Verrebbe da dire che al cinema il fumetto Persepolis di Marjane Satrapi finisce addirittura per guadagnarci. E questo nonostante i quattro volumi avessero conquistato mezzo mondo (in Italia li ha pubblicati Sperling & Kupfer) raccontando, tavola dopo tavola, il processo di maturazione e poi di crescita di una piccola ma combattiva iraniana, non a caso fan di Bruce Lee. Si era giustamente parlato di intelligenza, umorismo, autoironia e passione, sottolineando come l' autrice riuscisse a concentrare in un solo disegno il suo messaggio e a renderlo immediatamente comprensibile. Senza dimenticare che il vero soggetto di Persepolis era la storia di uno Stato, l’Iran, dalla caduta dello scià alla democrazia teocratica degli ayatollah, non l' avventura più o meno fantastica di una bambina. E che si parlava di torture, esecuzioni, guerre, morti... Come dire: un argomento non certo «nazional-popolare» che aveva conquistato il pubblico per forza di stile e di intelligenza. Portarlo al cinema poteva sembrare un'operazione rischiosa se non azzardata. E infatti l'autrice aveva rifiutato le proposte che volevano farne il soggetto di un film di finzione, magari con qualche grande star hollywoodiana. Ha accettato solo quando avrebbe potuto controllare totalmente il progetto, non snaturarne lo spirito e dirigerlo insieme al compagno con cui divide lo studio dove lavora, Vincent Paronnaud. E i risultati le hanno dato perfettamente ragione. L' idea vincente è stata probabilmente quella di conservare anche per lo schermo la piacevole astrazione bidimensionale dei suoi disegni originali. In un cinema d’animazione dove tutti sembrano inseguire il più vero del vero con personaggi tridimensionali, facendo ricorso a tutte le più sofisticate invenzioni della creazione digitale, Persepolis (film) rivendica il suo diritto a essere fatto di disegni ai limiti dell'astrazione, di mettere in campo un'animazione molto semplice e di scegliere il bianco e nero come universo cromatico di riferimento. Tutto quello, cioè, che potrebbe «irritare» lo spettatore e che invece si rivela l'arma vincente per catturarne mente e cuore. La storia rispecchia più o meno quella dei quattro volumi di fumetti. Rinchiuso in un lungo flash back che si apre e si chiude all' aeroporto di Parigi (il solo ambiente disegnato a colori, specie di omaggio al Paese che l' ha «adottata» e resa celebre), la venticinquenne Marjane Satrapi ripensa alla propria vita: l' infanzia ai tempi dello scià, nel 1978, quando scopre le torture inflitte ai parenti comunisti; la presa del potere da parte dei fondamentalisti e gli scontri con una realtà ben più punitiva; la guerra con l'Iraq e la paura quotidiana per i bombardamenti; gli anni del liceo fatti a Vienna per allontanarsi dalla repressione teocratica; il ritorno in Iran con un matrimonio fallimentare e lo scontro sempre più duro con l'integralismo e il fanatismo; la partenza definitiva per Parigi. Costruito come un particolarissimo romanzo di formazione, il film sfrutta il senso dell' ellisse e l'ironia dell' autrice per offrire un quadro insieme sintetico e umanissimo di uno dei grandi drammi di fine Novecento: il sorgere di integralismi che in nome della religione finiscono per schiacciare l'uomo.
Paolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 29 febbraio 2008
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