte di Ladri di biciclette, l’utilizzo e della colonna sonora fa pensare quasi ad un giallo : la scena tipica del preludio al delitto.
Nella seconda porzione della sequenza ritroviamo un découpage altrettanto complesso giocato sul montaggio alternato delle inquadrature di Antonio, che tenta di rubare la bicicletta e viene catturato dai passanti, e quellle di Bruno che osserva atterrito il padre. Ci troviamo di fronte a una scena d’azione, organizzata seguendo le regole del cinema classico. La drammaticità degli eventi è potenziata dalla musica, che accompagna e sottolinea i passaggi più forti, e dal montaggio alternato. Tutto è in movimento: i personaggio corrono, oppure – quando sono immobili - è la macchina da presa a dinamizzare il quadro (il veloce movimento di macchina alternato al viso spaventato di Bruno, che vede passare il padre inseguito dalla folla). E, in ossequio allo schema canonico del montaggio alternato, la sequenza si conclude con l’incontro dei personaggi che stavano al centro delle due serie di immagini: Bruno accorre presso il padre e, con le sue lacrime, impietosisce il derubato, che decide di non denunciare Antonio.
Il dramma del protagonista si è consumato: Antonio e il figlio vengono come risucchiati dalla folla che esce dallo stadio: il personaggio torna a confondersi in quella massa umana da cui l’autore lo aveva estratto all’inizio del film.
Torna a schede scuola superiore
Antonio e Bruno arrivano nei pressi dello stadio. Sentiamo il boato dei tifosi, vediamo la gente passeggiare: il clima festoso della domenica pomeriggio è in aperto contrasto con la disperazione del protagonista. La contrapposizione tra i piani ravvicinati di Antonio e Bruno e i campi lunghi della folla, con il sottofondo delle urla, danno il senso dell’indifferenzadella collettività nei confronti della tragedia individuale. Le grida dello sstadio sembrano quasi grida di dileggio nei confronti di Antonio stesso, che ha appena subito i lazzi degli amici del ladro. Fuori dallo stadio sono allineate le lunghe file delle biciclette degli speattori: tutti possiedono una bicicletta, tutti tranne Antonio Ricci. Bruno, stanco e abbattuto, si diede sul marciapiede, mentre Antonio, che ha individuato una bicicletta isolata e incustodita, cammina su e giù, indeciso sul daffare. In questa prima parte della scena finale del film, De Sica costruisce un climax molto raffinato, attraverso il montaggio e l’uso della musica, che enfatizza il senso del dramma imminente. Si tratta di un’organizzazione discorsiva assolutamente classica, in cui nulla è lasciato al caso: ogmi suono, ogni inquadratura, ogni raccordo, è inserito in un preciso schema ascendente che conduce alla decisione di Antonio di rubare la biciletta. In questa parte di Ladri di biciclette, l’utilizzo e della colonna sonora fa pensare quasi ad un giallo : la scena tipica del preludio al delitto.
Nella seconda porzione della sequenza ritroviamo un découpage altrettanto complesso giocato sul montaggio alternato delle inquadrature di Antonio, che tenta di rubare la bicicletta e viene catturato dai passanti, e quellle di Bruno che osserva atterrito il padre. Ci troviamo di fronte a una scena d’azione, organizzata seguendo le regole del cinema classico. La drammaticità degli eventi è potenziata dalla musica, che accompagna e sottolinea i passaggi più forti, e dal montaggio alternato. Tutto è in movimento: i personaggio corrono, oppure – quando sono immobili - è la macchina da presa a dinamizzare il quadro (il veloce movimento di macchina alternato al viso spaventato di Bruno, che vede passare il padre inseguito dalla folla). E, in ossequio allo schema canonico del montaggio alternato, la sequenza si conclude con l’incontro dei personaggi che stavano al centro delle due serie di immagini: Bruno accorre presso il padre e, con le sue lacrime, impietosisce il derubato, che decide di non denunciare Antonio.
Il dramma del protagonista si è consumato: Antonio e il figlio vengono come risucchiati dalla folla che esce dallo stadio: il personaggio torna a confondersi in quella massa umana da cui l’autore lo aveva estratto all’inizio del film.
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